"Ognuno deve affrontare le conseguenze del proprio karma.
Chi ha fatto sì che i pipistrelli pendessero a testa in giù dai rami degli alberi?
È il loro destino.
In egual modo, nessuno può sfuggire alle conseguenze del karma."
Ogni essere umano, ogni insetto, uccello, bestia, animale, insomma ogni essere vivente di questo mondo è legato al destino. Nessuno può evitare le conseguenze del karma, buono o cattivo che sia. Ubbidire alle leggi della natura e alla legge del karma è naturale per ogni essere vivente. Per esempio, i pipistrelli pendono dai rami degli alberi con la testa in basso: quella è la loro natura, sono nati così. Tutti gli esseri umani di questo mondo pensano di subire delle sofferenze pur non avendo fatto niente di male. Essi pensano: "Io non ho fatto niente di sbagliato! Perché, allora, sto subendo questa sofferenza?" I fatti stanno però diversamente. Qualunque piacere o pena un essere vivente sperimenti è certamente il risultato delle azioni (karma) che ha compiuto. Tutti gli esseri umani compiono azioni e ne sperimentano i frutti conseguenti. Ciononostante, fino ad oggi, non è apparso loro chiaro se ciò accada per una naturale conseguenza delle loro azioni o per una qualche ragione sconosciuta. Non solo gli esseri umani, ma anche i batteri, gli uccelli, gli insetti, le bestie e gli animali sperimentano le conseguenze delle loro azioni.
Il karma straordinariamente positivo di Subbâmmâ
A sostegno di questa inevitabile legge del karma, vorrei raccontarvi alcuni fatti accaduti molto tempo fa. Tali eventi spiegano come determinate nascite siano avvenute proprio per avallare questa verità. A Puttaparthi c’era una grande devota di nome Subbâmmâ, che era molto ricca e non aveva figli. Qualunque cosa avesse, era solita darla generosamente a tutti con il sentimento: "Sto solo dividendo con i miei simili la ricchezza che Dio mi ha dato." Ella conduceva, con senso di equanimità, una vita nobile e pia. Avendo tuttavia un desiderio, pregava così: "Swami! Nel momento in cui abbandonerò questo soggiorno terreno, vorrei che Tu estinguessi la mia sete versandomi in bocca alcune gocce d’acqua con le Tue Mani Divine." Le promisi che l’avrei fatto. Sei anni dopo questa promessa, dovetti andare a Chennai (Madras) per assolvere un Mio impegno a casa di un devoto. Era il tempo della seconda guerra mondiale. Una sirena che avvertiva di un’incursione aerea suonava ad ogni ora e le strade si vuotavano all’istante. Rimasi là tre giorni e ripartii per tornare in auto da Chennai direttamente a Bukkapatnam. Nel contempo, Subbâmmâ si ammalò gravemente, fu portata da Puttaparthi a Bukkapatnam, che era la residenza dei suoi genitori, e lì morì. I suoi parenti cominciarono a fare delle osservazioni sarcastiche: "Sai Baba aveva dato parola che le avrebbe versato dell’acqua in bocca al momento del trapasso. È venuto? Dove è andato?" I fratelli e i parenti fecero tutti i preparativi per portare il suo corpo alla cremazione. A quei tempi, procurare della legna per cremare un corpo non era facile, specialmente nei villaggi; essi, tuttavia, trovarono la legna e approntarono il tutto. Passando davanti alla casa di Subbâmmâ, notai numerose persone lì riunite e chiesi: "Chi deve essere cremato?" Il lavandaio Subbanna era lì e rispose: "Swami! Subbâmmâ è morta." Chiesi ancora: "Veramente? Quando è morta?" "Tre giorni fa, Swami", rispose lui. Entrai nella casa in cui giaceva il suo corpo; i parenti stavano per portarlo fuori per la cremazione. Sua sorella Mi vide e prese a lamentarsi dicendoMi: "Baba! Ella ha sperato nel Tuo arrivo; bramava che Tu le versassi dell’acqua in bocca prima di esalare l’ultimo respiro, ma è morta senza che il suo desiderio fosse esaudito." Le dissi che non c’era alcuna possibilità di una simile eventualità e le chiesi di portare un bicchier d’acqua; vi misi quindi una foglia di basilico1 e rimossi il panno che le copriva la faccia. Il corpo era invaso dalle formiche. Pronunciai allora dolcemente il suo nome: "Subbâmmâ!", ed ella apri gli occhi e Mi vide. Prese piangendo le Mie mani e chiese: "Quando sei arrivato, Swami?" Risposi: "Sono appena arrivato." Le asciugai delicatamente le lacrime con un tovagliolo e le dissi: "Subbâmmâ, guarda!" Poi le versai alcune gocce di acqua consacrata in bocca, dicendo: "Ora chiudi gli occhi in pace." Subbâmmâ bevve l’acqua dalle Mie mani e spirò. In questo modo, Io mantenni la promessa [fatta] a Subbâmmâ. Mentre avveniva questo strano fatto, tutti