“Tutti devono affrontare le conseguenze del proprio karma.
Chi ha fatto sì che il pipistrello si appenda
ai rami di un albero a testa in giù?
Questo è il destino dei pipistrelli.
Similmente, nessuno può sfuggire
alle conseguenze delle proprie azioni.”
Studenti!
Il karma (principio di causalità) non ha piedi, né occhi, né bocca ma l’uomo non può sfuggirgli. Questo è il motivo per cui i nostri antenati dichiararono che non si può sfuggire alle conseguenze delle proprie azioni. Il karma non si conforma alle vostre preferenze o alle vostre avversioni. Alcune cose avvengono indipendentemente dai vostri desideri e, allo stesso modo, altre cose non possono essere evitate solo perché non le volete. Il karma segue il proprio corso. I vostri pensieri e i vostri desideri sono la causa dell’illusione che vi fa credere che le cose accadano per volontà vostra.
L’Unico che permane
Il mondo è pieno di mistero e di cose meravigliose; esso non è altro che la manifestazione dei cinque elementi e, con il passare del tempo, sottostà a dei cambiamenti. Allo stesso modo anche il corpo fisico, che è pure composto dai cinque elementi, è soggetto a cambiare. Solo l’Abitante è permanente.
L’imperscrutabile Volontà divina
Incarnazioni dell’Amore!
A nessuno è possibile andare contro il Volere di Dio. Le vie del Signore sono al di là della capacità di comprensione degli esseri umani. Dio può far apparire cose che in realtà non esistono. Allo stesso modo, per Volontà divina, ciò che appare agli occhi può scomparire in un istante. Com’è possibile, a chiunque, comprendere questi avvenimenti misteriosi? Nessuno può proteggere il corpo fisico per sempre; esso dura giusto il tempo per cui è destinato a vivere. Una volta che lo scopo è raggiunto, il corpo perirà. Nessuno ha il controllo sulla morte: essa viene decisa nell’istante stesso della nascita, la data di partenza è scritta sul corpo nel momento in cui questo viene al mondo. Per l’uomo è impossibile comprendere il modo in cui funziona l’universo. L’esperienza di ciascuna persona è unica. Com’è possibile che il pipistrello resti appeso ai rami di un albero a testa in giù? Nessuno può spiegare questo fenomeno. Chi è il responsabile delle meraviglie e dei misteri di cui siamo testimoni a questo mondo? Ciò che ciascuno deve fare, il quando, il dove e il come, è tutto predestinato: l’uomo non ne ha il controllo. Tutto succede a seguito della Volontà divina e del Suo comando ed obbedire incondizionatamente al Comando divino è un dovere primario dell’uomo. Tutto, a questo mondo, visibile o non percepibile che sia, avviene secondo la Volontà divina. Non bisogna dar retta a ciò che dicono gli altri quando si tratta di obbedire al Comando di Dio: dovete obbedire al Suo Comando alla lettera e nello spirito senza aggiungere virgole e punti voi stessi. Sfortunatamente oggi nessuno fa alcuno sforzo per capire i misteri della creazione. Gli scienziati dichiarano con orgoglio di aver svelato i misteri della creazione ma non hanno una vera esperienza della realtà che si cela dietro i fenomeni. Ogni singola attività che si svolge nell’universo è prodigiosa. Se osservate con attenzione, riuscirete a percepire l’invisibile Mano di Dio all’opera.
Devozione e fede incondizionata di Mârkandeya
Incarnazioni dell’Amore!
