DISCORSO DIVINO

La lezione dei chicchi di riso

15 maggio 2002

Possano tutti essere felici.
Possano tutti avere pace.
Possano tutti avere fortuna.
Possano tutti essere felici”.


La cultura indiana
Il primo dettame della cultura indiana è che tutti dovrebbero esser felici, tutti dovrebbero esser prosperi, tutti dovrebbero essere immersi nella beatitudine, tutti dovrebbero essere in salute. Queste sono le cose importanti da ricordare, nella cultura dell’India.

Incarnazioni dell’Amore!

Nonostante fin dai tempi antichi abbia vissuto infinite esperienze, l’uomo è incapace di ottenere la beatitudine.


La cultura dell’India è salda e non muta con il passare del tempo, non svanisce con la storia, non si affievolisce durante la dissoluzione finale, né aumenta durante la creazione.

La cultura dell’India insegna la beatitudine vera ed eterna della Verità, ma gli studenti, oggi, hanno dimenticato tale cultura, soccombendo, così, a interminabili difficoltà, allontanandosi dalla pace e distanziandosi sempre più dalla beatitudine.

Gli antichi indiani sperimentavano gioia condividendo con gli altri le loro esperienze, la felicità e la buona fortuna. Inoltre la santità della cultura indiana era riconosciuta nelle nazioni straniere. Gli abitanti degli stati esteri, infatti, sostenevano le loro nazioni (aderendo ai princìpi dell’India).

Lincoln, da ragazzo
Abramo Lincoln fu un americano molto famoso. Ci fu un tempo in cui i suoi genitori sperimentarono uno stato di estrema povertà. In quel periodo, per guadagnare qualche soldo, sua madre si mise a rammendare vecchi abiti, mentre suo padre faceva il falegname, mantenendo la sua famiglia con quei pochi soldi che guadagnava.

Così, il ragazzino Lincoln si trovò in situazioni difficili. Per andare a scuola, faceva la strada assieme a dei bambini ricchi, ma gli abiti che indossava erano vecchissimi. Per un senso di rispetto, sua madre ogni volta li rammendava prima di farglieli indossare.

Vedendolo in quelle condizioni, i suoi compagni di classe lo ridicolizzavano: “Perché questo poveraccio dovrebbe venire con noi? Chi! (espressione telugu di disgusto - N.d.T.). Guardate i suoi vestiti e il suo corpo come sono sporchi!” In questo modo dicevano cose che non andrebbero udite.

Un giorno Lincoln tornò a casa piangendo. Sua madre stava rammendando.

“Mamma, mamma!” - egli disse - e le si buttò in grembo.

“Che cosa ti succede? - chiese la madre amorevolmente - Perché così tanta sofferenza?”

“Gli altri ragazzi si prendono gioco di me. Dicono che sono povero e che indosso abiti vecchi. Dicono che non dovrebbero fare amicizia con un bambino simile e che non dovrei andare a casa loro” - egli esclamò.

“Figlio mio - rispose la madre - non restarci male. Dovremmo riconoscere gli effetti della situazione e agire di conseguenza. Quei bambini sono ricchi; perciò parlano secondo la loro posizione. Noi, invece, siamo poveri; dobbiamo quindi agire secondo la nostra situazione. Noi non possediamo soldi, né oro, né oggetti preziosi, né mezzi di trasporto. Non siamo ricchi; perciò dobbiamo sopportarne la responsabilità ed essere coraggiosi”.

La madre lo prese in braccio e asciugò le sue lacrime: “Figlio, non è giusto che tu ti senta contrariato a causa di questa piccolezza. I nostri amici non sono ricchi; i nostri parenti non sono ricchi. Le relazioni che abbiamo, sono quelle giustamente adeguate a noi. Non restarci perciò male per questo.

La fiducia in noi stessi è la nostra ricchezza
Siamo però grandi riguardo a un aspetto. La fiducia in noi stessi è la nostra ricchezza. Se siamo coraggiosi e abbiamo fiducia nel Sé, non c’è per noi ricchezza maggiore. I soldi che ci sono oggi, domani se ne andranno; la felicità di oggi, domani muterà; ma il rispetto e la fiducia in se stessi sono qualcosa di immutabile. Rendi la fiducia nel Sé un punto fermo nella tua mente. Ciò ti porterà prosperità. Se qualcuno ha qualcosa da dire, rispondi: ‘La mia ricchezza è la fiducia nel Sé’. Nessuno sarà in grado di negare questo fatto; nessuno potrà criticare per questo. La fiducia in se stessi è qualcosa che tutti dovrebbero avere. L’uomo senza fiducia in se stesso non può vivere in questo mondo. Tienila dunque salda e procedi”. Ella insegnò al figlio con decisione.

“L’Âtma è la mia sola ricchezza. L’Âtma è la mia buona sorte. Sto vivendo solo per la fiducia in Me stesso. A che serve vivere senza rispetto di se stessi? La fiducia nel Sé, quindi, è la mia importante proprietà”. Egli impresse fermamente tutto questo in sé.

Da quel momento, anche se gli altri lo ridicolizzavano, Lincoln non ci faceva affatto caso e, pieno di fiducia in se stesso, ogni giorno andava e veniva da scuola.

Quando passò alle classi superiori, non possedeva alcun libro su cui studiare. In casa, inoltre, non c’era luce. Un giorno la madre lo chiamò: “Figlio, sono le 18; si sta facendo buio. Mangia del pane; poi, poiché la nostra casa è buia, mentre le strade sono bene illuminate, vai sotto un lampione a studiare e istruisciti”. Seguendo gli ordini della madre, Lincoln si metteva a studiare sotto la luce dei lampioni.

