DISCORSO DIVINO

Vero amore fraterno

18 maggio 2002

" Chi ha ego non č amato da nessuno;
chi ha ira non puņ avere discriminazione;
chi ha eccessivi desideri non puņ controllare la propria mente;
chi ha aviditą non puņ gustare la gioia."


Incarnazioni dell'Amore!
Finché un uomo ha ego, nessuno lo amerą. Perfino sua moglie ed i suoi figli lo disprezzeranno.
Quando l'ira prevale nell'uomo, egli cessa d'essere felice. I desideri eccessivi gli fanno perdere il controllo della mente. Il giorno in cui l'uomo abbandona l'aviditą, avrą la felicitą.

Rāma e Lakshmana raggiunsero Mithila insieme a Vishvāmitra.
Dopo che Rāma ebbe spezzato l'arco di Shiva, il re Janaka mandņ un invito a Dasaratha perché venisse a Mithila. Ciņ significa che Rāma e Lakshmana ebbero quattro giorni a propria disposizione.
Quando mancava un solo giorno all'arrivo dei loro genitori e fratelli, Lakshmana si avvicinņ al saggio Vishvāmitra dicendogli: "Maestro, i miei genitori e fratelli
arriveranno domani. Col vostro permesso, in questa giornata che resta, vorremmo visitare la cittą di Mithila".
Il saggio Vishvāmitra acconsentģ alla richiesta.

Rāma e Lakshmana s'incamminarono presto per le strade di Mithila. Come per effetto di una potente calamita, lo sguardo dei cittadini era attratto dai due principi. Anche le donne che stavano lavorando in casa, uscirono per avere una visione dei due ragazzi, e gli studenti corsero fuori delle classi. Tutti fissavano i due fratelli senza batter ciglio, chiedendosi: "Che bellezza celeste hanno questi due ragazzi; splendono come il sole e la luna. Da dove sono arrivati? Per
quale scopo? Chi saranno?" Cosģ si domandavano tra loro, ma nessuno
trovava una risposta.

Finalmente una giovane donna si affacciņ e spiegņ alle altre: "Io sono
nata nella cittą di Ayodhyā, e risiedo qui da quando ho sposato un uomo di Mithila. Questi bei ragazzi sono i figli dell'imperatore Dasaratha. Sono bellissimi e portano i nomi di Rāma e Lakshmana. Anche ad Ayodhyā, ogni qual volta appaiono, subito attraggono l'attenzione di tutti".
Cosģ le altre donne seppero dei due affascinanti principi.

Sebbene fossero il centro di un'intensa attrazione, Rāma e Lakshmana non sollevarono mai il capo.
Si godevano la loro passeggiata a capo chino. Delle donne, nell'intento di cogliere l'attenzione dei principi, gettarono dei fiori sul loro cammino, sperando di cogliere almeno un loro sguardo; e fecero ogni possibile tentativo per catturare uno sguardo di Rāma e Lakshmana; qualcuno si spinse perfino a presentare la sacra fiamma dell'Ārati. I due principi perņ restarono imperturbati e non guardarono nessuno. I giovani di quel tempo avevano una visione santa;
a quella giovane etą, nessuno di loro avrebbe guardato le donne.

Rāma e Lakshmana terminarono la loro passeggiata e tornarono a palazzo;
i loro genitori ed i fratelli erano nel frattempo arrivati. Quando i quattro fratelli si ritrovarono, essi brillavano come la luna tra le stelle. I cittadini di Mithila erano stupefatti per la bellezza, il portamento, l'aspetto dei quattro fratelli. Il giorno seguente l'arco di Shiva doveva essere esposto, e fu organizzata una gran cerimonia. Rāma si presentņ insieme ai suoi fratelli; nella sala c'erano
diversi altri potenti re ed imperatori.

Al vedere quella folla, la moglie del re Janaka, Sunetra, mentre osservava da dietro le tende, cominciņ a riflettere: "Ci sono tanti giovani principi belli e valenti
in quest'assemblea. Non sarebbe meglio scegliere uno di loro, fargli sposare mia figlia e risolvere presto la questione?
Che bisogno ha l'imperatore di complicare questa storia con l'annuncio che chi piega l'arco di Shiva sarą accettato come sposo? Parecchie personalitą eroiche ci hanno provato in passato senza riuscire; dovrebbero farcela questi giovanetti? Come possono con i loro teneri corpi sostenere il peso di quell'arco?".
Ella era molto preoccupata della cosa e ne discuteva con le sue compagne.