Si deve ubbidire al Comando di Dio con fede totale e senza alcun tipo di disquisizione favorevole o contraria ad esso. Mârkandeya era nato come frutto di una concessione di Îshvara ai suoi genitori. Questi aveva chiesto loro se desiderassero un figlio virtuoso con una vita breve o un figlio meno virtuoso ma con una vita lunga. I genitori optarono per il figlio virtuoso e, a seguito di questa decisione, nacque Mârkandeya che era una persona dai buoni pensieri e dal comportamento retto. Îshvara li informò che il loro figlio sarebbe vissuto solo sedici anni. Nonostante ciò, i genitori erano colmi di gioia per il fatto di esser stati benedetti dalla nascita di un figlio virtuoso. Gli anni trascorsero e Mârkandeya entrò nel sedicesimo anno d’età. I genitori, ricordando le parole di Îshvara, caddero in una profonda disperazione; la madre cominciò a piangere spesso al pensiero dell’imminente morte del figlio. Mârkandeya non capiva la causa di questa disperazione e si chiedeva perché ella piangesse. Un giorno trovò i propri genitori prostrati dal dolore; alle sue domande, essi gli rivelarono che, per Volontà divina, la sua morte era imminente e che questo era ciò che procurava loro tanto dolore. Mârkandeya si sentì triste per il fatto che la Volontà di Îshvara non gli fosse stata rivelata fino allora, cosa che gli aveva fatto sprecare il prezioso tempo che gli era stato concesso. Non voleva sprecare ulteriormente il tempo (rimastogli) per cui, di buon mattino fece un bagno, andò al tempio di Îshvara e cominciò a cantare i sacri mantra “Shiva Pañchâkshari” e “Namah Shivâya”, con assoluta sincerità e devozione, perdendosi nella contemplazione del Signore. Non si aspettava alcuna ricompensa per le sue preghiere e considerava suo dovere primario la contemplazione di Dio. Il giorno seguente doveva essere l’ultimo del suo soggiorno terreno, ragion per cui rimase nel tempio. Dato che non era tornato a casa, i suoi genitori andarono al tempio e si sedettero all’entrata. Piangevano al pensiero dell’incombente morte di Mârkandeya. Secondo la Volontà del Signore, questi abbandonò le sue spoglie mortali nel momento stesso in cui compì il suo sedicesimo anno di vita. I suoi genitori erano immersi nel dolore. Dopo che Mârkandeya ebbe lasciato il proprio corpo mortale nel mondo esterno, il suo jîva (anima) raggiunse il Signore Shiva nel mondo divino. Il Signore era rimasto immensamente compiaciuto della sincera devozione di Mârkandeya e gli disse: “Mârkandeya, oggi è il giorno in cui hai compiuto il tuo sedicesimo anno. Sei venuto a Me di buon umore, ti sei inchinato alla Mia Volontà con fede e obbedienza incondizionate. Sono compiaciuto della tua devozione!” Mentre Îshvara stava parlando al ragazzo in questo modo, Madre Pârvatî intervenne dicendo: “Signore! Perché non lo rimandi ai suoi genitori visto che ha obbedito incondizionatamente ai Tuoi comandi?” Îshvara (acconsentì ma) volle che Pârvatî Lo aiutasse. Insieme infusero nuova vita nel corpo di Mârkandeya. Quando i genitori notarono qualche movimento nel corpo del giovane, la loro gioia non conobbe limiti. Questi si alzò e disse: “Miei cari genitori! Il Signore Îshvara e Madre Pârvatî mi hanno riportato in vita. Starò con voi finché mi vorrete. Dobbiamo avere pensieri nobili e compiere azioni meritorie. Io compirò i miei doveri di figlio e vi renderò felici". Mârkandeya tornò a casa in compagnia dei propri genitori e la gente del villaggio rimase di stucco quando venne a sapere che era stato resuscitato dal Signore Îshvara e da Madre Pârvatî. Egli narrò a tutti in dettaglio che cosa gli era accaduto nel mondo divino.
L’immenso potere della devozione
Dio risponde alle preghiere dei devoti e viene in loro soccorso solo quando sono puri di cuore. Chi è puro di cuore può persino alterare il sankalpa (la volontà) di Dio. La storia di Mârkandeya fornisce un’ampia testimonianza in proposito. Egli non aveva desideri e fece un uso sacro del tempo a lui concesso. Il dovere primario di un devoto consiste nel coltivare nobili pensieri e nel compiere azioni sacre. Mârkandeya rimase un ciranjîvi (un immortale), servì i propri genitori e dette loro una felicità immensa. Normalmente la Volontà di Dio non può essere alterata ma talvolta Dio cambia la Sua decisione in risposta alle preghiere di un devoto che è sincero e puro di cuore; il devoto ha la facoltà di cambiare la Volontà di Dio. La devozione non è però la mera espressione vocale delle preghiere: si deve avere purezza di cuore.