In questo modo egli divenne altamente istruito e, gradualmente, raggiunse le classi superiori. Tuttavia egli sperimentava condizioni molto difficili, mangiando un giorno sì e un giorno no, e cenando solo con acqua prima di andare a letto. Non poteva permettersi nemmeno di comprarsi una tazza di tè. Di sera, dopo aver studiato, beveva dell’acqua e andava subito a letto.

Incapace di sopportare tali difficoltà, la madre disse: “Se l’istruzione acquisita da chi studia deve rimanere impressa nel cuore, allora dovrebbe esserci in corpo almeno un po’ di cibo. In casa nostra non si fanno pasti costosi”. Così dicendo, lavorò cucendo, cucendo, cucendo giorno e notte. Quando consegnò il lavoro finito, guadagnò 2 rupie. Privandosi lei del cibo, riuscì a nutrire il figlio, facendolo così crescere bene. Alla fine Lincoln andò all’Università.

Ovunque, le persone parlavano di ciò che era accaduto a Lincoln. Se qualcuno gli chiedeva: “Come ha potuto un bambino così povero avere tutto quel coraggio, quella pazienza e quell’audacia?”, egli rispondeva: “È stata la fiducia in me stesso a darmi tanta fede. Il rispetto del Sé mi ha portato a occupare questa posizione. La fiducia in me stesso è, perciò, la mia ricchezza più grande”.

Che la faccenda fosse grande o piccola, egli non diceva mai una bugia. “La Verità è la mia linfa vitale; - affermava - la Verità è Dio in questo mondo manifesto. Alla Verità non è possibile mutare. La Verità è Verità in ogni situazione ed è eterna. Tale Verità è il mio Dio, il mio Dio manifesto”. E così, con un simile coraggio, egli ebbe successo.

Successivamente ottenne un lavoro come commesso. Anche nel suo lavoro, egli era estremamente disciplinato, tanto che riuscì a dare soddisfazione ai suoi superiori. Elogiando queste qualità tanto grandi, gli diedero una promozione, grazie alla quale Lincoln riuscì a procurare dei pasti decenti sia ai suoi genitori che a se stesso, vivendo così senza più mancanze e privazioni.

Un giorno disse a sua madre: “Non sono state altro che le tue parole di Verità dolci come il nettare, a farmi arrivare a questa posizione”.

Tutti voi sapete quanto siano grandi le parole di una madre. Anche quando digiuna, anche quando sperimenta delle difficoltà, senza rivelare le sue preoccupazioni al figlio, le ingoia in silenzio e, avendo come unico obiettivo la crescita dei propri figli, offre un esempio di altissimi ideali.

Gradualmente tutti vennero a conoscenza della situazione di quella casa. Ovunque, la gente osservava: “Oh, Lincoln è un persona così sincera! È un uomo giusto. Nessuno possiede la Verità e la giustizia che ha lui”. Tutti, dai giovani agli anziani, cominciarono a parlare così

La vittoria alle elezioni
Tutti i suoi ex compagni di scuola andarono da lui e gli dissero: “Lincoln, il mese prossimo ci saranno le elezioni. Vogliamo gente come te per la nazione. Dovremmo avere un leader che dice la Verità. La Verità è lontanissima nei politici di oggi; la giustizia è inesistente. Per questo nella nazione, oggi, sono necessarie persone come te”. Tutti andarono da lui, uno dopo l’altro, uno dopo l’altro, incoraggiandolo moltissimo.

Egli disse: “Devo badare alla mia posizione. Comportarmi in base alla mia posizione è ciò che mia madre disse. Le mie capacità sono modeste, mentre questa aspirazione è qualcosa di grande. Non sono adatto a una carica simile. Come posso affrontare una tale impresa se la mia mente non lo accetta?” Dicendo così, si giustificò con tutti.

Tuttavia, nessuno gli diede retta. Alla fine perfino persone importanti cercarono di convincerlo. Esse gli diedero molto incoraggiamento: “Mio caro, tutti noi ti aiuteremo. Un giovanotto come te, un uomo di Verità come te, dovrebbe ai giorni nostri diventare un leader nella società”. Così, quando si presentò l’occasione, Lincoln ottenne, alle elezioni, una vittoria schiacciante.

La madre, venuta a sapere che aveva vinto le elezioni, andò ad abbracciare il figlio colma di una gioia che a malapena riusciva a contenere: “Figlio mio, ora non conta più che io viva o muoia. Sei arrivato in alto, hai mantenuto la mia reputazione e ti sei dedicato alla Verità. Hai sinceramente avuto fede nelle mie parole e sei vissuto nella Verità. È stato il rispetto di te stesso a farti guadagnare una tale vittoria. Non abbandonare mai la fiducia nel tuo Sé. Se tale fiducia se ne va, è come se ti abbandonasse la vita stessa. Ciò che oggi ti ha condotto a questa carica, non è altro che la fiducia in te stesso e il rispetto del tuo Sé”.

Ella lo incoraggiò molto e, poiché stavano arrivando tutti gli altri personaggi importanti, quelle furono le sole parole che pronunciò. Poi se ne andò.



Quattro giorni dopo, Lincoln divenne Presidente degli Stati Uniti. La gente rimase davvero sorpresa: “È un ragazzo povero, senza nessuna raccomandazione importante. Com’è potuto diventare presidente?”

