Se sei un ricercatore di veritą, scoprirai che non c'č caritą, sacrificio, liturgia, posizione di prestigio, di onore o di forza politica, conoscenza o scienza, e persino legge morale pari all'Amore.
Incarnazioni dell'Amore,
non c'č persona in India che non conosca il Rāmāyana. Il Rāmāyana č un ideale valido per ciascun essere umano, per ogni famiglia, per tutti i fratelli. Sin dall'antichitą milioni di persone hanno udito, ripetutamente e in tanti luoghi diversi, la storia di Rāma.
Il genere umano č volto verso il progresso, ma nessuno s'interroga a fondo sull'umanitą. Progredisce l'uomo, ma non la sua mente. La gente cambia il proprio modo di vestire, segue delle mode cangianti, ma non cambia il suo modo di pensare, non migliora il suo intelletto (buddhi). A che serve essere uomini se non si trasforma il pensiero? A che scopo cambiare lo stile dell'abbigliamento se non muta lo stile dell'intelletto? Č nel cervello che l'uomo deve cambiare; č la sua mente che dev'essere modificata.
Non serve proprio a niente cambiare l'aspetto esteriore; se gli uomini non cambiano sé stessi, non ha alcuna importanza far tante pratiche spirituali.
Sono del tutto inutili. Se non cambia la mentalitą, non ha senso far tante preghiere, meditazioni o riti, perché chi non cambia non č un essere umano.
Gli uomini d'oggi non s'impegnano nel verificare quanto importante sia la vita spirituale. Mano mūlam idam jagat: "La mente č all'origine del Cosmo".
Se dunque non si rinnova alla base quella pura, divina, fausta mente, a che serve cambiare tutto il resto?
Tre debiti
Quando un uomo viene al mondo lo accompagnano tre debiti: il debito verso Dio, il debito verso i saggi, il debito verso i genitori.
Fin dai tempi antichi si riteneva che Dio si trovi nel corpo dell'uomo, che la Sua forma sia in ogni cellula, per fornire nutrimento vitale e far sģ che il genere umano si perpetui. Lo chiamavano Angirasa, il Principio Divino che presiede nella forma della linfa vitale alle varie parti del corpo, seguendolo in ogni istante per proteggere l'uomo. Perciņ, il nostro primo debito č verso Dio.
Che fare per pagare questo debito? Č possibile estinguere il debito verso Dio compiendo buone azioni, sviluppando buone inclinazioni e comportandosi rettamente; e ciņ aiutando il prossimo, alleviando le sue sofferenze e provvedendo al benessere degli altri. In sostanza, per ripagare il debito verso Dio, Egli ci ha indicato la via del servizio.
Ma a chi dobbiamo dedicare il nostro servizio? Agli uomini, agli esseri viventi. Il servizio deve trovare la sua motivazione nell'intento di estinguere il nostro debito verso Dio, non nel semplice soccorso degli esseri viventi. Qualunque cosa si faccia per servizio ridurrą questo debito.
Dunque, bisogna impegnarsi per cercare di restituire a Dio con buone azioni ciņ che Gli č dovuto. Anche l'azione pił insignificante compiuta a beneficio di un altro farą ulteriormente calare il debito.
Il corpo viene dato perché serva ad aiutare gli altri, non per il piacere di comandare: chi si fa servo č un vero capo. Bisogna attirarsi la benedizione di tale servizio al prossimo che ripaga il debito verso Dio, il quale pervade ogni membro del corpo umano sotto forma di fluido sottile: una veritą di cui occorre essere consapevoli. Ecco dunque il primo debito che dobbiamo pagare: il debito verso Dio.
Il secondo debito č verso i saggi. Gli antichi saggi, o rishi, conoscevano tutto dell'uomo, passato, presente e futuro; erano versati in molte culture ed erano maestri nell'insegnamento del giusto sentiero del dharma e dell'etica, di modo che i popoli potessero trovare la perfezione in questo mondo e nell'altro. Quei saggi collaudarono ogni tipo di sādhanā adatta all'uomo. Noi dobbiamo percorrere il sentiero che i saggi hanno tracciato senza errori; č cosģ che paghiamo il debito verso di loro.
