La seguente interview č tratta dall'opuscolo Prashnotara Vāhini.
Com'č noto, tutti i Vāhini sono scritti di pugno dallo Svāmi in persona.
Il Prashnotara č uno dei primi apparsi sul mensile Sanathana Sarathi ed č l'istruttiva simulazione di vari colloqui con un immaginario interlocutore, dove il Maestro - secondo quanto afferma Kasturi -"cerca di chiarire i concetti e gli insegnamenti fondamentali della religione, con particolare riguardo ai termini tecnici e alle espressioni che vogliono portarli ad un livello di concretezza ".
D.- Hai detto che la Conoscenza (Jnāna) č essenziale; qual č esattamente la sua funzione?
R.- La Conoscenza ti fa prendere coscienza della tua propria Realtą (Atma-svarūpa).
D.- E lo Yoga? Che succede a chi non ha Yoga?
R.- Č simile ad uno zoppo.
D.- E se una persona non ha Conoscenza?
R.- Č come un cieco.
D.- Si dice che lo Yoga distrugge tutte le macchie, elimina tutti i difetti.
Come avviene tutto questo?
R.- Puņ essere commestibile il riso, se non lo cuoci al fuoco? Per mezzo dello Yoga e di altre discipline, la facoltą del pensiero (citta) si ammorbidisce. Si chiama tapas, che significa anche "calore", e citta diventa tapta, calda. Se vuoi, lo Yoga e la Conoscenza sono come l'olio e la fiamma.
Lo Yoga č l'olio e la fiamma luminosa della lampada č la Conoscenza.
D.- Perdonami, Svāmi, se Ti faccio questa domanda. C'č tanta gente che va in giro ad insegnare il Vedānta, oggi; hanno tutti preso coscienza di questa Veritą, hanno tutti sperimentata questa Realtą?
R.- Come si fa a crederlo? Puoi giudicarli da te. Vedi se hanno purezza di cuore, di pensiero, di mente e conoscenza del Sé Supremo (Paramatma) inerente e immanente.
Solo cosģ avrebbero il diritto di insegnare il Vedānta, perché il Vedānta dev'essere sperimentato.
D.- Puņ essere benefico, almeno fino a un certo punto, l'insegnamento del Vedānta impartito da chi non ha questi requisiti?
R.- Per bella che sia, la descrizione di squisite vivande non basta a soddisfare chi ha fame. Inoltre, ascoltare senza una gran voglia di impararenon serve a nulla. Se l'insegnante non č distaccato dagli oggetti dei sensi, il suo discorso č parola di pappagallo.
Coloro che vengono ad ascoltare senza desiderio di imparare e di trarne beneficio, non fanno altro che mostra di sé.
D.- Baba, dici che sono indispensabili la purezza del cuore, quella
della
mente e la conoscenza della Suprema Essenza (Paramātman) immanente e
trascendente. A che servono allora gli esercizi di ascesi (sādhana)
compiuti
dal corpo, che č formato dai Cinque Elementi? Non č sufficiente
acquisire la
Conoscenza effettiva della propria forma interiore, del proprio Sé
(Svasvarupa)?
R.- E bravo! Solo perché ti dicono che č necessario il timone, concludi
che
puoi fare a meno della barca? Credi che basti il timone ad attraversare
il
fiume? Ti devi convincere che il Signore ti ha donato questo corpo
perché ti
serva da barca per attraversare il fiume del ciclo di nascita e morte
(samsāra), e la cosa principale č la facoltą che da forma alle idee e
le
associa tra loro (citta). Questo č il primo passo nel Vedānta. Č vero
che il
timone č la conoscenza del proprio Sé interiore (svasvarūpajńāna), ma
da
solo non basta; ti devi attenere anche a discipline e ad abitudini
fisiche.
Per raggiungere lo stato etereo eterno, č importante che il corpo sia
disciplinato.
D.- Mi affligge un altro dubbio, Svāmi. A proposito di discipline
fisiche,
potrei sapere se la Conoscenza dell'Assoluto (Brahma-vidyā) fa
distinzione
tra maschi e femmine?
R.- Beh, caro ragazzo, questa barca non ha simili distinzioni. La
Conoscenza
dell'Assoluto e la purezza della mente (cittasuddhi) non dipendono
affatto
dal sesso. Tutti gli ammalati hanno diritto alla medicina che guarisce,
o
no? E cosģ, tutti quelli che sono afflitti dalla malattia di dover
nascere e
morire (bhavaroga), hanno diritto alla Conoscenza di Dio, lo specifico
che
li puņ guarire. Puņ accadere che non tutti abbiano accesso al farmaco,
ma
non si puņ dire che alcuni non ne abbiano diritto.