Al contrario della gente che la pensava così, sua madre ne fu molto felice: “Figlio, hai dedicato te stesso a Dio; è stato quindi Dio stesso a portarti a questo punto. Che cosa grande è per mio figlio diventare il presidente americano! Questa non è altro che la grazia di Dio, la conseguenza, l’effetto della Verità. È dovuto alla potenza della fiducia in se stessi. Continua quindi a pregare Dio”.

Dopo l’elezione, egli si recò in ufficio in carrozza e assunse la carica. Non possedeva nemmeno un mezzo di trasporto! “Per la nostra posizione sociale, ciò è sufficiente”: così sua madre continuò a insegnargli.

Un’eccellente matrigna
Precedentemente, il padre di Lincoln si era impegnato giorno e notte (nel lavoro) affinché il figlio potesse studiare. Egli lavorò molto sodo, tanto che si ammalò e divenne debole. Anche la madre si occupava molto del figlio. Invece di mangiare in modo appropriato, dava il cibo a lui e così anche lei divenne debole e, poco tempo dopo, morì.

Non c’era nessun altro ad aiutare in casa. Incapace di cavarsela, Thomas (il padre di Lincoln) si risposò. La nuova moglie era molto virtuosa e si prese cura del ragazzo con molto affetto: “Figlio, sono venuta a conoscenza della tua fama prima ancora del mio matrimonio con tuo padre. La fiducia in Te stesso ti ha condotto molto in alto. Tu hai rispetto del Sé; perciò, di che altro c’è bisogno?” Dicendo così, elogiò le sue buone qualità. Anch’ella lo nutrì e lo fece adeguatamente progredire.

Dopo qualche tempo, anche il padre morì. La seconda moglie disse: “Figlio, sia tua madre che tuo padre sono morti. Io sono la tua matrigna e non la tua vera madre. Non ti ho cresciuto dall’infanzia”. Ella si sentiva triste per questo.

Lincoln invece ne fu molto felice: “Non sapevo che avrei avuto una madre (matrigna) tanto grande. Non ho mai pensato che una matrigna avrebbe mostrato tanto Amore. Perciò, madre, namaskâr a te. (Ti rendo omaggio)”. Egli cercò così di darle in qualche modo felicità e pace.

Il vecchio amico

Lincoln aveva un vecchio amico (anch’egli povero). Siccome Lincoln occupava un’alta carica, l’amico lo andò a trovare. Lincoln disse: “Mio caro, non sono la ricchezza, l’oro, le proprietà o i mezzi di trasporto a sostenerci. L’unica cosa che ci protegge è la Verità. La fiducia in se stessi si prende cura di noi. Dovremmo aver fiducia in noi stessi. Svolgi il tuo lavoro con tale fiducia”.

Che lavoro faceva l’amico? Faceva il lustrascarpe. Non solo: egli vendeva anche giornali per la strada. Quando poi restava del tempo, andava a lavare i piatti negli hotel. In mancanza di quel lavoro, scriveva gli indirizzi sulle buste e con questo guadagnava 1 o 2 centesimi.

Aveva una bellissima grafia. Svolgendo tale lavoro, teneva fisso in mente ciò che Lincoln gli aveva detto a proposito della fiducia in se stessi. Quando consegnava le buste con gli indirizzi, era solito dire: “Che Dio vi benedica”.

Una tale fiducia in se stessi era tanto grande nei bambini dell’epoca. “Dio vi benedica. Dio vi benedica!” Infatti anche i bambini dicevano: “Dio vi benedica. Dio vi benedica”.

Non possiamo sapere come sia il cuore di qualcuno. Quando quei bambini piccoli e così innocenti dicevano pieni di gioia: “Dio la benedica, Dio la benedica”, egli si sentiva immensamente felice. Un cuore del genere diventa altamente sacro. Ripetere “Dio vi benedica, Dio vi benedica” in modo artificiale, è differente; ma quei bambini lo dicevano di tutto cuore. Sentirsi dire: “Che Dio la benedica” lo aiutava a progredire.

Dopo la morte di Lincoln, il suo amico, che aveva ascoltato e tenuto nel cuore i suoi insegnamenti, cominciò a metterli in pratica. E anch’egli divenne presidente!

Vedete, bambini? Quelle persone avevano fiducia in se stesse già fin dall’infanzia. Gli americani, in quei giorni, trascorrevano il loro tempo in devozione per Dio e facevano della Verità il loro fondamento. Rendetevi conto di quanto fossero grandi!

Non c’è bisogno di fare differenze di tempo o nazione. I tempi possono essere altri, le nazioni possono differire, la situazione può essere diversa, ma l’effetto del cuore di ognuno è uno. La fiducia in se stessi è la forza vitale di ogni essere umano.

Gli americani ottennero alte cariche con tale fiducia. Gradualmente, nella nazione americana, la fiducia nel Sé aumentò. In passato non c’era fede in Dio, ma piano, piano, dopo l’arrivo di Lincoln, tutti ebbero fiducia nel proprio Sé. È sufficiente ci sia un solo uomo ideale come lo fu lui.

È detto:

“La luna dona luce di notte. Il sole dona luce di giorno”.



È il sole a dar luce durante il giorno, e la luna a dar luce durante la notte.



“Il Dharma dà luce a tutti e tre i mondi”.



È il Dharma a dar luce ai tre mondi; così come un buon figlio dà lustro alle nostre dimore.



“Un buon figlio salvaguarda il rispetto della famiglia”.



È un buon figlio a mantenere il rispetto.



Studenti!