Grandi Maestri
Âdi Shankara nacque nello stato indiano del Kerala nel VII secolo d.C. e propagò tra gli esseri umani l’essenza di tutte le Scritture. Lasciò il corpo alla giovane età di 32 anni. Râmânujâchârya era nato nel secolo XI d.C. e aveva propagato l’efficacia del Nome divino. Quello era un periodo in cui la devozione per Dio era in declino e fu a causa degli insegnamenti di Râmânujâchârya che la gente sviluppò la devozione e un senso di resa a Dio. Madhvâchârya invece era nato nel XIII secolo d.C. e aveva propagato il Principio della Dvaita (il Dualismo). Aveva anche insegnato che, nell’essenza, Jîva (l’anima individuale) e Deva (l’Anima universale) non differiscono. Comunque, il Principio fondamentale di tutti e tre i sistemi filosofici propagati da Âdi Shankara, Râmânujâchârya e Madhvâchârya è lo stesso. Lo stesso Principio atmico è presente in tutti gli esseri; ad esso ci si riferisce come Îshvaratva (la Divinità). Le Incarnazioni Divine, come Râma e Krishna, possono essere riconosciute dalle loro Forme Divine. Ogni Incarnazione ha una Forma particolare, ma la Divinità non ha Forma; essa rappresenta il Principio di Verità che è presente in tutti gli esseri ed è responsabile di Srushti (la Creazione), sthiti (il Sostentamento) e Laya (la Dissoluzione).
Il profondo significato del Linga
La Divinità, che non ha una Forma specifica, viene simboleggiata nella Forma del Linga. Esso viene generalmente posto su una base orizzontale conosciuta come panavatta. Sapete che aspetto ha? (Pronunciate queste parole, Baba con un ondeggiamento della mano materializza un Linga con il panavatta n.d.t.). Il Signore Îshvara esortò Mârkandeya e i suoi genitori a santificare il loro tempo nella contemplazione di Dio. Materializzò un Linga come questo e Lo dette a quei genitori; essi santificarono la loro vita adorandoLo. Il Linga rappresenta il Principio Atmico che è presente in tutti. A nessuno è possibile capire o valutare il Potere Divino. Il Principio dell’Âtma è immutabile ma può assumere diverse forme per assecondare i sentimenti dei devoti. Il Linga non è qualcosa che è stato fatto per l’adorazione: esso è la diretta manifestazione della Divinità. Questa Verità fu ben compresa da Mârkandeya e da suo padre Mrukanda che, per questo motivo, adorarono la Divinità nella la Forma di un Linga.
Sforzo personale e grazia divina
Ogni essere umano comprende tre aspetti: sthûla (grossolano), sûkshma (sottile) e kârana (causale). La forma fisica rappresenta l’aspetto grossolano. Lo stesso Principio Divino è presente in tutti e tre i livelli. Senza filo non esiste il tessuto, senza argento non può esistere un piatto (d’argento), senza argilla non si può creare un vaso. Allo stesso modo, senza Brahma (la Divinità) non può esistere il mondo, senza il Creatore non ci sarà alcuna Creazione. Il Creatore può essere paragonato al filo e la Creazione al tessuto. Il Creatore è l’incarnazione degli aspetti grossolani, sottili e causali. Quando contemplate Dio, dovete trascendere la mente. Il solo fatto di possedere dei fili non significa necessariamente che si abbia un tessuto: i fili devono essere intessuti fra di loro. Allo stesso modo, lo sforzo personale e la grazia divina sono entrambi essenziali per acquisire i risultati desiderati.