D.- Eppure, Svāmi, ci sono degli studiosi del Vedānta che negano alle
donne
il diritto di accedere e di attingere alla Conoscenza di Dio; pare che
le
barche non siano della stessa natura.1
R.- Caro figliolo, come ho detto, entrambi i sessi hanno diritto alla
medicina. Perņ, affinché il farmaco possa agire sull'organismo, si deve
seguire un certo regime. Esso č la contemplazione della propria base
essenziale (Brahma-bhāvana), e con questo occorre seguire rigorosamente
il
regime del distacco (vairagya) e della Sapienza (Jnāna). Le donne
forse,
perché pił deboli, potrebbero stentare a seguire questo regime con vero
rigore come gli uomini, e forse č questo il motivo del presunto
divieto.
Perņ, tutti coloro che sono in grado di seguire le regole e i divieti
hanno
ugual diritto di essere beneficati dalla Conoscenza dell'Assoluto,
tanto gli
uomini quanto le donne. Questo č il Mio verdetto.
D.- Hai parlato di un regime rigoroso: lo devono seguire anche gli
uomini,
vero?
R.- Sicuro! Sono pur fatti di carne, ossa, sangue e midolla e sono
afflitti
da molti mali. Tutti ed ognuno di coloro che soffrono del male della
nascita
e della morte abbisognano di questa medicina, e chiunque si serve di
questo
trattamento deve seguire anche il regime.
Uomo o donna che sia, chiunque trascuri il regime, non puņ liberarsi
dal
male. Gli uomini non possono vantarsi di esserne esenti; devono
aderirvi
strettamente e osservarlo a dovere. Anche se avete ricevuto
l'iniziazione
nella pratica spirituale della realizzazione di Dio (Brahmopadesha), se
siete privi delle virtł quali la quiete mentale (shama) ed il controllo
dei
sensi e dei loro organi (dama), non potete salvarvi, uomini o donne che
siate.
D.- Perché allora, Svāmi, tanti dotti studiosi delle Scritture
(shāstra)
sostengono che le donne non hanno il diritto d'acquistare la Conoscenza
del
Divino?
R.- Non c'č nessuna ragione per sostenere che le donne non abbiano
diritto
alla Conoscenza di Dio. Vishnumurty insegnņ a Bhudevī la gloria della
Gita;
Parameshvara insegnņ a Pārvatī il Principio dell'Assoluto con il
Guru-gita.
Č questo ciņ che il Guru-gita intende dire con l'espressione "Pārvatī
uvacha". Che significano queste parole? Inoltre shvara iniziņ Pārvatī
nella
Yogashāstra e nella Mantrashastra. La Brihadāranyaka Upanishad narra
che
Yajnavalkya insegnņ a Maitreyi questa stessa Conoscenza divina. Č un
fatto
ben noto questo. Giudica ora da tč se le donne hanno diritto alla
Conoscenza
di Dio oppure no.
D.- Altri sostengono, Svāmi, che le donne non possono essere né
brahmacharya
né samnyasinī; č vero? Lo dicono i Veda?
R.- I Veda hanno due sezioni: la Karmakanda e la Jnānakanda. La prima č
per
i principianti, e la seconda, la Jnānakanda, per gli intelletti pił
sviluppati. Non vi si trova nessuna distinzione tra uomini e donne. I
principianti sono dei profani; come potrebbero comprendere il messaggio
dello Jnānakanda riguardo all'Ātmān? Nella Brihadāranyaka troviamo
menzionate Gargi e Maitreyi, le quali risplendono della luce spirituale
del
brahmacharya e del samnyasa. Anche nel Mahabhārata troviamo figure
femminili
ideali e piene di virtł, come Subha Yoginī e tante altre.
D.- Possono avere la Conoscenza del Brahman (Brahmajnāna) anche le
donne che
si trovano nelle condizioni di massaie (grihastha)?
R.- Perché no? Madalāsa ed altre ebbero la Conoscenza di Dio pur
conducendo
vita di famiglia. Avresti dovuto aver letto di loro nello Yogavashistha
e
nei Purāna, e del modo in cui raggiunsero le vette della perfezione, la
stessa Conoscenza dell'Assoluto.E forse che le Upanishad non dicono che
Kartyayinī, Sarangī, Sulabha, Vishvadeva ed altre ancora erano adepte
nella
Conoscenza del Divino?
D.- Svāmi, ci sono anche altre donne che abbiano raggiunto la
Conoscenza di
Dio, mentre conducevano una vita di famiglia? E ve ne sono di quelle
che
l'hanno raggiunta nello stato di samnyasa o di vānaprastha o di
brahmacharya?