I suoi timori si resero concreti quando nessuno dell'assemblea fu in grado neppure di sollevare l'arco. Finalmente il saggio Vishvāmitra diede a Rāma il permesso di sollevare l'arco. Rāma andņ verso il luogo, in cui era custodito l'arco, e ne sollevņ il coperchio.
In quel momento una forte scossa fu avvertita e colpģ tutti. Lakshmana si alzņ e con un piede fece una forte pressione a terra. Nemmeno Vishvāmitra sapeva cosa stesse facendo, e glielo domandņ: "Lakshmana, cosa succede?
Cosa stai facendo?" Lakshmana chinņ umilmente la testa e rispose:
"Questo č l'aiuto che devo dare a mio fratello".
Intendeva con questo che, mentre Rāma alzava l'arco, l'improvviso sbilanciamento della Terra avrebbe determinato una forte scossa. Schiacciando gił la Terra, Lakshmana riequilibrava lo spostamento.

Che amore reciproco avevano i fratelli! Un giorno, mentre giocavano assieme, Bhārata corse piangendo da Kausalya. Questa gli chiese amorevolmente: "Perché piangi?
Ti hanno sgridato i tuoi fratelli maggiori? O te le hanno date?" - e cosģ cercava di capire per quale motivo Bhārata fosse cosģ addolorato. Il bambino rispose: "Mamma, nessuno dei miei fratelli si sognerebbe di rimproverarmi o di picchiarmi; mi vogliono tanto bene. Perņ per farmi vincere, Rāma continua a perdere la partita, a dispetto dei miei sforzi! Vuole che vinca sempre io!" Per far vincere il
fratello minore, Rāma perdeva di proposito. Quello era sempre il suo
intendimento. Ognuno dei fratelli seguiva questo sistema e cercava di far vincere gli altri.
Rāma sapeva che se il fratello avesse vinto e fosse cosģ stato felice, lo sarebbe stato anche lui. In questo modo, Rāma andņ incontro a seri problemi pur di assicurare il benessere ai suoi fratelli minori.

Quando Rāma ebbe sollevato l'arco sacro del Signore Shiva dalla sua urna, legņ la corda e la fece scoccare, facendone derivare un rumore come di tuono. Tutti si domandarono come potesse un simile giovinetto compiere un atto cosģ straordinario. L'arco non poteva essere sollevato, anche se ci avessero provato mille uomini. Parecchi elefanti erano stati necessari per trascinare l'urna nella sala. Come aveva potuto Rāma sollevare un arco cosģ pesante? Come era riuscito a fissargli la corda? La notizia eccezionale si diffuse in tutta Mithila, sollevando gran meraviglia.

Janaka diede il via alle preparazioni per le nozze di sua figlia con Rāma. Kushadwaja, suo fratello, aveva due figlie di nome Mandavi and Shrutakīrthi, mentre Janaka stesso aveva un'altra figlia, Ūrmilā. Mentre i preparativi erano in corso, il saggio Vashista avvicinņ Janaka dicendogli:
"Oh re! Ecco qui quattro giovani splendenti come il sole. Tutti e quattro sono valorosi ed eroici!". Quindi consultņ Kushadwaja e gli propose di dare le sue due
figlie come spose a Bhārata e Shatrugna. Kushadwaja fu subito d'accordo. Janaka pianse di gioia per la piega degli avvenimenti, e si decise a dare la sua seconda figlia Ūrmilā in moglie a Lakshmana.

Gli sposi furono finalmente pronti e salirono su un palco. Quando presero posto sul palco sembravano illuminare l'intera cittą di Mithila. Le signore erano estremamente eccitate; ringraziavano la loro sorte per poter essere testimoni delle nozze non solo di Sītā, ma di tutte le quattro principesse.
Cosģ č la volontą Divina. Se Dio vuole, puņ realizzare qualsiasi cosa.
Chi puņ fare altrettanto?
Chi puņ possedere ciņ che possiede Dio? Dio solo č l'eterno testimone.
Solo la Sua volontą puņ conseguire ogni cosa.