Ognuno di voi dovrebbe essere un buon figlio. Dovreste essere dei bravi figli, rimettere a posto la situazione dell’India e dirigerla sulla retta via. Come prima cosa, cambiate i vostri cuori; solo così sarà possibile la trasformazione di qualunque altra cosa.

Il rispetto per tutti
Studenti!Prima di desiderare il rispetto da tutti, dovremmo innanzitutto essere noi a rispettare gli altri. Se lo facciamo, senza dubbio gli altri rispetteranno noi. Dovremmo perciò sviluppare la grande virtù del rispetto per il prossimo. Occorrerebbe rispettare tutti nella vita.

Non c’è bisogno di alimentare differenze di superiorità o inferiorità; bisognerebbe abbandonare qualsiasi differenza sociale o di religione. Tutti gli esseri umani hanno un’unica natura spirituale. L’Âtma presente in voi, lo è anche in Me e l’Âtma presente in Me, lo è anche negli altri. L’Âtma presente in tutti è uno solo.

Sono Uno. Diventerò molti.
La “cultura” è ciò che insegna la Verità secondo cui la natura dell’Âtma presente in tutti è unica; ma, poiché oggi si sta dimenticando tale cultura, si è lontani persino dall’amore dei propri genitori.

La nostra cultura
Che cos’è veramente la nostra cultura? Samskriti (la cultura) è ciò che è stato raffinato. Questo significa che la cultura è “ciò che santifica”.

Facciamo maturare il riso; è però un grave errore mangiarlo così com’è. Dobbiamo prima trebbiare, poi separare la pula, e infine mangiare il riso solo dopo averlo cucinato. Il riso diventa commestibile grazie al processo di lavorazione da noi attuato.

Dobbiamo allontanare la sporcizia presente nel riso e le caratteristiche indesiderabili che si accompagnano ad esso. Grazie a ciò, il riso prende una forma sacra: solo allora noi lo mangiamo e lo digeriamo, guadagnando forza e felicità.

Raffinazione, perciò, significa allontanare la sporcizia, guadagnare sacralità e rendere tutto pulito. Possiamo così mangiare gioiosamente, acquistando salute.

In un corpo sano, risiede una mente sana.

La mente e il corpo
Molte persone credono che la mente e il corpo siano separati. No, no, no! La beatitudine nasce dal cuore. La mente ha indossato l’abito del corpo. Se non ci fosse una mente, a che servirebbe prendere un corpo? Per questo la cultura antica dichiara:

“Solo la mente è responsabile sia della schiavitù che della Liberazione dell’uomo”.

La mente è l’importante abito indossato dall’uomo. In essa dobbiamo sviluppare sentimenti sacri. In ogni essere umano esiste, dunque, una stretta e reciproca relazione fra il corpo e la mente. La mente indossa il corpo e il corpo prende la mente come fondamento. Entrambi quindi - la mente e il corpo - devono essere sviluppati al meglio e indirizzati sulla retta via.

Ai giorni nostri le persone studiano. Studiano e acquisiscono la più alta istruzione, conseguendo le lauree più prestigiose; ma a che servono? Tali attestati non ci danno la minima gioia. Il cibo ci dà forza, ma non felicità; i soldi ci offrono comodità, ma non felicità. Gli aspetti importanti per noi, quindi, sono il corpo e la mente.

Come possiamo nutrire il corpo? Come dovremmo purificare la mente? Oggigiorno gli studenti dovrebbero riconoscere bene questi due aspetti. Si dovrebbe purificare la mente e prendersi cura del corpo nel modo giusto, poiché, quando questi stanno bene, ci si trasforma in esseri umani perfetti.

Il corpo può essere sano, ma, se non lo è la mente, siamo esseri umani solo a metà. Bisognerebbe invece essere uomini completi, con la mente e il corpo che si fondono armoniosamente insieme.

Tutta l’istruzione che acquisiamo oggi, non modella gli uomini in esseri umani completi. L’uomo deve diventare un uomo totale, intero, e per questo si dovrebbe acquisire la purezza del corpo e della mente.

Purtroppo tutti pensano: “È sufficiente avere soldi per ottenere qualunque cosa”. Ma con i soldi non avremo mai la beatitudine, non otterremo mai la salute. Ciò potrà avvenire solo attraverso le virtù.

Dipendere dalle virtù

Ogni studente, oggi, cerca di sviluppare esclusivamente questi tre aspetti: ricchezza, forza, conoscenze (amicizie, appoggi). Ha queste tre cose, ma non possiede le virtù. A che serve una forza priva di virtù?

A che serve l’amicizia senza le virtù? Le persone si salutano superficialmente: “Ciao, ciao”. Tutto qui, per poi proseguire per la propria strada. Non si dovrebbe perciò dipendere esclusivamente dalla ricchezza, dalla forza e dall’amicizia, ma contare sulle virtù.

I saggi dei tempi passati facevano delle virtù il loro fondamento e plasmavano la nazione rendendo, i suoi abitanti, indiani ideali. Dovremmo quindi considerare molto importanti le virtù.



La nazione indiana, che sacra nazione! In una nazione tanto sacra, può un indiano senza virtù esser considerato un vero indiano? Dovrebbero nascere figli che si prendano cura dei propri genitori, offrano loro il giusto ideale (di figlio) e donino loro soddisfazione.

Nella nazione indiana, la cultura dell’India è estremamente preziosa. Cultura significa “ciò che è purificato”. Dobbiamo allontanare da noi le cattive qualità, le azioni malvagie, e impedire alle decisioni negative di farsi strada. Non bisogna farsi coinvolgere in cattive azioni. Questa è la nostra cultura e voi dovreste rendervi conto di quanto sia grande!