Infine, il terzo debito č quello verso la madre e il padre. I genitori proteggono i figli da ogni genere di avversitą, li allevano, li educano e li fanno progredire in tante maniere. Il primo guru in assoluto č la madre; perciņ i Veda proclamano: "Rispetta tua madre come Dio, rispetta tuo padre come Dio".
Quindi, se abbiamo in animo di ripagare il debito contratto coi genitori, dobbiamo scoprire il modo di non tornare pił nel grembo della madre.
Chi č gią passato una volta per il grembo della madre, non dovrebbe pił rinascere, evitando tutte quelle azioni che lo riporterebbero a una nuova vita.
Una madre non dovrebbe pił subire tante afflizioni.
Quando uscite dal grembo materno, non portate alcuna collana al collo, non ci sono perle, pietre preziose o catenelle d'oro che vi adornano.
Ma lą, intorno al collo, proprio lą avete la ghirlanda di tutte le azioni delle vostre vite passate, buone o cattive che siano.
Ve l'ha consegnata Dio, ve l'ha messa al collo Lui, integra, senza romperla, quella pesante ghirlanda.
Colui che indossa una simile ghirlanda ed č nato una volta, non dovrebbe pił desiderare di nascere una seconda volta. L'uomo č nato per pagare questi tre debiti, e non per sprecare la vita ammassando ricchezze, ori, oggetti, macchine, né per darsi a tutti i piaceri del mondo. Eppure ci sono alcuni oggi che si vantano di essere dei "devoti", ma vanno avanti per strade del tutto opposte alla devozione.
Una volta Buddha era in viaggio per predicare alla gente la veritą.
Giunto ad un villaggio si sentģ cosģ stanco che chiese a uno dei suoi discepoli di alzarsi: "Nityānanda, figliolo, oggi vorrei riposarmi un poco. Ti prego di esporre qualche buon insegnamento a questi devoti qui riuniti". Poi Buddha si ritirņ e andņ a riposarsi. Perņ, non riusciva a prender sonno, perché udiva tutte le parole che diceva Nityānanda. E che cosa stava dicendo Nityānanda? "O gente, mai prima d'ora č nato un simile Buddha né mai pił nascerą. Perciņ approfittatene, fate di tutto per godere appieno di questa fortuna Buddha mai nacque prima, né mai rinascerą."
Quando Nityānanda proclamņ a gran voce questa frase, tutti i devoti applaudirono. Buddha allora si alzņ e andņ a presentarsi alla gente; diede un colpetto sulla spalla a Nityānanda e gli chiese: "Figliolo, quanti anni hai?" "Quaranta, Swami" rispose il discepolo. "Quanti villaggi hai visto?" chiese di nuovo Buddha. E Nityānanda: "Ho visitato molte cittą". "Ma - domandņ Buddha - hai veduto grandi cose?" "No" fu la risposta. "Sei arrivato all'etą di quarant'anni. Fino ad oggi che cos'hai conosciuto? Ti sei mai preoccupato di seguire le parole del Buddha?"
E Nityānanda rispose: "Ci sto provando". Allora Buddha gli disse:
"Pazzo che non sei altro! Non č gran cosa tenere un discorso a questo piccolo gruppo di persone, se potrai dir loro solo quel poco che sai. Tu hai appena detto che non č mai nato nessuno prima come lui, ma tu sai chi era nato prima di quarant'anni fa? Quanti grandi esseri sono nati prima! E poi, in futuro quanti altri grandi esseri nasceranno! Tutti i grandi, i grandi esseri verranno al mondo. Se non sei in grado di capire questa veritą, con che autoritą affermi che "essi mai sono nati prima e mai nasceranno in futuro"?
Non parlare di cose come queste, che non possono essere vere".
Se il mondo non vedesse nascere i grandi, non potrebbe assolutamente sopravvivere.
Come potrebbe sorgere il Sole sulla Terra, se non ci fossero dei grandi esseri?