Le nozze si stavano celebrando, ma i quattro fratelli non alzavano la testa per guardare nessuno.
Al giorno d'oggi, invece, le conversazioni ed il contegno frivolo cominciano molto prima del matrimonio! Ma qui gli sposi stavano seduti con il capo chino in umiltą
e modestia per tutta la cerimonia. Essi eseguivano le istruzioni del sacerdote senza alzare lo sguardo.
Vi narro questi dettagli per sottolineare l'alto livello di disciplina e di idealismo che erano tenuti a quei tempi.

Janaka stava di fianco a Rāma, pronto al gesto di consegnargli la sposa. Gli offrģ la mano di Sītā con le parole: "Rāma, ecco mia figlia Sītā", ma Rāma non guardava Sītā a dispetto dell'invito di Janaka. Questo perché, secondo i costumi del tempo, una donna si considerava sposata solo quando il sacro cordino matrimoniale veniva legato al suo collo. Fino a quel momento non era opportuno che gli sposi si guardassero. Questa era una rigida disciplina di allora, che non potrete pił osservare né oggi né domani. Nessuno puņ stare all'altezza degli ideali rappresentati dai quattro fratelli.

Il matrimonio fu celebrato, e venne il momento dello scambio delle ghirlande di fiori. Gli sposi e le spose attendevano con le ghirlande in mano; gli altri fratelli si
sarebbero mossi solo dopo Rāma. Anche i genitori erano in attesa dietro ai propri figli, ed invitarono Rāma a porre la sua ghirlanda al collo di Sītā, in modo che anche gli altri potessero procedere. Cosģ fece Rāma, ed i fratelli lo seguirono. Era ora il turno delle spose: passavano i momenti, ma Rāma non chinava la testa! Erano stati il suo valore e la sua dignitą ad alzare, legare e
spezzare il possente arco di Shiva. Egli rifiutava di chinare il capo per sostenere il suo onore.
Stava in piedi diritto.

Rāma era alto, di spalle larghe e prestante; per quanto giovani, tutti i fratelli erano alti e forti nel fisico. La prolungata sosta fece nascere i mormorii tra la
gente, che si chiedeva come mai Rāma rifiutasse di inchinarsi. Anche Rāma non desiderava andare avanti cosģ. Lanciņ uno sguardo a Lakshmana con un segno impercettibile. I quattro fratelli erano sempre vigili ed acuti.

Questo č rappresentato nella poesia di Thyagaraja:

Potrebbe una scimmia varcare l'oceano?
Č possibile legarti con una fune?
Ti adorerebbe la dea Lakshmi?
Lakshmana ti servirebbe volentieri?
L'acuto Bhārata ti offrirebbe le sue prostrazioni?
Oh, com'č grande davvero la forza di Rāma!

Lakshmana era l'incarnazione di Adisesha, il serpente celeste primevo che, con la sua forza, sostiene il mondo sulle sue teste. Egli colse il cenno di Rāma e
comprese che questi voleva dirgli di sollevare quella parte di terra dove si trovava Sītā. Con un movimento del capo altrettanto lieve, gli rispose che simile intervento andava contro le leggi della natura, e quindi non si poteva effettuare. Per innalzare Sītā, chiunque altro sarebbe stato alzato. Rāma gli fece allora cenno di escogitare qualcos'altro che interrompesse quella situazione di stallo. Lakshmana ebbe un'idea: si gettņ improvvisamente ai piedi di Rāma e non si rialzņ.
Rāma fu costretto a chinarsi per sollevarlo, ed approfittando di questo, Sītā fu lesta a porre la ghirlanda intorno al suo collo. Subito le altre sorelle inghirlandarono il proprio sposo.
Questo episodio indica chiaramente quanto fosse nobile, disciplinato,
onorevole, il comportamento dei fratelli.

Concluse le nozze, la comitiva ritornņ ad Ayodhyā, dove fu ricevuta con tanta gioia ed amore.

Non dobbiamo osservare soltanto le virtł dei quattro fratelli. Anche i
personaggi di Sītā, Ūrmilā, Mandavi e Shrutakīrthi devono essere discussi ed elaborati. Anch'esse erano molto virtuose.
Venivano da una famiglia assai stimata. Re Janaka era noto per il suo controllo dei sensi, era un praticante del Karma Yoga ed un esperto riconosciuto di Jńāna Yoga. Le figlie di una simile famiglia non potevano essere delle ordinarie mortali.