Cresciamo insieme, muoviamoci insieme,

ampliamo insieme la conoscenza acquisita.

Viviamo insieme in amicizia, senza conflitti.

Viviamo davvero come fratelli?

Le persone affermano: “Siamo tutti fratelli, fratelli”; ma stiamo vivendo come tali? Gli uomini sono solo capaci di ripetere “fratelli, fratelli”, senza però saper vivere da fratelli. Non appena salgono sul palco, cominciano i loro discorsi con: “Fratelli e sorelle”. Stanno, tuttavia, agendo come fratelli e sorelle? Dobbiamo agire in accordo con le parole che pronunciamo. Solo allora saremo veramente fratelli.

Gesù ha detto: “Fratellanza fra gli uomini, paternità di Dio”.



Tutti hanno adottato i valori della cultura dell’India. Che grande cultura!

Dobbiamo allontanare le cattive qualità in noi e sviluppare quelle buone. Annaffiate con l’acqua delle buone abitudini e sradicate l’erbaccia dai buoni comportamenti: solo così si otterrà il raccolto di Sadânanda, la Beatitudine eterna. Colui che si nutre del cibo della Beatitudine eterna, sarà eternamente beato.



Studenti!

Questo è il primo giorno del Corso Estivo. Come prima cosa, dovremmo purificare adeguatamente il corpo e la mente; e dovremmo ricordare sempre e mettere in pratica le parole dei nostri avi. La madre di Lincoln diede un grande insegnamento: “Figlio, la fiducia in noi stessi è la nostra proprietà. Senza di essa, non avremo nulla. A queste condizioni, a che servono tutti i soldi del mondo?”


È necessaria la fiducia in se stessi. Dovremmo sostenere il rispetto del Sé, senza il quale non avremo nessun altro tipo di rispetto.

Stiamo agendo in maniera totalmente artificiale, mentre dovremmo agire di tutto cuore.

L’arte (art) è all’esterno, il cuore (heart) all’interno.

Dovremmo rendere adatto il cuore che si trova all’interno, invece di possedere una mente artificiale.

“Ciao! Buongiorno, buongiorno”. Che cos’è un giorno? Che cos’è un “buon”? Che cos’è un “giorno”? Se si osserva nel modo corretto, non esiste giorno, non esiste sera. Chiamano l’alba “giorno”, e il tramonto “sera”, ma il sole non sorge e non tramonta!

La luna è la Divinità che presiede alla mente.

Il sole è la Divinità che presiede agli occhi.

A causa della rotazione terrestre, sembra che la luna e il sole si muovano.

La luna soddisfatta
Una volta Sîtâ, prima del suo matrimonio con Râma, si sentì insoddisfatta. Era arrivato Râma, il quale aveva sollevato l’arco di Shiva. Tuttavia in Sîtâ c’era qualcosa che non andava.

La luna è la Divinità che presiede alla mente.

Sîtâ pensò: “La luna della mia mente è irritata, è insoddisfatta. Le si dovrebbe invece dare soddisfazione; solo così avrò pace”. Con questo pensiero, pregò molto.

In seguito, dopo il matrimonio, ne parlò con Râma: “Ho pregato la luna. Mi sentivo male nel vedere il suo disappunto e il suo scoraggiamento”.

Râma rispose: “Al Nome di questo Avatâr, aggiungerò il Nome chandra (luna)”. Per questo Râma viene chiamato Râmachandra.

E non solo. Egli aggiunse: “Alla Mia prossima Incarnazione, la prima in assoluto che avrà il Mio darshan, sarà la luna e nessun altro”.

Infatti, quando Vasudeva, nel bel mezzo della notte, si mise in testa (un cesto contenente) Krishna appena nato e attraversò le strade, fu la luna a veder Krishna, e nessun altro. Râma aveva promesso che la luna sarebbe stata la prima a vederLo.

Ci sono tantissimi sacri princìpi e santi ideali nella storia dell’India e noi dovremmo avere una salda fede riguardo al nostro cuore e alla natura dell’Âtma.

Namaskâr
Incarnazioni dell’Amore!

Anche se non avete altro, sviluppate la fiducia in voi stessi. Abbiate rispetto del Sé. Dovremmo rispettare ogni singolo individuo: “Salve fratello, fratello, fratello”. Ditelo di tutto cuore. Purtroppo non viene fatto.

Alle persone di riguardo, rendete omaggio facendo “namaskâr” di tutto cuore.

Qual è il significato esoterico di namaskâr? I cinque sensi di azione (karmendriya) e i cinque sensi di saggezza (jñânendriya), insieme, formano i dieci sensi. Portateli vicino al cuore: questo è namaskâr.[1]

I dieci sensi dovrebbero infatti raggiungere il cuore. Quando si fondono con esso, il namaskâr diventa sacro. Per questo il namaskâr andrebbe detto di tutto cuore.



Può darsi che qualcuno di voi non sia ancora stato in Andhra. Se ci andrete, (Swami ride - N.d.T.) allora capirete bene (che cosa intendo). (Swami dice freddo e veloce - N.d.T.:) “Namaskâr!” (Risate).

Che modo di salutare è mai questo? Dicendo namaskâr in quel modo, non si congiungono nemmeno le mani!

(Swami solleva il braccio e ripete in tono freddo - N.d.T.:) “Namaskâr”. Un namaskâr simile equivale a un colpo d’ascia! (Risate).

(Swami pronuncia in tono gentile - N.d.T.:) “Namaskâr”.