Il mondo riceve e irradia luce in ogni istante, grazie alla presenza di questi grandi, per cui non esistono al mondo tempi senza Dio, luoghi privi di Dio e cose che non derivino da Dio. Tutto č immerso in Dio, anche se voi lo ignorate. Tutto č una creazione di Dio. Qualunque cosa si faccia, si veda, si dica, si pensi, proviene dal sankalpa di Dio, ossia dal Suo Piano, dalla Sua Decisione. Perciņ, nessuno puņ dare una descrizione della natura di Dio, nessuno puņ dire che sia questa o quella.
Il debito verso Rāma
Si dice che oggi sia il giorno in cui nacque Rāma. Non č gran cosa celebrare i compleanni; č importante invece mettere in pratica gli insegnamenti dei grandi che sono apparsi sulla Terra. Nel Rāmāyana si dice Rāmo vigrahavān dharmah: "Rāma č l'Incarnazione della Rettitudine"; la Sua Forma fu quella del dharma; le Sue parole avevano la forma della veritą; le Sue azioni erano la personificazione della pace. C'č forse qualcosa di meglio?
Sarva bhūta dharam shantam sarva nama dharam shivam satchitananda rūpam advaitam sathyam shivam sundaram
Egli č il Signore di tutte le creature.
Tutti i nomi sono Suoi.
Tutte le forme sono Sue.
Egli č l'Incarnazione di
Veritą, Consapevolezza e Beatitudine.
Ed Egli č la Veritą, la Bellezza, la Bontą.
I quattro fratelli Rāma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna non sono da considerare come semplici figli di Dasharatha. Chi era Dasharatha? Dal punto di vista umano, egli fu sovrano di Ayodhyā. Che cosa significa Ayodhyā?
Si crede che sia una cittą che sorge nei pressi di Kāshī (Vārānasī) dove Rāma č nato, ma č un grosso errore.
Una volta, Ashok Singhal mi chiese: "Swami, dov'č nato Rāma? C'č parecchia gente che indica luoghi diversi". Swami vi dirą qual č il vero luogo di nascita di Rāma. (Allora risposi a Singhal) "Singhal, il luogo di nascita di Rāma č il grembo di Kaushalyā" (applausi). Potete dire che Rāma sia nato qui o lą, ma, in realtą Rāma č dappertutto.
Dove si trova Ayodhyā? Si trova in qualche luogo dove non puņ essere conquistata. A nessuno, nemmeno a un eroe, č possibile entrarvi. E quel luogo č solo il cuore, il cuore! Dasharatha rappresenta simbolicamente il cuore. Il corpo č come un cocchio con dieci sensi. Dasharatha ha tre mogli: Kaushalyā, Sumitrā e Kaikeyī. E chi sono queste tre mogli? Sono ciņ che si sceglie: ogni uomo, dipendendo dal proprio corpo, sceglie tre qualitą, sattva, rajas e tamas, la purezza, la passione e l'inerzia, rappresentate dalle tre mogli di Dasharatha.
A queste tre mogli nacquero quattro figli. Chi sono? Sono i Quattro Veda: il Rig Veda, lo Yajur Veda, il Sāma Veda e l'Atharva Veda. Il Rig Veda č Rāma; il Sāma Veda č Bharata; lo Yajur Veda č Lakshmana; l'Atharva Veda č Shatrughna. I quattro figli di Dasharatha giocavano da bambini nella loro casa. Solo mantenendo il pensiero in ciņ che i Veda ispirano, impareremo davvero che cosa sia la vera devozione e l'abbandono.
Rāma era nato da Kaushalyā. Che significa? Che cosa rappresenta Kaushalyā?
Questa madre rappresenta la stabilitą della mente, la costanza nel mantenere un cuore puro. Sumitrā era una buona amica di tutti; fu un esempio che non ha uguali. Quando Rāma si diresse verso la foresta e si congedņ da Kaushalyā col namaskar, ella si lamentņ: "Figlio mio, te ne vai e mi lasci sola.