Solo a Rāma venne impartito l'ordine di andare in esilio, ma Sītā non accettņ questa idea. Quando Rāma si recņ da sua madre con la triste notizia dell'esilio invece di quella gioiosa dell'incoronazione, questa ne fu sconvolta. "Figlio, tu obbedisci semplicemente all'ordine di tuo padre e te ne vai nella foresta. In quale conto tieni il desiderio di tua madre? Io sono la metą migliore di tuo padre; che importanza dai alle parole di questa metą?
Verrņ anch'io nella foresta!"
Rāma la pregņ allora: "Madre, il marito č il tuo Dio; non c'č altra divinitą oltre di lui. Č anziano, ed inoltre questa triste situazione l'ha accasciato. Non č opportuno che tu lo abbandoni ora. Devi servirlo ed aiutarlo, confortarlo, dargli forza e coraggio per sopportare il suo dolore".
Cosģ Rāma dissuase la madre dal seguirlo nella foresta.

Sītā udģ tutto. Quando Rāma tornņ al palazzo per indossare la veste color ocra, anch'ella lo imitņ, per palesare il suo desiderio di seguirlo nella foresta. Rāma glielo proibģ energicamente. Con tono dolce ella gli rammentņ: "Signore, come mai c'č una regola di comportamento per tua madre ed un'altra per me? Non č forse la stessa per tutte le donne sposate? Non č forse responsabilitą di
una buona moglie far felice il marito? Se ci si attende che ella curi il suo benessere, non č questo il mio compito? Pertanto non accetto che tu mi proibisca di accompagnarti nella foresta".

Ūrmilā era una grande pittrice. Stava dipingendo nella sua stanza la scena del matrimonio di Rāma e Sītā, che pensava di mandare a suo padre, quando Lakshmana entrņ molto arrabbiato. Rāma non accettava la sua supplica e si apprestava ad obbedire all'ordine di Kaikeyi. Chiamņ Ūrmilā e la informņ che sarebbe andato anch'egli nella foresta. Sbigottita per la piega drammatica degli
eventi, Ūrmilā si alzņ di scatto facendo cadere la tela e rovesciandovi sopra del colore. "Che peccato! Questo bel quadro del matrimonio di Srī Rāma č tutto
rovinato!" Lakshmana disse: "Ūrmilā!
Io sono colpevole per aver rovinato il tuo dipinto, e Kaikeyi č colpevole per aver rovinato l'incoronazione di Rāma come imperatore. Oggi noi due abbiamo solo creato danni agli altri. Parto subito".

Il coraggio e la forza d'animo di Ūrmilā allora vennero fuori.
Lakshmana l'aveva gią informata che anche Sītā sarebbe partita, ed Ūrmilā era eccitata all'idea che sua sorella avrebbe accompagnato Rāma nella foresta per servirlo. Tuttavia ella non pretese di seguire Lakshmana, anzi gli disse:
"Signore, so che vai nella foresta col solo proposito di servire Sītā e Rāma; possa tu non incontrare ostacoli! Tu trascorrerai i giorni e le notti in questo
tenace servizio. Non devi preoccuparti del mio benessere e neppure pensare a me. Non darti pensiero di non essere al mio fianco ad Ayodhyā per curarti di me. Dimentica Ayodhyā, poiché d'ora in poi la foresta sarą la tua Ayodhyā. Questa Ayodhyā č, senza di te, la foresta. Dunque, non lasciare spazio a pensieri per me.
Dal canto mio, passerņ qui il mio tempo pensando a te". In tal modo, Ūrmilā diede a suo marito grande coraggio. Ella intuģ che la possibilitą di Lakshmana di servire Rāma e Sītā sarebbe stata disturbata dal pensiero di lei; perciņ strappņ al marito la promessa di non pensarla per tutti i quattordici anni di esilio.

"Nella foresta, Rāma sarą tuo padre e Sītā tua madre. Il tuo unico pensiero deve essere di servirli fedelmente; dimentica perciņ tutti noi qui".
Questa fu la promessa che ottenne da Lakshmana, e serena lo lasciņ andare nella foresta. Kausalya poteva soffrire, ma non Ūrmilā. Ecco la qualitą di una nuora ideale:
deve sempre sostenere il marito infondendogli la forza ed il coraggio necessari. Una moglie viene detta 'dea della prosperitą della casa' e 'compagna nel Dharma'; Ūrmilā adempģ ai suoi doveri in tal senso, incoraggiando Lakshmana a seguire il sentiero del dovere.