Cantare i Veda per raggiungere il Divino
Il corpo sottile è la fonte da cui hanno origine le nostre parole e le nostre azioni. I nostri studenti cantano i Veda tutti i giorni. Ad ogni mantra è attribuita una particolare Forma della Divinità ed è necessario conoscerli tutti. Se si vogliono purificare i propri pensieri e capire il proprio vero Sé, si devono prendere come base i Veda. Incapaci di comprendere questa Verità, quando si arriva al canto dei mantra vedici, molti studenti si comportano come ladri. Chi fa qualcosa di sbagliato e finge di non saperlo è un ladro. Allo stesso modo, può esser definito “ladro” chi ha la capacità di cantare i Veda e non lo fa a piena voce e con tutto il cuore. Tutti gli studenti sanno cantare i Veda ma alcuni di essi non si uniscono agli altri nel canto. Non fanno un uso appropriato di tutto ciò che hanno imparato e tengono per sé tutto ciò che hanno appreso. Io osservo gli studenti mentre cantano i Veda: dato che hanno imparato i mantra, ci si aspetta che li cantino ma alcuni di loro stanno zitti. In un certo senso compiono un “furto della conoscenza” ed un “tradimento verso Dio”. In questo modo, delle persone istruite diventano dei rinnegati e dei traditori. Solo coloro che cantano con tutto il cuore ciò che hanno imparato sono candidati a Sakshâtkâra (la realizzazione di Dio). Quando gli studenti cantano i mantra, anche le signore sedute dall’altra parte si uniscono a loro. Esse hanno tutti i diritti di cantare i Veda e nessuno può negar loro questo diritto; quando sentono cantare i nostri studenti si sentono ispirate a cantare i Veda. Ci sono molti bambini piccoli seduti qui. Chi ha insegnato loro i Veda? Essi ascoltano attentamente quando gli studenti più grandi cantano i mantra e li imparano a memoria. Invece ci sono delle persone istruite, sedute di fianco ai ragazzi che cantano i Veda, che rimangono a labbra serrate. Io li osservo. A che cosa serve star seduti con il gruppo che canta i Veda se non ci si sforza di impararli e cantarli? Quelli sono ladri ancor più grandi: ascoltano i canti vedici ma non vi prendono parte. Per sperimentare la Divinità, i mantra non vanno solo ascoltati ma anche cantati. I Veda sono la forma vera e propria di Dio. Ci sono molti mantra per propiziare i pañcha bhûta (i cinque elementi); essi sono il nostro vero e proprio respiro vitale: sostengono la nostra vita. Il mondo stesso è una loro manifestazione. La gente, però, dimentica di esprimere la propria gratitudine ai cinque elementi. Che peccato è mai questo! Ci riempiamo la mente di informazioni non necessarie ed, in conseguenza a ciò, non riserviamo il giusto rispetto ai cinque elementi. Tutti devono necessariamente studiare i Veda, meditare su di essi e cantarli con tutto il cuore; non serve a niente che li impariate se poi non li cantate. Ci sono poi alcuni che cantano i mantra mentre sono qui ma li dimenticano quando sono fuori. Potete andare ovunque ma dovete ripetere i mantra, almeno nella vostra mente. Non dovete mai diventare un vidyâ drohi (uno che non rende giustizia alla conoscenza acquisita). Un vidyâ drohi diventerà anche un Daiva drohi (uno che tradirà Dio) e alla fine perderà la possibilità di diventare contenitore della grazia di Dio.
Cantare i Veda in modo adeguato
Gli studenti possono sbagliare senza rendersene conto ma, una volta capiti i loro errori, non devono ripeterli. Quali che siano i mantra che sentite oggi, dovete riuscire a cantarli domani. Quando tutte le persone cantano i mantra all’unisono e in perfetta armonia, Dio si manifesta proprio davanti a loro! I nostri antichi saggi e veggenti dichiararono:
“Ho visualizzato l’Essere Supremo che risplende
dello splendore di un bilione di soli
e che si trova al di là di tamas, l’oscurità dell’ignoranza.”
Il suono dei Veda è altamente sacro e viene esaltato come:
Shabda Brahmamayî (Incarnazione del suono).