i suoi parenti ed i medici che l’avevano curata assistevano sgomenti non riuscendo a credere ai loro occhi. Essi pensavano: "Com’è possibile! Subbâmmâ è morta tre giorni fa; nel suo corpo non c’era respiro. Come può aver aperto gli occhi e parlato con Swami? Probabilmente è un Miracolo Divino di Sai Baba." Durante la sua vita, Subbâmmâ era perennemente preoccupata del fatto che Swami fosse sempre in movimento per visitare tanti posti e che il suo ultimo desiderio non potesse esser soddisfatto, ma Io mantenni la promessa fattale molto tempo prima. Alla fine il cadavere di Subbâmmâ fu cremato dai parenti secondo il costume della sua famiglia; ella era una bramina. Io partii per tornare a Puttaparthi; un carro trainato dai buoi era stato approntato per il Mio ritorno. Sedetti nel carro con il fratello di Griham Ammâyî (Îshvarâmmâ); il suo nome era Chandramouli (zio materno del Corpo fisico di Swami). Dal luogo della cremazione, in cui le spoglie mortali di Subbâmmâ venivano consegnate alle fiamme, vedemmo salire del fumo. Chandramouli chiese: "Swami! Tu sei rimasto con il cadavere di Subbâmmâ fino ad ora; perché non hai aspettato che la cremazione fosse finita?" Gli dissi: "Chandramouli! Io non sono una persona che manca di parola: avevo promesso a Subbâmmâ che sarei stato presente al suo fianco durante gli ultimi attimi della sua vita e che le avrei versato dell’acqua in bocca. Questo ho mantenuto. Le ho raccomandato di lasciare questo mondo in pace. Ho mantenuto la Mia promessa e ora torno alla Mia dimora." Chandramouli fu molto contento. In effetti Subbâmmâ era molto stimata da tutto il villaggio; ella era il capo del villaggio essendo la moglie di Karnam (il capo del villaggio). Tutte le proprietà del villaggio erano a suo nome ma, da quando si era dedicata a Swami, non aveva avuto nella vita altro interesse che Swami: dal primo mattino fino a che non andava a letto, era costantemente impegnata esclusivamente nel lavoro per Swami. In certe occasioni, avevo l’abitudine di ritirarMi nelle grotte delle colline circostanti senza informarla. Poveretta! Andava in giro per le colline a cercarMi. Usava mettere dei dosa, upma, vada, idli ecc. in un paniere e venire a cercarMi. Alla fine, quando Mi trovava, le chiedevo scherzando: "Subbâmmâ! Che cosa Mi hai portato?", e lei rispondeva: "Swami! Ho portato le cose che Ti piacciono." Allora le dicevo "DamMi un dosa", e lei lo poneva in un piatto e Me lo porgeva, al che la tormentavo ancora dicendo: "Subbâmmâ! Questo dosa non Mi piace, damMi un idli, upma, vada ecc." Povera donna! Lei Mi serviva tutto questo. Da mane a sera preparava una quantità di piatti e Mi aspettava. Sì, ella si preoccupava di sapere che altro Mi necessitasse. Una volta le dissi: "Subbâmmâ! Non temere: Io non ho bisogno di niente. Ti ho fatto un mucchio di richieste pretendendo questo e quello affinché la tua devozione e il tuo abbandono fossero noti al mondo." Ella allora Mi chiese: "Swami! Sono felice di esser stata capace di servirTi del cibo; sono contenta anche che Tu mangi queste cose con amore e affetto verso di me. Mi farai felice se vorrai gentilmente mettermi in bocca una piccola quantità di questa roba con le Tue Mani Divine. Presi , allora, un pezzetto di idli dal piatto e glielo misi in bocca con un po’ di chutney ; ella ne fu felicissima. In questo modo Subbâmmâ sperimentò grande felicità nella Divina vicinanza di Swami fino al suo ultimo respiro. Chandramouli, che in numerose occasioni fu testimone del Mio inondare Subbâmmâ di amore e di grazia, osservò: "Swami come sei compassionevole verso i devoti! Non ci sono parole per esprimere il Tuo Amore e la Tua Compassione verso i devoti, specialmente verso Subbâmmâ." Vero! Le parole non possono descrivere l’Amore e Compassione di Swami verso Subbâmmâ; la devozione di Subbâmmâ verso Swami sorpassava persino quella di Prahlâda. La gente, a quel punto, aveva compreso come Swami avesse mantenuto la promessa fatta a Subbâmmâ e aveva sentito che la vita di lei era stata santificata. Prendendo spunto dal suo esempio, numerose persone anziane venivano a trovarMi chiedendo: "Swami! Per favore, prometti che mi verserai dell’acqua consacrata in bocca con le Tue Mani Divine nel momento del mio distacco da questo mondo." Io ero solito dir loro: "Miei cari! Non tutti possono avere questo grande dono. Se riceverlo è vostro destino, certamente lo avrete; Io verrò al momento giusto e verserò acqua consacrata nella vostra bocca."