Bhāratha, Shathrughna, Mandavi and Shruthakirthi erano assenti mentre
accadeva tutto questo. Essi si trovavano in vacanza nel regno di Kaikeya. Kausalya era estremamente abbattuta per l'andamento delle cose, ma a quel punto, le nobili qualitą di Sumithra vennero a galla. Come era il suo stesso nome (Buona amica), cosģ era il suo carattere. Ella era veramente una buona amica con un cuore puro; non pianse per gli eventi, anzi andņ con gioia a consolare
Kausalya: "Sorella, perché sei cosģ triste? Rāma, che č incarnato per l'emancipazione dell'umanitą, non puņ correre alcun pericolo. Se ti preoccupi della sua salute fisica, mio figlio Lakshmana sarą sempre con lui, sarą il suo attendente ed aiutante. Non devi nutrire ansia né paura".
Tuttavia era stato il grembo di Kausalya a portare Rāma, e quindi la sua sofferenza per l'esilio era immensa. Tenendo presente questo fatto, le nobili e coraggiose parole di Sumithra a Kausalya erano veramente encomiabili.

Trattando il Rāmāyana, quasi nessuno parla delle nobili virtł di Sumithra. Ella disse ancora a Kausalya: "Questo č il disegno di Dio. Io e te non possiamo aggiungervi o cambiare nulla. Per il bene del mondo ed il sostegno del Dharma, Dio ha escogitato questa missione; perciņ, sorella, non piangere. Se piangi al momento della partenza dei tuoi figli, sarą per loro di cattivo auspicio.
Salutali con gioia e benedicili". Cosģ Sumithra fu vicina a Kausalya e le diede tanto coraggio. In breve, i due principi partirono con Sītā.

Nel frattempo Dasaratha riprese la padronanza di sé e ricordņ ogni cosa. Agitatissimo, corse sulla strada gridando: "Rāma, te ne vai? No, no! Aspetta!". Sumantha conduceva il carro. Dasaratha implorņ: "Oh Sumantha, fermati! Aspetta un momento! Lasciami vedere il mio Rāma un solo istante!"
Rāma non disse a Sumantha di fermarsi, né di andare; gli disse solo di compiere il proprio dovere.
Parecchi eruditi hanno riportato questo punto affermando che Rāma chiese a Sumantha di dire una bugia, cioč di non aver udito l'implorazione del re a fermarsi. Al contrario, egli rimase in silenzio. In fatto di disciplina e di princīpi, Rāma e Lakshmana erano molti rigidi. Quando si tratta di mirare alla vittoria, come di obbedire ai comandi dei genitori, essi sono gli ideali da emulare.

Lakshmana rimase nella foresta con Sītā e con Rāma per quattordici anni, e tuttavia non alzņ mai una volta la testa per guardare Sītā in faccia. Sul monte Rishyamukha, durante l'incontro tra Rāma e Sugriva, fu portato il fagottino contenente tutti i gioielli di Sītā.
Ella l'aveva gettato a terra mentre Rāvana la stava trascinando in volo verso Lanka. Sugriva l'aveva conservato, non sapendo a chi appartenesse, ed ora, nel corso della conversazione con Rāma e Lakshmana, lo aprģ e mostrņ i gioielli.

Sugriva domandņ se appartenessero a madre Sītā, o se qualche demone li
avesse lasciati cadere inavvertitamente. Rāma li esaminņ tutti, ma non fu in grado di identificarne alcuno. Oggi, invece la lista di tutti i gioielli della moglie č sempre pronta! Rāma passņ i gioielli a Lakshmana e gli chiese di identificarli, ma questi fu in grado, tra tutti, di confermare solo le cavigliere come appartenenti a Sītā. Rāma gli chiese come mai solo quelle. Lakshmana rispose: "Ogni giorno, dopo il bagno rituale, mi inchinavo ai piedi di mia madre Sītā; per questo
riconosco questi oggetti" Che nobiltą di ideali! Per quattordici anni vissero insieme nella stessa capanna, e mai Lakshmana guardņ Sītā in volto.

