“In questa sacra terra di Bhârat, la tolleranza è la vera bellezza.
Tra tutti i rituali, l’aderenza alla Verità è la penitenza più grande.
In questo Paese, il sentimento d’amore verso la propria madre è il più dolce ed
il carattere è considerato molto più importante della vita stessa.
La gente ha dimenticato i princìpi fondamentali di questa grande cultura
e sta imitando quella dell’occidente.
Ahimè! Gli Indiani non sono consapevoli della grandezza della loro eredità culturale
proprio come un elefante non è consapevole della propria forza immane.”
Incarnazioni dell’Amore!
I Bhâratîya (gli Indiani) sono un popolo molto ricco. Bhârat (l’India) è un Paese ricco, è la grande terra di punya (atti meritevoli), tyâga (sacrificio) e karma (azione). Sfortunatamente, oggi la gente di Bhârat non comprende la grandezza del proprio Paese.
Un Paese inconsapevole della sua forza
Proprio come l’elefante non comprende la sua forza innata, gli Indiani non riconoscono la propria forza interiore. Un elefante può scaraventare a terra un uomo e scagliarlo a 3 metri con una sferzata della sua coda; eppure un mahout (conduttore di elefanti) può tenere l’elefante sotto completo controllo con il suo pungolo. L’animale si sottomette al comando del mahout perché è incapace di comprendere la propria forza; analogamente, gli Indiani sono oggi forviati dalla veste rappresentata dal corpo e non sanno più comprendere la loro forza innata.
Il corpo è fatto di cinque elementi e, prima o poi, è destinato a perire
ma il suo Abitatore non ha né nascita né morte.
L’Abitatore non ha attaccamenti di alcun tipo ed è l’eterno Testimone.
Il Dharma più grande
Nel corpo fisico di un essere umano c’è un enorme potere. Il potere della Verità, che è presente in questo corpo fisico, può persino legare (a una forma) l’ineffabile e imperscrutabile Divinità. Nessuno può valutare il potere della Verità; esso è Satyasya Satyam ( la Verità delle Verità) e non può essere visualizzato attraverso la mente, può solo essere sperimentato ma non descritto. In realtà, la Verità è Dio! Per questo motivo si dice:
Satyam jñânam anantam brahma
“Brahman è l’Incarnazione della Verità, della Saggezza e dell’Eternità.”
La creazione nasce dalla Verità e torna a fondersi in Essa.
Esiste qualche posto nel cosmo in cui la Verità non esista?
Visualizzate questa Verità pura e immacolata.
Qualunque cosa vediate, in questo universo, è soltanto la Verità che si manifesta. L’idea che ci sia una cosa chiamata mithyâ (illusione) è essa stessa un’illusione! Tuttavia l’uomo si affida al corpo non reale e lo considera reale. Per prima cosa, l’uomo deve comprendere questa Verità, deve pregare la Verità e sostenere la Verità. Si dice:
Satyannâsti paro dharmah
“Non esiste Dharma più grande dell’aderenza alla Verità.”
Senza Verità, il Dharma non esiste affatto! È solo sulle fondamenta della Verità che poggia il palazzo del Dharma.
Incarnazioni dell’Amore!
Dovete sforzarvi di comprendere questa Verità. Incapaci di controllare i sensi, di liberarci dell’attaccamento corporeo, stiamo trascurando la Verità Eterna; questo è il risultato della cosiddetta educazione secolare. Qual è la natura della Verità? Essa è:
Nirgunam, Niranjanam, Sanâtanam, Niketanam,
Nitya, Shuddha, Buddha, Mukta, Nirmala Svarûpinam
Senza attributi, Puro, Eterno, Dimora finale, Immutabile,
Senza macchia, Illuminato, Libero e Incarnazione della sacralità.
Un abito da deporre
Dimenticando tale Verità profonda, noi seguiamo i sensi dell’azione, i sensi della percezione e la mente che sono irreali. Conoscete la natura della mente? Essa corre dietro agli oggetti del mondo in modo indiscriminato, è come una mosca: ora si posa su un fiore odoroso ed un momento dopo si posa su un mucchio di spazzatura portato da un carretto. Come ci si può fidare di una mente tanto mutevole?