L’attesa fiduciosa di Kondama Râju
Kondama Râju (il nonno di Baba) osservava queste persone che venivano da Swami con questo tipo di richiesta e anche lui maturò un grande desiderio per questo prâpti (merito). Un giorno Mi avvicinò e disse: "Swami! Tu sei nato nella nostra famiglia, nella nostra discendenza, e ne hai sostenuto l’onore e la gloria, ma anch’io ho una richiesta da farTi: desidero e prego che la mia nascita nella nostra famiglia sia santificata; per tale ragione Ti chiedo, per favore, di versarmi dell’acqua consacrata in bocca con le Tue Mani Divine durante gli ultimi momenti della mia vita." Gli assicurai che avrei certamente soddisfatto la sua richiesta ed egli ne fu molto contento, perché sapeva che una volta che Swami ha dato la Sua Parola, senz’altro la manterrà. Egli visse 112 anni. Ogni mattina camminava dal villaggio al nuovo mandir per avere il Mio darshan. Un giorno gli chiesi: "Perché percorri tutto il tragitto dal villaggio al mandir e ritorno? Potrebbero esserci dei bovini sulla strada e, se ti aggredissero, tu cadresti ferendoti, non è vero?" Egli Mi rispondeva con grande sicurezza: "Swami! Quando Tu mi proteggi e sei costantemente al mio fianco, quale animale potrebbe aggredirmi?" Un giorno, al mattino presto, egli venne al mandir ed ebbe il Mio darshan, dopodiché tornò a casa e si sdraiò. Dopo un po’ disse a Îshvarâmmâ di andare vicino al tempio di Satyabhâmâ e guardare se Swami stesse venendo da quella parte. Ella andò là e tornò dicendogli: "Sì, Swami sta arrivando con la Sua macchina." Allora, Swami aveva una piccola automobile. Kondama Râju disse: "Îshvarâmmâ! Prendi un bicchiere d’acqua e mettici una foglia di basilico." Ella fece come le era stato chiesto. Lui teneva in mano il bicchiere e Mi aspettava, sapendo che la sua fine era vicina e che Io ero andato lì per mantenere la Mia promessa. Nessun altro lo sapeva. Tenendo il bicchiere, disse: "Swami! Sono pronto", e Io risposi: "Sono pronto anch’Io." Non appena gli versai l’acqua in bocca egli trapassò in pace. Prima di morire disse: "Che grande fortuna è bere acqua dalle Tue Divine Mani prima di lasciare questo mondo! Neanche re Dasharatha, che fece grandi penitenze e sacrifici, ebbe questa fortuna. La mia vita è redenta." Con questo episodio di Kondama Râju fu mostrato ancora una volta a tutto il mondo che Swami mantiene sempre la Sua Parola, qualunque cosa accada! Le vite di Subbâmmâ e Kondama Râju furono così redente. Io manifesto i Miei lîlâ (giochi) divini in molti modi per mantenere la parola e travalico qualsiasi confine per mantenere la Mia promessa. Alcuni devoti agiscono invece in senso contrario alle loro parole. Fui mandato a Kamalapuram alle scuole superiori. Il fratello maggiore di questo Corpo, Seshama Râju, era determinato sul fatto che acquisissi un’educazione superiore, ragion per cui Mi portò con sé a Kamalapuram e Mi iscrisse a scuola. Per scarsità di fondi, in quel periodo faticavo molto a portare avanti gli studi; spesso dovevo arrangiarMi con le tasche vuote, per cui ero avvezzo a usare il Mio talento poetico per guadagnare qualche moneta con cui soddisfare i bisogni personali.