Grazie a tale nobile carattere, essi erano benedetti con ciņ che si chiama 'Lavanya', che significa in Sanscrito, grande reputazione. Oggi questa parola č impiegata come un nome qualsiasi, ma essa significa in realtą 'purezza derivata da stretta disciplina e carattere virtuoso'.
Questo era il grande livello di ideali stabilito da Rāma e Lakshmana.

Nel frattempo, Dasaratha, incapace di reggere l'agonia della separazione da Rāma, lasciņ questo mondo. Sorse allora il dilemma su chi dovesse celebrare i suoi riti funebri. Rāma e Lakshmana si trovavano in esilio, Bhārata e Shatrugna erano presso il loro zio materno nel regno di Kaikeya, e ci sarebbero voluti almeno dieci giorni perché arrivassero. Di conseguenza, Vashista, Vishvāmitra
ed altri saggi, decisero che il corpo fosse imbalsamato e conservato in olio. Non c'era ghiaccio, né obitori a quel tempo. Il corpo di Dasaratha rimase cosģ per
quattordici giorni.

Bhārata e Shatrugna arrivarono. Shatrugna č un altro modello di
comportamento che il Rāmāyana ci presenta, ed era al pari con Lakshmana in tutto. Egli era sempre al servizio di Bhārata, come Lakshmana era impegnato nel servizio al Signore Rāma. I due gemelli trascorsero la loro vita sempre al servizio dei fratelli maggiori. Fedele al suo nome, possedeva una forza tremenda e grande valore, capace di distruggere i suoi nemici.
Nessuno come lui era capace di mettere in fuga il nemico. Era la sua presenza che permetteva a Rāma, Lakshmana e Bhārata di stare sicuri e tranquilli. Non parlava mai; persino Lakshmana parlava e qualche volta litigava, ma non Shatrugna.

Una volta, prima del matrimonio, Rāma, Lakshmana e Vishvāmitra stavano
camminando verso l'eremo del saggio. Attraversarono il fiume Sarayu con una barca e raggiunsero la riva opposta, dove videro un bellissimo ashram. Lakshmana, stupito, chiese a Rāma: "Fratello, che luogo č questo? Sembra una
bellissima cittadina!" Vishvāmitra rispose: "Non abbiate fretta; ora vi spiego. Questo non č un normale romitaggio. Appartiene a Manmatha. Questi era estremamente bello, poteva attrarre a sé chiunque, e sviluppņ i suoi poteri interiori ed esteriori. Commise perņ l'errore di voler influenzare il Signore Shiva, il quale lo maledģ condannandolo a restare senza forma, 'Angaheena'.
Ecco perché questo posto si chiama 'Anga Desha', il regno di Anga, che č sacro perché qui passņ il Signore Shiva, ed č quindi un Suo dono ed il Suo posto.

Essi passarono la notte in quell'ashram. All'alba, i residenti dell'ashram li fecero salire su una barca e li salutarono calorosamente. Li avevano riconosciuti come i
figli dell'imperatore Dasaratha, e quindi onorati adeguatamente, fornendo loro una barca ben decorata per continuare il viaggio.

Poco dopo si udģ in lontananza un tremendo boato, ed essi giunsero vicino ad una foresta terrificante, piena di bestie feroci. Lakshmana domandņ a Vishvāmitra:
"Maestro, da dove proviene questo rumore? Come si chiama questo posto pauroso?" Il saggio rispose:
"Figliolo, il rumore di tuono č quello del fiume Sarayu che si getta nel possente Gange. Il sacro Gange č come un grande oceano nel quale il Sarayu si fonde; questa č la causa del rumore. La foresta č infestata da animali selvaggi e da demoni terribili".

Dopo poco tempo entrarono nella foresta. Ovunque si vedevano animali
selvaggi, e tutt'intorno si udivano cupi rumori. Era l'area dominata dalla sorella di Rāvana, la demone Surpanaka, e chiunque osasse entrare nella foresta era colto da un forte senso di paura, poiché ogni passo era carico di pericolo. Per questo Vishvāmitra benedģ Rāma pił volte: "Oh Rāma, possa scendere su di te ogni auspicio!".