Entrambi i pollici...

Dando via volontariamente il suo pollice destro,

egli (Ekalavya)[2] divenne incapace di fissare la freccia sull’arco.

Il ragazzo della tribù della montagna

divenne privo della ricchezza del tiro con l’arco.

Ciò provocò tanta felicità al cuore di Partha (Arjuna).

Entrambi i pollici sono molto importanti. Essi sono comparabili a Dio. È inutile possedere tante altre dita se non si hanno i pollici. Bisognerebbe quindi fare namaskâr unendo i dieci sensi, mettendo i pollici vicino al cuore. Namaskâr è ciò che proviene dal cuore. Fu esclusivamente a queste condizioni che gli antichi vissero una vita sacra.

I rishi non temevano nulla

In quei giorni, i rishi andavano tranquillamente a praticare austerità nelle spaventose foreste, dove vivevano terrificanti bestie feroci e si aggiravano i demoni. Da dove prendevano il coraggio? I leoni si avvicinavano, ma essi non avevano alcuna paura.

I rishi non avevano attaccamento al corpo. Avevano attaccamento all’Âtma, ma non al corpo. Quale era, quindi, la loro arma? La fiducia in se stessi. Giravano per la foresta con l’arma della fiducia nel Sé; per questa ragione potevano addirittura giocare con i leoni, con le tigri, senza nessuna paura, sempre e solo pieni di coraggio.

Il coraggio è il mezzo per ogni cosa

Da dove nasce questo coraggio? Dalla fiducia in se stessi. Oggi stiamo parlando della fiducia nel Sé, ma, in realtà, non ce n’è. Senza la fiducia in se stessi, a che serve essere nati? Dovremmo guadagnarla.

Importante da dire è che, oggi, gli studenti non possiedono fiducia in se stessi e fede nell’Âtma. Dov’è l’Âtma? È l’Âtma questo o quel corpo? I bambini (studenti) chiedono dove sia.

L’Âtma è il Residente interiore di tutti gli esseri

Con le Mani, i Piedi, gli Occhi, la Testa,

la Bocca e le Orecchie che pervadono ogni cosa,

Egli pervade l’intero Universo.

Ovunque si guardi, l’Âtma è Uno. I ragazzi possono indagare: dov’è l’aria che respiriamo? Ovunque. Ma gli occhi non la possono vedere e la mano non la può afferrare. Nonostante ciò, senza aria non possiamo vivere. L’Âtma è così. Il prâna è onnipervadente nello stesso modo in cui lo è l’aria.

L’Âtma è relazionato al prâna. Anche nei templi viene detto: “Prâna Pratishthâ” (installazione della vita - N.d.T.). Essi infatti compiono Prâna Pratishthâ[3] (richiamano la vita nella statua di Dio - N.d.T.).

Il nostro prâna è il principio dell’Âtma. Come sarebbe senza prâna? Come può l’aria essere presente in esso? Come avvengono l’inalazione e l’esalazione? I cinque elementi, quindi, sono l’incarnazione di Dio. Aria, acqua, suono (etere), odore (terra) e forma (fuoco) sono tutte incarnazioni di Dio, così come lo sono i cinque sensi: udito, tatto, vista, olfatto, gusto.

Questo è ciò che insegnò Buddha. Egli ascoltò tutto ciò che insegnavano gli eruditi, ebbe il darshan di moltissimi saggi e lesse ogni libro possibile scritto da loro. Ma non ci fu nessuna comprensione.

Alla fine gettò via tutto: “Che cosa sono questi insegnamenti? Stanno insegnando solo cose artificiali. Insegnano che 2 + 2 fa 4. Dicono che 2 + 2 fa 4, ma come viene determinato? È soltanto quando un 2 e un altro 2 sono messi insieme, che si ottiene 4, non è vero?”

Dovete perciò comprendere bene i cinque elementi se volete riconoscerne la natura. Quando Buddha comprese il significato dei cinque elementi, affermò che essi non sono altro che la forma di Dio. In quel preciso istante, si liberò.

Se vi prostrate dicendo: “Signore, Signore, Signore!”, se continuate a inchinarvi davanti agli idoli, sotto un certo aspetto potreste anche essere soddisfatti. Non è sbagliato. Tuttavia, ciò che è importante non risiede in quello, ma all’interno del vostro cuore. Come prima cosa, dunque, abbiate sotto controllo il vostro cuore e comprendete i vostri sensi. In questo modo realizzerete la Divinità.

Ânanda assistette alla Liberazione di Buddha. Ânanda era il figlio della sorella minore della madre di Buddha. I due erano cugini. Egli piangeva poiché Buddha se ne stava andando (stava morendo). Buddha lo vide: “Ânanda, - Egli disse - perché stai aumentando ulteriormente l’attaccamento al corpo? Il corpo, che è passeggero, è (il polo) negativo, mentre l’Âtma è (il polo) positivo. Non si può evitare di eliminare il negativo”.

Poiché il negativo oggi sta crescendo sempre più e l’attaccamento al corpo sta aumentando, l’attaccamento all’Âtma si sta riducendo. Si pensa ininterrottamente al corpo, al corpo, al corpo, al corpo. Bisogna senz’altro prendersi cura di esso. Dobbiamo compiere il nostro dovere; (e quindi) è necessario che ci prendiamo cura del corpo; ma non pensate che esso sia vero. Il corpo è formato dai cinque elementi e, un giorno o l’altro, è destinato a perire.

Il Residente interiore è permanente,

non ha né nascita, né morte,

non possiede attaccamenti, regole o leggi.