Charâcharamayî (Incarnazione della mobilità e dell’immobilità).
Jyotirmayî (Incarnazione della luce).
Vângmayî (Incarnazione della parola).
Nityânandamayî (Incarnazione della beatitudine eterna).
Parâtparamayî (Incarnazione della perfezione).
Mâyâmayî (Incarnazione dell’illusione).
Shrîmayî (Incarnazione della prosperità).
Apprendere i Veda è doveroso per tutti e, se proprio non è possibile, almeno si deve ripetere il Nome di Dio. Quali che siano i mantra vedici che imparate, dovete essere in grado di cantarli appropriatamente, altrimenti è meglio che non li impariate affatto! Ho visto molti ragazzi che imparano i Veda qui ma li dimenticano quando vanno a Bangalore; ne cantano uno o due per soddisfare gli anziani in visita a quel posto. (I mantra) non si devono cantare per pubblicità ma per trarre beneficio dalla sperimentazione della Beatitudine che ne deriva. I tre aspetti, cioè karma (l’azione), upâsana (l’adorazione) e jñâna (la saggezza), possono esser paragonati al cantare, praticare e sperimentare la beatitudine. Dovete trascendere Vijñânamaya Kosha (l’involucro della saggezza) ed entrare in Ânandamaya Kosha (l’involucro della beatitudine). L’azione porta all’adorazione la quale, a sua volta, conduce alla Conoscenza. Una volta ottenuta la Conoscenza, sperimenterete pace e beatitudine. Tutto dipende dall’azione. Non dovete cantare i mantra in modo meccanico, solo perché li cantano gli altri; dovete assimilarli e digerirli. Perché ingerite il cibo? Per conservarlo nello stomaco? No. Il cibo ingerito deve essere digerito e l’essenza distribuita a tutte le parti del corpo. Allo stesso modo, dovete capire e assimilare la conoscenza vedica e derivarne forza; essa deve essere espressa nei vostri pensieri, nelle vostre parole e nelle vostre azioni. Dovete prendere parte alla propagazione dei Veda e dividere la vostra gioia con gli altri. La gente afferma che Dio è omnipervasivo; Egli è presente ovunque nella forma dei cinque elementi. Ciascun elemento rappresenta una forma della Divinità e tutti e cinque gli elementi insieme costituiscono la forma dell’Âtma. Se comprenderete questa Verità, sperimenterete la Beatitudine divina.
Lo scrigno del tesoro della Conoscenza
Incarnazioni dell’Amore! Studenti!
Qualsiasi cosa voi abbiate imparato qui, dividetela con gli altri. Anzi, condividerla non è neppure sufficiente: dovete anche mettere la vostra conoscenza in pratica e derivarne beneficio. A casa prepariamo tante pietanze squisite da servire agli ospiti; non è forse necessario che anche noi ne prendiamo qualcuna? Allo stesso modo, dobbiamo digerire la Conoscenza vedica che abbiamo acquisito e condividerla. Tutti i tipi di conoscenza hanno avuto origine dai Veda. Questo è il motivo per cui essi vengono esaltati come “lo scrigno del tesoro della Conoscenza”. Sfortunatamente, noi non facciamo un uso appropriato di tale tesoro. Condividete la vostra conoscenza così come l’avete appresa.
Non dimenticate mai ciò che avete appreso
Con uno sforzo sincero sarete senz’altro in grado di ottenere la realizzazione di Dio. Come fece a ottenerla Mârkandeya? Ripetendo il mantra Pañchâkshari fino a dimenticare se stesso. Come risultato, il Signore Îshvara gli apparve e riversò su di lui la Sua grazia. Coloro che, fra voi, desiderano avere la visione di Dio devono digerire la Saggezza vedica acquisita e dividerla con gli altri.
Prashânti Nilayam, 19 ottobre 2004
Sai Kulwant Hall
Festività di Dasara
(Tradotto dal testo inglese pubblicato sul sito internet dello
“Shrî Sathya Sai Central Trust” di Prashânti Nilayam)