Lakshmana rimase indietro rispetto a Rāma e Vishvāmitra, e si allontanņ
per compiere le sue abluzioni. Quando fece ritorno, il suo pensiero era cambiato
totalmente. In un improvviso scoppio d'ira esclamņ: "Fratello, perché tutti questi guai? Perché devi soffrire qui, tu che dovresti godere di ogni lusso? E perché anch'io devo soffrire con te? Quando ritorneremo, sistemerņ io le cose per bene. Torniamo ad Ayodhyā subito; perché dovremmo andare oltre in questa tremenda foresta?
Come pensi di mangiare e di sostenerti?"

Rāma si limitņ a sorridere e non mostrņ alcuna reazione. Prese invece la mano di Lakshmana e lo condusse fuori dalla foresta. Come ne raggiunsero il limitare,
Lakshmana si calmņ improvvisamente e tornņ in sé. Rāma fece sedere Lakshmana a riposare sotto un albero, e gli spiegņ: "Questo č il dominio della sorella di Rāvana, Surpanaka, che gira liberamente in questa zona. Tu ci sei entrato e le vibrazioni del luogo ti hanno colpito. Le cattive qualitą di Surpanaka sono penetrate in te e ti hanno costretto a comportarti cosģ. Lasceremo subito questo posto".

Lakshmana si vergognņ del suo contegno: "Che vergogna! Come ho potuto
usare certe parole rozze e villane? Non č da me parlare cosģ. Certamente č l'effetto dell'ambiente demoniaco; quelli non sono i miei veri sentimenti!". Consolandosi in tale modo chiese perdono a Rāma, e ripresero il cammino.

Poco dopo poterono sentire il clima piacevole del Siddhashrama. La brezza fresca ed i canti vedici conferivano santitą al luogo. Vishvāmitra spiegņ: "Figlioli, questo č il nostro Siddhashrama. Il Signore Vāmana nacque qui, ed il Signore Shiva trascorse qui alcuni giorni".
Al Siddhashrama, Vishvāmitra passņ l'incarico a Rāma e Lakshmana:
"Ragazzi, voi siete qui per proteggere un rito sacrificale. Dovete assumervi questa responsabilitą, secondo l'ordine di vostro padre. Da questo istante, dovrete fare a meno di mangiare e di dormire.
Anche questo č un notevole sacrificio che dovrete affrontare; santificatelo e ne riuscirete vittoriosi". Rāma e Lakshmana erano all'altezza di quanto richiesto; non mostrarono mai stanchezza, né una difficoltą o una debolezza.

All'alba ebbe inizio il grande sacrificio. Non appena furono declamati i primi mantra, Rāma e Lakshmana si misero all'erta e tennero controllato il posto;
improvvisamente udirono un grande ruggito. Uno dei saggi disse ai fratelli: "Ecco che arrivano le bande dei demoni. Saranno guidati da Chanda ed Amarka. Siate pronti". I due fratelli non avevano toccato cibo, né acqua, e tanto meno dormito, ma compirono bene il loro dovere ed uccisero i demoni, facendo in modo che il rito fosse eseguito con successo.

La dedizione totale di Rāma e Lakshmana al compito loro affidato da
Vishvāmitra si puņ comprendere dal seguente episodio. Alla chiusura del rito, un gruppo di soldati arrivņ all'ashram e consegnņ un invito al saggio Vishvāmitra. Si trattava di un invito personale del re Janaka di Mithila. Questi aveva inviato analoghi inviti a tutti i re e principi, affinché venissero a cimentarsi nel sollevare l'arco di Shiva, per conquistare la mano di sua figlia Sītā.
Egli pregava il saggio di voler essere presente a quell'assemblea, perché vi portasse le sue benedizioni.

Vishvāmitra ne fu contento e parlņ eccitato a Rāma e Lakshmana delle
meraviglie del grande arco del Signore Shiva. "Figlioli, dovete venire a vedere l'arco. Non c'č niente di simile al mondo. Č un dono del cielo. Quello non č un arco ordinario; vale la pena di andare a vederlo". Rāma e Lakshmana vennero naturalmente presi dalla curiositą di vedere l'arco, ma comunque Rāma ricordņ gentilmente al saggio: "Maestro, nostro padre ci ha chiesto solo di venire con voi per proteggere il rito. Non abbiamo istruzione di andare a Mithila a vedere l'arco. Non possiamo trasgredire gli ordini di nostro padre". Vishvāmitra replicņ: "Non diceva forse, l'ordine di vostro padre, di obbedire alle mie istruzioni? Dovete quindi obbedire al mio ordine!" I principi poterono solo tacere e repararsi
ad accompagnare il saggio nel nuovo viaggio.