Guardate: in verità, quel Residente è Dio stesso,

il quale è l’Incarnazione dell’Âtma.

Non dovremmo quindi perdere tempo con l’attaccamento al corpo. Il corpo va mantenuto e protetto, ma non dobbiamo dipendere costantemente da esso. Senza l’Âtma, che cosa farebbe il corpo? L’Âtma, perciò, è il fondamento; ma noi, purtroppo, stiamo perdendo fede in ciò che è eterno e riponiamo fede in ciò che è artificiale. Questo è sbagliato, sbagliatissimo!

Lavanya
Insieme con questo corpo, dobbiamo mantenere i cinque sensi. Perché essi devono essere salvaguardati? Per sviluppare lavanya (bellezza divina che sorge dal cuore - N.d.T..).

In passato le persone consideravano lavanya equivalente al carattere. Molte persone si chiamano Lavanya.[4] Ci si trasformerà in esseri virtuosi in proporzione all’aumento di lavanya in noi. Anche la bellezza aumenterà. Se sviluppiamo lavanya, nonostante il passare degli anni, saremo sempre giovani, saremo sempre felici, saremo sempre belli, ovverossia, Satyam, Shivam, Sundaram (Verità, Buon auspicio, Bellezza - N.d.T.).

Questo Corpo ha 77 anni. Perché in Esso c’è così tanta bellezza? La Sua bellezza è data da lavanya, la quale nasce dal controllo dei sensi. Quindi, ogni grande uomo (cioè colui che ha il controllo dei sensi - N.d.T.) avrà la bellezza.

Non si è mai visto un Râma vecchio. Egli era sempre giovane. Non si è mai visto un Krishna vecchio. Egli era sempre lavanya, ossia giovane e bello. Questi Esseri, possedendo lavanya, svilupparono un’eterna giovinezza.



Se osserviamo i ragazzi di oggi di 16, 17 anni... (Swami, ridendo, fa il segno delle rughe. Anil Kumar traduce il gesto: “Hanno il volto pieno di rughe!” - N.d.T.) (Risate).

I ragazzi moderni sono ridotti così. Se li si guarda, ci si chiede: “Hanno 75 o soltanto 60 anni?” Ci si stupisce in questo modo.

Non dovrebbe esser così. Bisognerebbe essere sempre forti. Quando avviene ciò? Quando ci si prende cura dei sensi (si controllano). Dovremmo farli lavorare in modo appropriato.

Ogni senso ha il proprio mondo, oltre al quale non va. Le orecchie sono consapevoli solo di se stesse e adempiono solo alla loro funzione; il naso è cosciente solo di se stesso e altrettanto lo è la bocca. Quando lavorano tutti insieme, sono un corpo. Ciò che promuove una tale unione, ciò che crea il dovuto rispetto, adeguato a tale unione, è lavanya.

Si dovrebbe sempre ridere, ridere, ridere e ancora ridere. Non solo così (Swami ride in modo chiassoso - N.d.T.): “Ah, ah, ah, ah, ah!”. (Risate).

Ridere. Dovremmo sempre ridere e sorridere. A dire il vero, se qualcuno sta piangendo, a Me viene da ridere! L’uomo non è fatto per piangere. Non dovrebbe farlo. Perché dovrebbe? Lo Spirito è sempre felice. L’Âtma è forte all’interno dell’uomo; perciò non si dovrebbe piangere, ma esser sempre felici.

Voi, quindi, che siete esseri umani, che siete ragazzi, procedete bene nella vita e diventate persone ideali. Date adeguato aiuto ai bisognosi, agli ammalati, ai poveri e a quelli che sperimentano difficoltà in questa nazione. Queste persone, infatti, andrebbero aiutate a progredire.

La beatitudine della Verità

Perciò, studenti!

Oggi è il primo giorno (del Corso Estivo). Abbiamo organizzato le lezioni estive con l’intento di non farvi buttare via il vostro tempo. I due mesi di vacanza che avete appena trascorso, sono stati un tale spreco! Per colpa di tale spreco state rovinando i vostri sensi e, a motivo di ciò, i vostri studi ne risentono e la salute diminuisce.

Durante questo tempo sacro (del Corso Estivo), sviluppate, dunque, qualità buone e ideali. Solamente quando saranno presenti sia un corpo forte che una mente soddisfatta, avrete Satyânanda (la beatitudine della Verità).




Beatitudine della Verità, Felicità suprema,

Perfetta Forma di Saggezza, oltre la dualità,

Immenso come il cielo, Meta ultima

indicata dall’assioma vedico ‘tat tvam asi’,

Uno, Eterno, Puro, Immutabile,

Onnipresente Testimone di ogni cosa,

oltre le emozioni, al di là dei tre guna.



Questa è la vostra beatitudine. Dovrebbe sempre esserci Sadânanda (beatitudine eterna). Quando si può essere eternamente beati? Se l’attaccamento al corpo cresce, la beatitudine si annullerà. Il corpo va infatti curato solo entro una certa misura; non gli si dovrebbe concedere tutto il proprio tempo.

So IO quanto sono beato!
In questo serbatoio (lo stomaco), non si dovrebbe inserire qualsiasi tipo di cibo, come se si facesse il pieno di benzina. Bisognerebbe mangiare (solo) cibo salutare e controllato. Questo è ciò che sto dicendo oggi ai ragazzi.