R.- Non credere che non ce ne siano che abbiano raggiunto la Conoscenza
Suprema, mentre erano in quelle varie condizioni della vita. Chudala
era una
donna di famiglia quando ebbe la Realizzazione divina; Sulabha Yoginī
era
una samnyasinī e Maitreyi ci pervenne mentre era nella condizione di
vānaprastha, mentre Gargi era una brahmacharī.
Ci sono altre donne illustri in India, che raggiunsero queste vette.
Che
pił? Ce ne sono tante anche adesso. Ti ho fatto solo quattro nomi per
rispondere subito alla tua domanda, ma non perderti d'animo: non č il
caso.
D.- Con tutti questi esempi di donne che sono arrivate alla
Realizzazione
dell'Assoluto, com'č che tanti sono contrari a questo? Perché imporre
limiti
alle donne?
R.- Č pura assurditą negare alle donne il diritto alla Realizzazione
divina,
ma nelle cose del mondo occorre che esse rispettino certi limiti,
imposti
solo dal dharma, dalla morale e dalla salute sociale del mondo
(loka-kalyana). La donna č troppo debole per sopportare certi modi di
vita e
certe discipline, perché ha degli handicap naturali; da ciņ i limiti.
Questo
non significa alcuna inferioritą fondamentale. Dei dotti teologi
(pandit),
esperti nelle scritture, acquistano la loro Conoscenza per mezzo della
venerazione della Divinitą Femminile Sarasvati. Le Dee protettrici
della
conoscenza (Vidyā), oltre che della ricchezza e della Sapienza (Jnāna),
sono
femminili; sono Sarasvati, Lakshmī e Pārvatī. Anche nello stile
epistolare,
quando ci si indirizza a donne, si scrive: "Alla sig.ra... che č pari a
Lakshmī", e cosģ via. E voi, non parlate sempre di Māta-Pitā, di
Gaurģ-Shāmkara, Lakshmi-Nārāyana, Sitā-Rāma, Rādhā-Krishna, ecc.,
anteponendo il nome femminile al maschile?
Giudicate da ciņ, quanto rispetto si tributa alla donna nel nostro
paese.
D.- Il fatto di fare una distinzione tra uomo e donna lo tacci di
parziale
conoscenza mista di vero e di falso (mithyā-jnāna) o l'ammetti come
conoscenza della Veritą fondamentale (Atma-jhāna)
R.- Mio caro, lo Spirito non conosce simili distinzioni; l'Atmā č
eternamente conscio, puro e splende di luce propria. Perciņ, quello che
tu
dici, č solo una conoscenza mista di vero e di falso, e non sarą mai la
conoscenza del Sé come Veritą di base. Il sesso č una limitazione
fondata su
una sovrapposizione fallace (upādhi), sulla maschera, sulla
limitazione.
L'Ātmān non č né maschile né femminile né neutro; č la forma quella che
limita e illude e che indossa questi nomi.
da Mother Sai 5/92
(1) Anche presso gli antichi scritti vedantici, si faceva riferimento
al
privilegio di essere maschi, come presupposto che avrebbe reso pił
facile il
raggiungimento della meta spirituale. Shamkara, nel Vivekachūdāmani
(kārik,
I e 4), afferma che "non č agevole avere una nascita umana, in
particolare
ottenere un temperamento maschile" e che "colui che si č innalzato fino
a
possedere la condizione umana, con un temperamento maschile" non deve
perdere l'occasione di raggiungere la Conoscenza. Purtroppo, molti
hanno
finito per credere che la Conoscenza del Sé sia un bene che solo la
condizione maschile puņ fruire. In realtą, si tratta di una
interpretazione
viziosa. "Non bisogna dimenticare - afferma Raphael nel suo commento -
che
questo difficile sentiero ascetico era destinato prevalentemente a dei
convinti samnyāsin, i quali seguivano la vita monastica o quella
errante,
quindi erano soprattutto uomini.
In quell'epoca le donne non avevano facoltą di celebrare i culti, per
quanto
alcune upaneshad siano state composte da donne. Comunque, lo stesso
Shamkara
dirą nel commento della kąrik.95, cap. IV della Māndūkya Upanishad:
'Quelle
rare persone - siano esse donne o shudra - che rimangono ferme sulla
natura
della Realtą suprema senza nascita e costante, possiedono grande
saggezza;
in altri termini, sono dotate di una conoscenza insuperabile'".
(Vivekachūdāmani, Ashram Vidyā, Roma 1981, p.21).