Per il bene di questa nazione, dovete esaminare attentamente come Rāma
trattasse ogni situazione delicatamente, con correttezza e giustizia. Uccise i demoni e protesse i giusti. Tutti questi sono in realtą piccoli frammenti di un ben pił vasto piano Divino. Era voluto che Rāma, Lakshmana, Bhārata e Shathrugna nascessero per conseguire l'eliminazione dei demoni.

Anche Lankini, la dea protettrice di Lanka, aveva profetizzato il destino dei demoni. Quando Brahma chiese a Rāvana quale grazia desiderasse, il demone disse: "Che la mia morte non possa essere causata da nessun Dio, spirito della natura, demone, o altra entitą sottile; concedimi questa grazia!" Rāma aveva colto la fatale omissione della parola 'uomo'
dall'elenco! Per via di quella omissione, la morte di Rāvana per mano d'uomo era certa. Il Signore Vishnu decise perciņ di incarnarsi in forma umana. Per questo Rāma aveva detto a Vishvāmitra:
"La morte di Rāvana per mano mia č certa. Devi dire a tutti che Rāma sta per arrivare, e che sicuramente ucciderą Rāvana".

Nell'intera creazione, la Divinitą assume il ruolo della sostanza vitale. Rāma apparteneva alla dinastia solare, la cui Divinitą protettrice era il Sole. Senza i raggi sostentatori del Sole, la vita sulla Terra non puņ essere. All'inizio della creazione, ci vollero decine di milioni di anni perché la luce comparisse; fino a quel momento tutto era oscuritą.

Dopo la nascita di Rāma, il Sole non fu in grado di splendere per quindici giorni! Di conseguenza, anche la Luna era invisibile. Sia il Sole sia la Luna si lamentarono di non poter vedere l'Incarnazione Divina del Signore Rāma. La Luna fece allora un'austera penitenza pregando di poterlo vedere. Allora il Signore Rāma le apparve e disse: "So che non hai potuto vedermi per quindici giorni dopo la mia nascita. Ti concedo perciņ questa grazia:
nella mia prossima Incarnazione sarai tu ad avere la prima visione di me, prima di chiunque altro". E cosģ fu: quando ebbe luogo l'Incarnazione successiva, quella di Krishna, mentre a mezzanotte il padre Vasudeva portava il bambino in salvo a casa di Nanda, fu la Luna ad avere il Suo primo Darshan.
Nel Rāmāyana ci sono molti insegnamenti segreti e profondi come questo,
ma non ci sono contraddizioni, né confusioni in questo poema epico.

La storia di Rāma č eterna e straordinaria da leggere. Per quante volte la si sia udita, il desiderio di risentirla non č mai sazio, tanto che questa sacra storia
non si puņ mai dimenticare.

Le azioni Divine di Rāma non si possono dimenticare. Ogni cosa che fece, aveva radice nella rettitudine; ogni cosa che disse, fu solo Veritą. In questa sacra
storia molti eruditi hanno introdotto spiegazioni distorte, e vi hanno apportato un alone di profanitą. Non c'č niente di distorto nel Rāmāyana, e non vi č la benché minima traccia di falsitą o di menzogna. L'intera storia, dall'inizio alla fine, non č altro che Veritą, Eterna, Pura, senza macchia.

Oggi ci fermiamo qui con gli eventi al Siddhashrama. La natura di Rāma,
Lakshmana, Bhārata e Sathrugna č assolutamente unica e meravigliosa. Il saggio Vashista la descrisse cosģ:

Sono stupendi, venerati nei tre mondi
Cosģ vicini al cuore, sono i veri amici
Rispettati da saggi, uomini, animali e perfino dalle piante
Tale č la bellezza delle gesta di Vishnu!

Solo gli ignoranti, ciechi al significato interiore delle azioni del Signore, le ossono
fraintendere. Ciņ crea confusione e fa deviare dalla sacra Veritą la mente dell'autentico ricercatore. La storia del Signore Rāma č sommamente sacra. Solo se udite la storia completa, potete comprendere la santitą che vi č contenuta.


Brindavan (Whitefield), 18 maggio 2002 [pomeriggio]
Summer Showers 2002