La medicina prodigiosa
Nello stesso villaggio c’era un commerciante, di nome Kotte Subbanna, che gestiva un emporio in cui vendeva anche delle medicine ayurvediche. Una volta, una nuova medicina ayurvedica di nome Bala Bhâskara fu messa in vendita nel suo negozio; era un prodotto nuovo e molto efficace che, se reclamizzato, avrebbe potuto procurargli un buon profitto. A questo scopo egli Mi chiese di accettare il compito di far propaganda a questa nuova medicina. Accondiscesi alla richiesta, ma chiesi ulteriori informazioni sul prodotto. In seguito, composi un canto sulla sua efficacia e radunai alcuni bambini della Mia età per andare in giro con dei cartelli in mano a cantarlo nei villaggi vicini. Il canto suona così:
"Eccola! Eccola! Oh, bambini! Venite, venite!
Qui c’è la medicina Bala Bhâskara.
Che si tratti di uno stomaco in disordine o di una gamba gonfia,
di un dolore articolare o flatulenza,
di qualunque disturbo conosciuto o sconosciuto,
prendete questa Bala Bhâskara per una guarigione istantanea!
Se volete sapere dove trovarla,
c’è il negozio di Kotte Subbanna: è in quel negozio che potete procurarvela.
Venite, ragazzi! Venite qui!
È un tonico eccellente preparato dal famoso medico Gopâlâchârya stesso.
Venite, ragazzi! Venite qui!"
Quando il nostro giro di propaganda nei villaggi vicini fu finito, tutta la scorta di medicine del negozio di Subbanna era esaurita ed egli ne fu molto contento. Per tale ragione, Mi chiamò e Mi offrì un paio di calzoni alla zuava e una camicia ricamati per Me. Io li rifiutai con decisione, dicendo: "Subbanna! Io non ho composto quel canto con il fine di avere nuovi indumenti; non ne ho bisogno e non li toccherò. Riprendili, per favore. Se Mi offri denaro od oggetti, in cambio dei Miei servigi, non metterò più piede nel tuo negozio." Egli comprese la Mia sincerità e i Miei forti sentimenti. Da allora in avanti, fu solito dire: "Râju! In questo mondo, non voglio altro che il Tuo Amore."
Amorevole sopportazione
Un altro fatto accadde mentre studiavo a Kamalapuram. Frequentavo un campo scout in un villaggio vicino chiamato Pushpagiri, dove si teneva una grande fiera. Rimasi lontano da casa per alcuni giorni e non c’era quindi nessuno che andasse ad un pozzo distante a prendere l’acqua per le necessità domestiche. Di conseguenza, la moglie di Seshama Râju dovette assolvere questa incombenza. Quando tornai dal campo scout, Seshama Râju era arrabbiato per il fatto che non ci fosse nessuno in casa ad aiutare sua moglie. In quel momento egli stava tracciando delle righe su di un quaderno con l’aiuto di un righello di legno. Non appena Mi vide, gridò: "Ehi! Vieni qui. Nei giorni passati, non c’è stato nessuno in casa per andare a prender l’acqua. Tua cognata ha dovuto provvedere anche a questo oltre che ai suoi lavori domestici." Così dicendo, prese il righello e Mi colpì con rabbia. Il righello si ruppe in tre pezzi; la Mano Mi si gonfiò e Mi doleva molto. Io non replicai né raccontai il fatto ad alcuno e Me la fasciai con un panno bagnato. Il giorno dopo, il figlio di Seshama Râju morì ed egli inviò un telegramma a Pedda Venkama Râju (il padre di Swami). Quest’ultimo corse subito: partì da Puttaparthi per Bukkapatnam e di lì proseguì per Kamalapuram. Griham Abbâyî (il padre di Swami) Mi chiese perché avessi una benda sull’avambraccio; Io cercai di dargli una spiegazione qualsiasi, come se niente fosse accaduto e gli dissi che provavo un leggero dolore per una vescichetta sull’avambraccio, motivo per cui ci avevo messo una benda. Nella casa vicina, c’era una signora, che apparteneva alla comunità Vysya, la quale si guadagnava da vivere preparando e vendendo dei dosa. Ella cercò di ragionare con Griham Abbâyî, dicendo: "Senti un po’, Venkama Râju! So che sei sufficientemente benestante da far studiare Râju a casa vostra. Perché metterLo tanto in difficoltà affidandoLo alle cure del fratello maggiore in un