Non posso vivere senza di te!" Sumitrā allora le si avvicinņ e le disse:
"Mia cara sorella, come puoi essere tanto ignorante? Hai un figlio che č Dio in persona e ti preoccupi di essere abbandonata da Lui? Egli non ti lascerą mai sola. Non potrebbe. La sua partenza per la foresta č un evento che s'inscrive entro i limiti del tempo, dello spazio, della causalitą. Gli uomini hanno bisogno di muoversi da un punto all'altro. Poi tornerą.
Non lamentarti per questo fatto isolato". Con queste sagge parole Sumitrā esortņ la sorella maggiore.
Arrivņ Lakshmana, che s'inchinņ alla madre. Ecco che cosa gli disse Sumitrā:
"Figlio mio, stai pensando di andare nella foresta, vero? No, non andarci;
Ayodhyā, senza Rāma e Lakshmana, č una foresta. Rāma č tuo padre e Sītā tua madre: prenditi amorevolmente cura di loro, proteggili. Questo č il tuo dovere principale. O Lakshmana, tu che sei nato da me, devi compiere questo dovere. E a te, che sei l'altro mio figlio, o Shatrughna, chiedo di servire Bharata".
Che tipo di relazione c'era tra queste persone? C'č un piccolo particolare che si verificņ e che bisogna capire. Quando Dasharatha celebrava lo yajńa, dal fuoco sacrificale uscģ una coppa di payasam, di budino di riso.
Vasishtha disse a Dasharatha: "Dasharatha, distribuiscilo alle tue tre mogli in parti uguali". In realtą, č triste vedere come fanno i pandit a distribuire quel cibo; ma Dasharatha non faceva alcuna differenza per nessuno, nemmeno per le sue tre mogli. Il payasam fu versato in porzioni uguali in tre coppe d'oro; e, dopo aver chiesto alle tre mogli di lavarsi il capo, esse furono accompagnate dalla seguente benedizione: "I guru, i maestri, i precettori vi benedicano e vi diano questo cibo".
Kaushalyā, felicissima, entrņ per prendere il payasam; anche Kaikeyī, piena di gioia, dopo aver fatto le abluzioni richieste, lo prese e lo portņ in un luogo sicuro. Ma Sumitrā non era per niente contenta. "La prima regina, Kaushalyā, - si lamentņ - cui Dasharatha ha dato parola che suo figlio sarebbe potuto salire al trono, puņ ben essere felice; ma i miei figli non saranno mai re. Perché dunque dovrei mangiare questo budino di riso? I miei figli non sanno nemmeno che tipo di vita li aspetta". Poi andņ a fare il bagno. Non c'erano a quel tempo ventilatori né asciugacapelli. Andņ sulla terrazza, portando con sé la coppa del budino che poggiņ sulla balconata; mentre si asciugava i capelli all'aria, sopraggiunse in volo un'aquila, che afferrņ la coppa e se la portņ via. Sumitrā se ne accorse, ma non si rattristņ per quella perdita; temeva solo che suo marito la punisse.
Scese da basso, dove stavano sedute Kaushalyā e Kaikeyī.
"Sorella maggiore, fammi un piacere; aiutami ad evitare che mio marito si arrabbi" disse a Kaushalyā, la quale rispose: "Mia giovane sorellina, perché mai ti rattristi tanto?". Poi, prese del suo budino e lo mise in una coppa per Sumitrā. Cosģ pure fece Kaikeyī versando un po' del suo nella coppa di Sumitrā. Le due porzioni erano perfettamente uguali. Cosģ, tutte e tre, con le loro porzioni, si presentarono ai pandit. Perciņ, la parte di Kaushalyā diede origine alla nascita di Lakshmana da Sumitrā, ed era una parte di Rāma; la parte di Kaikeyī diede origine alla nascita di Shatrughna sempre da Sumitrā, ed era una parte di Bharata.