“ La Mente è simile a una scimmia pazza
e il corpo è come una bolla nell’acqua.”
Sfortunatamente, oggi dirigiamo la vita riponendo tutta la nostra fede in un corpo ed una mente simili. Il giorno in cui vi libererete dell’attaccamento al corpo e dimenticherete i sensi, contemplando l’Âtma Tattva (il Principio Atmico), diverrete voi stessi una Incarnazione del Divino Sé. Voi non siete dei semplici esseri umani: in verità, voi siete Dio! Sebbene voi stessi siate Dio, purtroppo vi ingannate considerandovi esseri umani. Avete indossato l’abito dell’essere umano per apparire in questo mondo. Il corpo fisico è un abito che indosserete fintantoché sarete qui ma, al momento in cui tornerete nello spogliatoio, lo abbandonerete. Voi state interpretando un ruolo indossando questo costume ma, una volta abbandonatolo, tornerete a essere il vostro Sé normale.
Il vero Nome
La natura umana è Sacra e Divina ma l’uomo sta oggi distruggendo una natura siffatta consegnandola alle cose materiali. Questa è pura follia. Si deve, invece, santificare la propria Natura umana. La vostra educazione, la vostra intelligenza, la vostra forza fisica e il vostro potere sono tutte cose di breve durata; dovete piuttosto impegnarvi al massimo per realizzare l’eterno Âtma Tattva. Voi non siete il corpo. Ponete il caso che qualcuno vi chieda: “Chi sei?” Voi rispondete “Io sono questo o quello”, vi presentate in questo modo. Prendendo in considerazione il vostro corpo fisico, la vostra occupazione, il posto dove vivete ecc., voi dite “Io sono Râmadâs” ma questo è solo il nome che vi è stato dato dai vostri genitori. Se qualcuno chiede “Chi è Râmadâs?”, voi rispondete “Io”; il nome “Râmadâs” appartiene al vostro corpo fisico mentre “Io” è il vostro vero nome. Questo “Io” è reale ed eterno. Chi è Râmadâs? È il “servitore di Râma”, il figlio di re Dasharatha. Il nome Dasharatha, in questo contesto, non appartiene al re di Ayodhyâ; Ayodhyâ è il nome del “luogo dove nessun’armata nemica può entrare”. Il corpo umano con i suoi dieci sensi, cinque d’azione e sensi di percezione, rappresenta Dasharatha. Il re Dasharatha ebbe tre mogli: Kaushalyâ, Sumitrâ e Kaikeyî. Queste tre regine rappresentano i tre guna: sattva (la purezza, la calma, la serenità), rajas (la passione, l’attività, l’inquietudine) e tamas (l’ottusità, l’ignoranza, l’inerzia). Kaushalyâ è l’incarnazione del sattvaguna, Kaikeyî rappresenta il rajoguna e Sumitrâ il tamoguna. Si deve riconoscere il profondo significato di questi termini in relazione al proprio insieme corpo/mente. I grandi saggi e veggenti compresero questa Verità perché non erano vittime dell’illusione, come invece accade agli odierni esseri umani; essi compresero la Verità, vissero per la Verità e diffusero la Verità. La tolleranza è la qualità naturale dei Bhâratîya (gli Indiani). Di fatto, chi è privo di questa qualità non è affatto un essere umano! Nella cultura indiana, alla madre è assegnato un posto di assoluto privilegio. I Veda dichiarano:
Matru devo bhava pitru devo bhava
“La madre è Dio, il padre è Dio.”