posto così lontano? Tu non sai quanta sofferenza deve sopportare qui quel povero ragazzo: deve andare a prendere l’acqua da bere in un posto distante portando tutti i giorni, sulle Sue giovani spalle, due grandi brocche con un kavadi." Poi raccontò vari casi in cui Io avevo dovuto sopportare fatica fisica e sofferenza. Venendo a conoscenza della Mia situazione, Griham Abbâyî ne fu profondamente commosso; Mi chiamo immediatamente e disse: "Figlio mio caro! Tu parti immediatamente e vieni con me; torniamo a Puttaparthi." Tutti i membri della famiglia Mi amavano ed egli si rammaricò: "So che la ferita sul Tuo avambraccio è dovuta alle percosse del Tuo fratello maggiore. Io stesso non Ti batto. Tu stai subendo troppa sofferenza qui. Vieni, torniamo a Puttaparthi." Quando accadde questo fatto, Griham Abbâyî fece un commento che Mi risuona ancor oggi nelle orecchie: "Sathyam! Se uno è vivo, può guadagnarsi da vivere anche vendendo il sale. Non posso lasciarTi ulteriormente in questo tormento; non posso forse provvedere al Tuo mantenimento anche con i miei pochi mezzi?" Così dicendo, si mise a piangere. Da allora in poi, non Mi affidò più a nessuno. La Mia istruzione regolare terminò con la scuola superiore e non frequentai nessun college. Ciononostante ho continuato la Mia Missione come un Satya bodhaka (insegnante di Verità), facendo di Puttaparthi il Mio quartier generale.
Una poesia su Puttaparthi
Ho composto una bella poesia che descrive la storia gloriosa di Puttaparthi dicendo:
"Aggirando quale città il sacro fiume
Citrâvatî scorre in tutta la sua naturale bellezza?
Intorno a quale città ci sono bellissimi
alberi di mango, simbolo di buon auspicio?
Ergendosi a guardia dei quattro lati di quale città
stanno le Deità di Pârvatî e Parameshvara a continua protezione?
Al centro di quale città, ha salda dimora
il radioso Signore Vishnu in tutto il Suo splendore?
Quella città famosa nel mondo è Puttapuram o Puttaparthi
con il suo deposito di acqua dolce, costruito da Cikkavadiyar,
che si erge quale eterno monumento alla gloria di [re] Bukkaraya."
A ricordo di Subbâmmâ
Ho costruito una comunità residenziale per commemorare il grande amore e la grande devozione che Subbâmmâ aveva verso di Me e l’ho chiamata "Karnam Subbâmmâ Nagar"2. Si trova vicino al Gokulam. Ho anche acquistato delle mucche e assunto delle persone affinché se ne prendano cura. Alcune di queste persone sono state alloggiate nelle abitazioni del "Karnam Subbâmmâ Nagar". In questo modo Mi sono impegnato a far sì che il nome di Subbâmmâ sia ricordato dai devoti per sempre.
Orfani fortunati
Alcuni anni fa, ho dato inizio a un progetto chiamato Dînajanoddhârana Pathakam per adottare alcuni bambini orfani e provvedere a loro con cibo, indumenti ed educazione, in modo che, quando saranno cresciuti, siano capaci di vivere la vita con onore e dignità. Io Mi curo di questi ragazzi con tutto l’Amore e ogni Premura. Dovete aver visto questi ragazzi quando vengono per il darshan ogni giovedì e ogni domenica. Ho anche costruito per loro degli alloggi in modo tale che possano viverci confortevolmente. Oltre alla loro normale educazione, essi stanno ora acquisendo competenza anche in attività extracurricolari. Ci sono dunque moltissime attività di servizio che ho intrapreso fin dalla Mia infanzia. Se dovessimo raccontarle tutte, potremmo andare avanti per ore.
Cari studenti!
Io nutro grande amore per voi. Auspico che cresciate tutti bene e vi guadagniate un buon nome. Io amo quei ragazzi che si procurano un buon nome: in effetti, dono loro Me Stesso. Io vi darò tutto quello che volete.
Prashânti Nilayam, 9 marzo 2005,
Sai Kulwant Hall
Celebrazioni di Mahâshivarâtrî
(Tradotto dal testo inglese pubblicato sul sito internet dello Shrî Sathya Sai Central Trust di Prashânti Nilayam http://www.srisathyasai.org.in/)
Note:
Si tratta del tulasî o tulsî, il basilico sacro.
"La città di Karnam Subbâmmâ".