Furono i dotti pandit a dare i due nomi ai figli. Lakshmana non stava fermo un minuto, non dormiva mai, non voleva prendere il latte e non c'era medicina che lo potesse guarire o farlo smettere di piangere. Alla fine, fu portato da Vasishtha: "Guruji, che sta accadendo a questi bambini? Non bevono latte, non dormono, piangono sempre. Credo che non avrei dovuto avere dei bambini, ma non ho avuto scelta. Mi sorprende questa cosa; ti prego, dimmi che cosa debbo fare". Vasishtha scrutņ i fatti con la sua visione interiore e disse: "Sumitrā, non c'č assolutamente bisogno che tu ti preoccupi. Prendi questo bimbo Shatrughna e, col permesso di Kaikeyī, riponilo nella culla di Bharata. Poi, col consenso di Kaushalyā, metti Lakshmana nella culla di Rāma. Ne saranno entrambe felici".
Allora Sumitrā andņ da Kaushalyā e le chiese: "Mia sorella maggiore, mio figlio non dorme. Quale sarą il suo destino? Ti prego, fagli un po' di posto vicino a Rāma, nella sua culla". Cosģ Lakshmana fu deposto nella culla insieme a Rāma e, perso in Lui, dormiva come un ghiro e, quand'era sveglio, agitava gioiosamente mani e gambe. Sumitrā non poteva sopportare la vista di tutta quella gaiezza e si domandava donde provenisse tutto quell'entusiasmo.
A quel pensiero, si ricordņ di quanto le aveva detto Vasishtha: "Madre, lui č una porzione di Rāma e, trovandosi ancora vicino a Rāma, ne assorbe tutta la gioia. Shatrughna č una parte di Bharata e, quando starą vicino a lui, ne sarą felice. Perciņ, quando ogni parte si ricongiunge all'altra sua propria, ne ottiene gioia piena, giacché la felicitą č al culmine quando la parte si ricongiunge al Tutto che ne č la Fonte.
Nella Bhagavad Gītā anche il Signore afferma: "Il Sé eterno di tutte le creature č una porzione del Mio Essere". Ma perché non ce ne rendiamo conto?
Perché voi siete preoccupati? Perché siete oppressi da tante avversitą?
Ciņ č dovuto al fatto che non ci mettiamo vicino al Signore; per questo soffriamo angosce, prove e difficoltą. Se stessimo vicino a Dio, non avremmo alcun problema. Quando Lakshmana stava vicino a Rāma, non ebbe mai a soffrire alcunché, poiché tutta la sua vita era al servizio di Rāma.
Shatrughna era una parte di Bharata e tutta la sua vita la passņ accanto a Bharata.
Se osservate bene la vita di questi tre fratelli, - Rāma, Lakshmana e Bharata - non troverete nessuno al mondo che sia come loro. Sovente in India, quando nascono due gemelli, vengono chiamati Rāma e Lakshmana, ma sono tali sono di nome, perché si tratta spesso di fratelli disposti a ricorrere al tribunale della Corte Suprema per questioni di ereditą. Il Rāma e il Lakshmana del Rāmāyana sono cosģ uniti che arrivano insieme alla pił alta meta della fraternitą.
Riguardo a questa unione tra di loro, al tempo della guerra contro Rāvana, Lakshmana, colpito da una freccia, cadde privo di sensi. Rāma era distrutto e, gettato via l'arco, soccorse Lakshmana prendendogli la testa e appoggiandosela in grembo. "O Lakshmana, con un po' di buona volontą, in questo mondo posso trovare una madre come Kaushalyā o una moglie come Sītā; ma non riuscirņ mai pił a trovare un fratello come Te, Lakshmana!"
Tale era l'affetto che Rāma portava verso il fratello. Che grande amore, e che esempi furono! Noi dovremmo imitarli. Il Rāmāyana ci parla della nascita di Rāma, del suo esilio nella foresta, della sua molteplice azione protettrice; poi della presa di Lankā, dell'uccisione di Rāvana e del salvataggio di Sītā. Ma č tutto? Che cosa, quando, dove, come compģ ogni azione? Ecco perché bisogna prendere esempio dagli ideali, scoprendone l'essenza, le cause, le circostanze.
Il Rāmāyana non dice succintamente che Rāma, nacque, andņ a Lankā, uccise Rāvana e riprese Sītā. Non č cosģ la storia del Rāmāyana. Perché nacque Rāma? Per ristabilire il dharma. Per qual fine e come possiamo noi proteggere il dharma? Per essere felici, soddisfatti. Che cosa significa dharma? Significa "ciņ che rende felici" nel cuore, ciņ che ci sostiene. Se agiamo contro la morale, la nostra coscienza si ribellerą. Ogni singolo essere umano č un'incarnazione del dharma e viene al mondo per attuarlo. Se vi concederete ai piaceri mondani e dei sensi, non avrete che dolore.