Matrimoni in piena regola
Conoscete tutti gli shloka (i versi) del Suprabhâta che si cantano a Râma: “Kaushalyâ Supraja Râma ….” (O Râma! Figlio di Kaushalyâ! È l’alba! Alzati e recita le tue preghiere mattutine). Anche in questi shloka del Suprabhâta, Râma viene chiamato figlio di Kaushalyâ. Il nome di Kaushalyâ viene per primo perché la madre è veramente Dio per un essere umano. Quando Râma si prostrò ai piedi di Sua madre Kaushalyâ, prima di accompagnare il saggio Vishvâmitra nella foresta e proteggere lo yajña che questi doveva compiere, ella Lo benedisse dicendo: “Figlio! Che il Signore supremo che protesse Prahlâda, che l’Abitatore del Vaikuntha che prese sotto la Sua protezione il piccolo Dhruva, che Colui che è lodato dagli Amara (gli Dei Immortali), che il Signore che è il rifugio degli infelici Ti concada la vittoria!” Fu soltanto grazie alle benedizioni di Sua madre che Râma riuscì a sconfiggere i demoni e proteggere lo yajña realizzato dal Saggio Vishvâmitra e furono ancora le parole benedicenti di Sua madre il motivo del Suo successo nello Svayamvara (la festa per la scelta dello sposo) alla corte di re Janaka, durante il quale Egli ruppe l’arco Divino del Signore Shiva. Il re Janaka, che era un karma yogî (chi realizza tutte le sue azioni offrendole a Dio senza alcun desiderio o attaccamento al loro frutto) e un mahâ jñânin (un’anima realizzata) egli stesso, senza mai perdere Râma di vista disse “Figlio! Nessuno è più grande di Te. Questa è Sîtâ, mia figlia. Io desidero darTela in moglie; Ti prego, accettala” ma Râma, educatamente, declinò la sua offerta dicendo che non poteva accettare senza prima aver ottenuto il consenso dei Suoi genitori. Contrariamente a ciò, i giovani d’oggi fanno della proposta di matrimonio un grande spettacolo, fanno stampare inviti costosi con ricchi disegni a colori da distribuire a tutti. Questo non era il modo di fare di Râma. Egli pensò: “Siamo quattro fratelli nati nello stesso periodo per cui, che si tratti di un Upanayana (la cerimonia dell’investitura del cordino sacro) o di Vivaha (un matrimonio), deve avvenire per tutti noi assieme”. Fino a quel momento Râma non aveva mai neppure guardato Sîtâ. Oggi i giovani sono molto diversi: nel momento in cui la cerimonia di fidanzamento tra un ragazzo e una ragazza finisce, essi se ne vanno al cinema assieme. Questo non va bene. Sîtâ non si fece vedere fino a che il muhûrtam (il momento favorevole) per il matrimonio non fu vicino e neppure Râma la guardò fino ad allora. Fu solo dopo che i Suoi genitori andarono a Mithilâ, e Vishvâmitra li informò della proposta del re Janaka di darGli Sua figlia Sîtâ in sposa, che Râma acconsentì alle nozze. Anche allora, Râma non guardò Sîtâ fino alla fine della cerimonia nuziale. Le coppie dovevano scambiarsi delle ghirlande come parte della cerimonia; Râma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna erano in piedi, in fila, pronti a inghirlandare le loro rispettive spose. Râma era il più anziano dei fratelli e quindi Sîtâ, la Sua promessa, doveva cingerLo con la ghirlanda per prima; dopo le altre avrebbero messo le ghirlande intorno al collo dei rispettivi futuri mariti. Sîtâ era in piedi di fronte a Râma e reggeva la ghirlanda ma Râma non la guardava perché la cerimonia matrimoniale non era stata ancora completata; fino a quel momento, ella era un’estranea per Lui e guardare una “parastrî”, una donna che non è ancora diventata la propria moglie, è un grande peccato: questo era il punto di vista di Râma, il Suo ideale. Povera Sîtâ! Ella attese a lungo ma Râma non piegava il capo per permetterle d’inghirlandarLo. Allora Lakshmana pensò a uno stratagemma che avrebbe permesso a Sîtâ di porre la ghirlanda intorno al collo di Râma: improvvisamente Gli si gettò ai Piedi, Egli si chinò per aiutarlo a rialzarsi ed, esattamente in quel momento, Sîtâ Gli pose la ghirlanda al collo! Rendetevi conto di come fossero sacre e nobili le intenzioni della gente di quei tempi! Quant’erano puri e sinceri i loro cuori! Era così che la gente dava la massima importanza al carattere durante il Tretâ Yuga e il Dvâpara Yuga. Questo è il motivo per cui questi yuga (ere) divennero molto famosi. Anche voi dovreste rispettare e venerare gli anziani come fece Râma e obbedire alle loro ingiunzioni. Solamente se prestate ascolto alle loro parole e le seguite con diligenza, potrete sperimentare la pace nella vita.