Molta gente pranza con Me; tuttavia, da un mese, ho eliminato anche il riso. Prima mangiavo il sangati (polpetta fatta di farina di ragi e riso - N.d.T.), mentre adesso ho smesso di mangiare anche quello. Mangio solo un roti (chapati) il mattino, e niente altro. E so IO quanto sono beato!

Potreste pensare: “Swami è debole”. Ma questo è ciò che vedete voi.

Com’è il sentimento, così è la visione

Nessuna debolezza. Sono molto forte! Posso percorrere a piedi qualunque distanza. Voi non sapete che, in caso di necessità, posso metterMi a correre velocissimo! (Applausi).

E questo grazie a lavanya. La Mia lavanya Mi procura così tanta Beatitudine!

Molte persone Mi guardano e dicono: “Swami è bellissimo!” Se sono così splendido, potrei apparire ammalato? (Risate).

Non Mi preoccupo affatto. Sono la Bellezza eterna. Non avrò, dunque, mai preoccupazioni. SeguiteMi anche voi. A tutti dico:

“La Mia vita è il Mio messaggio”.

Prendete la Mia vita come messaggio e seguiteMi. Avrete anche voi una forte volontà a tempo indeterminato e otterrete una grande forza. Siate così, rendete salda la vostra vita e offrite l’aiuto dovuto alla nazione.

Sentite di essere nati per servire, non per comandare. Siate tutti sevak (persone che rendono servizio disinteressato - N.d.T.). Chi sono i sevak? Sono coloro che svolgono del lavoro. Sviluppate, perciò, una propensione al servizio.

(Baba canta: “Hari Bhajana Binâ Sukha Shânti Nahi ...”)

(Poi prosegue - N.d.T.:)

Studenti! Studentesse!

Dopo che le lezioni saranno terminate, non andate fuori a perder tempo. Ricordate le buone cose che avete ascoltato, i buoni argomenti che vi sono stati insegnati e imprimeteli nel vostro cuore. Questo è il lavoro che dovete svolgere durante questi dieci giorni. Una volta impresse, ovunque andrete, tutte le materie verranno ricordate.



Le gopika dissero... Volete sapere che cosa? Uddhava si recò da loro e disse: “Krishna vi manda un messaggio. Ascoltatelo!”

“Che cos’è un messaggio?” - esse risposero - Noi vogliamo Krishna e non abbiamo bisogno di messaggi. Non lo vogliamo. Di che messaggio c’è bisogno? Krishna è impresso nel nostro cuore. Nessuno può separare Krishna dal nostro cuore. Com’è possibile separare un’unità? Nessuno può farlo”.

Io e Dio siamo Uno.

Dobbiamo sviluppare questa Unità. Inoltre, dovreste restare in silenzio, senza perder tempo, senza fare discorsi improntati su cattivi sentimenti o buttare via il tempo in parole inutili. Parlate meno, lavorate di più. Più studio.

(Lunga pausa. Swami inizia a distribuire dei biscotti - N.d.T.).

(Gli studenti) sono tutti dei bambini piccoli! Biscotti!! (Risate).



Whitefield, Auditorio dell’Università, mattino del 16 maggio 2002

Discorso Inaugurale del Corso Estivo 2002,


Versione Integrale


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Note:

[1] Swami sta parlando della parte simbolica del gesto: congiungere le mani, unendo così i 10 sensi (simbolizzati dalle 10 dita) all’altezza del cuore.

[2] Ekalavya: figlio di Hiranyadhanus, re della foresta, Ekalavya chiese a Dronâcharya, il precettore dei Pândava, di insegnargli l’arte del tiro con l’arco, ma Drona rifiutò; primo, perché Ekalavya apparteneva alla casta dei shûdra e secondo, perché Arjuna, al fine di essere il migliore in assoluto in quell’arte, gli aveva fatto giurare che mai, a nessun altro, avrebbe trasmesso i suoi insegnamenti. Imperterrito, Ekalavya tornò nella foresta e riprodusse in terracotta una copia esatta di Dronâcharya. Da quel momento egli considerò l’idolo di Drona il suo precettore e l’adorò come si venerano i guru. Rimanendo di fronte alla statua, egli iniziò a praticare l’arte del tiro con l’arco e, in breve tempo, ne divenne maestro. Tempo dopo, i Pândava andarono a caccia nella foresta. Quando uno dei cani da caccia di Arjuna da lontano vide Ekalavya, cominciò ad abbaiare. Ekalavya scoccò sette frecce che s’infilzarono verticalmente fra le mascelle del cane, tanto da non permettergli più di chiudere la bocca. Arjuna rimase così stupefatto da una tale maestria, da voler subito sapere a chi appartenesse tanta bravura, venendo così a sapere che l’arciere era uno sconosciuto discepolo di Drona. A questa notizia il disappunto di Arjuna oltrepassò i limiti. Egli andò immediatamente a lamentarsi da Drona, il quale chiamò Ekalavya e gli chiese il pollice della mano destra come gurudakshinâ (dono che il discepolo fa al guru come segno di riconoscenza per l’insegnamento ricevuto). Senza la minima esitazione, Ekalavya si tagliò il dito e lo diede al guru. In questo modo non fu mai più in grado di tirare con l’arco, cessando in tal modo di essere una minaccia per Arjuna.

[3] Prâna Pratishthâ: è la parte iniziale di ogni rituale durante la quale viene richiamato il prâna (alito vitale) nella statua della Divinità, dando così vita all’idolo. Il Dio vivente rimarrà presente nella statua durante tutta la cerimonia, per poi andarsene a rituale concluso.

[4] È l’usanza indiana di chiamarsi come le Divinità o con i nomi di attributi divini.