L’esilio nella foresta
Per onorare la promessa fatta dal re Dasharatha a sua moglie Kaikeyî, Râma dovette passare quattordici anni in esilio nella foresta. Sebbene fosse una grande regina, Kaikeyî aveva dato ascolto alle parole della sua serva Mantharâ e, a seguito dei suoi consigli, mandò Râma nella foresta. C’è una lezione da apprendere a questo riguardo: bisogna dare peso alle parole del padrone, non a quelle del servo. Poiché Kaikeyî cedette ai suggerimenti della sua serva, dovette poi sopportare grande dolore e sofferenza. Anche Sîtâ seguì Râma nel suo viaggio nella foresta; con molta fermezza, Ella informò Râma della propria decisione: “O Signore! Il marito è Dio per la propria moglie; ovunque egli sia, lì deve essere anche lei.” Anche Lakshmana accompagnò Râma nella foresta dicendo: “Caro Fratello maggiore! Io non posso vivere neanche un istante senza di Te.” Lakshmana e Shatrughna erano nati da Sumitrâ. Coerentemente col proprio nome, Sumitrâ1 fu una donna di nobili qualità e dedicò entrambi i suoi figli al servizio di Râma; per sua volontà, Lakshmana si dedicò a servire Râma, e Shatrughna a servire Bharata. Le qualità di Lakshmana erano estremamente nobili. Sîtâ, Râma e Lakshmana incontrarono molte difficoltà durante il loro esilio nella foresta, tutto ciò è ben noto. Una volta, mentre stavano passeggiando, Lakshmana, molto demoralizzato, disse improvvisamente a Râma: “Caro Fratello maggiore! Qual è il motivo che ci ha portati a dover sopportare questo esilio nella foresta? È per noi molto difficile proteggere Sîtâ dai demoni in questa foresta. Perché dobbiamo sottoporci a tante prove? Perché madre Sîtâ, che non è mai stata esposta al sole e alla pioggia, dovrebbe far fronte a tante difficoltà? Suvvia! Torniamo ad Ayodhyâ e viviamo una vita più confortevole.” Râma comprese che ciò che Lakshmana stava dicendo era dovuto all’effetto di sthala (il luogo) e, presolo per mano sorridendo, lo portò in un altro posto abbastanza lontano dopodiché gli chiese: “Lakshmana! Adesso, rispondiMi: dobbiamo veramente tornare ad Ayodhyâ?” Lakshmana comprese allora il proprio errore e se ne rammaricò. Poi supplicò Râma: “Caro Fratello! Non dobbiamo tornare ad Ayodhyâ adesso. Dobbiamo vivere qui nella foresta per quattordici anni cosi come ci ha ordinato nostro padre. Io non ho mai contrastato il Tuo volere né ho disobbedito ai Tuoi ordini; non so perché ho parlato così, non riesco assolutamente a capire perché avessi cambiato idea in quel modo”. Râma spiegò: “Lakshmana! Io so che questa non è la tua natura; questo è l’effetto del luogo attraverso il quale siamo passati poco fa. In quel posto ci sono molti demoni e, dato che tu sei entrato in un posto infestato dai demoni, le qualità demoniache si sono impadronite di te.” Cosi dicendo, Râma lo aiutò a riacquistare il suo equilibrio. Occorre dunque tenere sempre in considerazione il tempo ed il luogo in cui siamo ed anche lo sthala prabhava (l’influenza del luogo) e comportarsi di conseguenza. Nessun altro testo aveva mai parlato in termini tanto esaustivi del buon carattere come ha fatto il Râmâyana; sfortunatamente, oggi, molta gente non ne comprende la grandezza. Il Râmâyana è veramente il cuore dei Bhâratîya; non comprendere questa realtà, comportandosi di conseguenza, è la ragione per cui i Bhâratîya devono oggi affrontare tante difficoltà. Ovunque siate, non potete sfuggire a difficoltà e sofferenze; occorre tuttavia affrontarle coraggiosamente riponendo la propria fede in Dio.
Parte di Dio
Dio è il vostro unico Rifugio ovunque vi troviate:
nella foresta, in cielo, in una città o in un villaggio,
in cima a una montagna o in mezzo al mare profondo.
Solo coloro che sono in grado di comprendere la natura della Divinità possono afferrare questa Verità. Oggi tutti i giovani devono coltivare le buone qualità. Siete tutti figli di Dio! Il Signore Krishna ha dichiarato nella Bhagavad Gîtâ:
Mamaivâmsho jîvaloke jîvabhûta sanâtanah
“L’eterno Âtma, in tutti gli esseri, è parte della Mia Essenza.”
Quindi dobbiamo imitare le qualità di Dio e vivere conseguentemente. Soltanto quando vi considererete amsha (parte) della Divinità diverrete bravi cittadini; se invece diventate orgogliosi di voi stessi, ad esempio dicendo “Io sono il figlio di questo o di quell’altro”, “Io sono il fratello di questo o quell’altro”, e cosi via, resterete sempre tali e quali. Dovete realizzare la Verità di essere davvero parte di Dio: solo allora potrete comprendere l’Âtma Tattva.
Comportarsi da bravi ragazzi
Incarnazioni dell’Amore!
Siete tutti dei bravi figlioli! Siete tutti ragazzi d’oro! L’ambiente in cui vivete vi sta però in parte rovinando e c’è anche il fattore del cibo che mangiate. Se gli amici ai quali vi unite sono buoni, parleranno con voi in modo adeguato, altrimenti diranno cose cattive creando nella vostra mente pensieri negativi.“Dimmi con chi vai, e ti dirò chi sei” ; frequentate quindi buoni amici.
Satsangatve nissangatvam nissangatve nirmohatvam,
nirmohatve nishchalatattvam nishchalatattve jîvanmukti.
Le buone compagnie portano al distacco,
il distacco rende liberi dall’illusione,
l’esser liberi dall’illusione porta la stabilità mentale e
la stabilità mentale conferisce la Liberazione.
Non dovreste fare della vostra vita “una cosa sconveniente” ascoltando la parole “sconvenienti” degli altri; unitevi alle buone compagnie e guadagnatevi un buon nome. “Siate buoni, fate il bene e vedete ciò che è buono”. Solo così potrete realizzare Dio.
Incarnazioni dell’Amore!
Dovete condurre la vita prendendo come ideale quella di Râma. In qualunque momento qualcuno vi chieda “Dove è Dio?”, la vostra risposta spontanea dovrebbe essere: “Dio è immanente in me come Âtma Divino.” Voi siete veramente quel Divino Âtma, non esiste nient’altro che l’Âtma; quell’Âtma viene anche chiamato “Consapevolezza”. Dovreste seguire il vostro Antarâtma (la Coscienza). Tenetevi lontani dai cattivi pensieri e non preoccupatevi quando li avete: essi vanno e vengono, non date loro troppa importanza. È naturale che, dato che agite in questo mondo oggettivo con i vostri sensi, dei cattivi pensieri vi disturbino. Un essere umano ha sei nemici sotto forma di kâma (desiderio), krodha (ira), lobha (avidità), moha (illusione), mada (orgoglio) e mâtsarya (gelosia) e questi sei nemici vi spingono su cattive strade. Per contro, i cinque Valori Umani di Satya (Verità), Dharma (Rettitudine), Shânti (Pace), Prema (Amore) e Ahimsâ (Non violenza) sono i vostri buoni amici; sviluppate intimità con essi. Se fate amicizia con brave persone, sarete chiamati “bravi ragazzi”, altrimenti sarete “cattivi ragazzi”; non dovreste farvi un cattivo nome, dovreste guadagnare un buon nome per voi e per i vostri genitori i quali nutrono sicuramente molte aspettative su di voi e quindi, cercate di farli felici. I Veda vi esortano:
Mâtru devo bhava, pitru devo bhava, âchârya devo bhava, atithi devo bhava
“Considera la madre come Dio, considera il padre come Dio,
considera il maestro come Dio, considera l’ospite come Dio.”
Obbedite agli ordini dei genitori: solo allora diverrete sacri e la vostra vita sarà santificata.
Note:
Il nome Dasharatha significa “colui che è padrone dei suoi dieci sensi”.
Sumitrâ significa “buona (su) amica (mitrâ)”.
(Tratto da: www.radiosai.it)