Rāma andņ nella foresta. Prima di recarvisi, disse a Sītā: "Sto andando nella foresta" "Dove?" "Sģ, nella foresta. Mio principale dovere č obbedire agli ordini di mio padre. Vado". E Sītā: "Che ne sarą di me? Il mio dovere sta nel seguire le orme di mio marito".
Rāma cercņ in ogni modo di metterla di fronte agli ostacoli che avrebbe incontrato: "Lą ci sono degli esseri demoniaci crudeli. Non riusciresti a sfuggire loro, non ti lascerebbero andar libera". Ma Sītā non era una donna ordinaria; era nata dalla Dea Madre Terra e ne possedeva tutti i poteri.
Disse: "Rāma, tu che puoi proteggere il mondo intero, non puoi proteggere nemmeno una sola donna come Sītā? Anch'io ti seguirņ, anch'io verrņ con te nella foresta!" Ma Rāma insistette: "Io posso vivere da solo nella foresta.
Tu rimarrai ad Ayodhyā a servire mia madre e mio padre che sono anziani".
"Il mio pił importante dovere č servire mio marito - riprese Sītā - non tua madre o tuo padre. Tu sei Rāmachandra, il tuo aspetto č simile a quello della Luna splendente di luce ristoratrice. E io sono Sītā, che significa "colei che č come il chiaro di luna". Potrą mai esserci la Luna da una parte e il chiaro di luna da un'altra? Č ovvio che dove c'č la Luna c'č anche la sua luce. Se dunque la Luna č nella foresta, il suo chiarore potrą stare ad Ayodhyā? Dunque, io parto con te". Cosģ, con un enorme senso dell'avventura e un coraggio da leone, Sītā seguģ Rāma. ...E noi dovremmo seguire il suo esempio.
Questo č il sacro sentiero che dovete intraprendere anche voi. Ecco dunque il modo con cui dobbiamo accostarci a testi quali il Rāmāyana, con l'intento di scoprirne le veritą recondite. Il Rāmāyana non č una storiella comune, non č il racconto di un uomo ordinario, ma č la storia di una nazione intera. Sumitrā, dunque, ebbe due figli per aver mangiato una parte della porzione del payasam di Kaushalyā e una parte di quella di Kaikeyī. Ma che fu della coppa di Sumitrā? L'aquila se la portņ via con sé e fece cadere il budino su una montagna, dove a riceverlo c'era la Dea Ańjanā. Dopo averlo mangiato, Ańjanā concepģ e diede alla luce Hanūmān. Nessuno conosce la stretta, intima relazione che esiste tra Hanūmān e Rāma, Lakshmana, Bharata e Shatrughna. Perciņ, anche Hanūmām proviene da una parte di quel payasam.
Finalmente, siamo all'incoronazione di Rāma. La gente esultava di gioia.
Quei fratelli erano adorati dal popolo e c'era un'atmosfera di tripudio per il ritorno di Sītā e di Rāma ad Ayodhyā. Rāma, - a quel tempo fra le corti imperiali era un uso rituale - davanti al popolo festante distribuģ dei doni ad ogni reale. Presentņ dei doni a Shatrughna, a Sugrīva, a Vibhīshana, e a tutti i sovrani presenti, ma non riservņ alcun regalo a Hanūmān!
Sītā si voltņ lentamente verso Rāma come per chiedergli ragione di quella omissione; ma Rāma disse: "Sītā, Hanūmān non č tipo che ami questi regali; lui non ne ha bisogno". Allora Sītā si tolse la collana di perle che aveva al collo e la donņ a Hanūmān. Ma che fece Hanūmān? La sciolse tutta, e, ad una ad una, incominciņ a mordere le perle; poi, dopo averle provate sotto i denti, le avvicinava all'orecchio, per verificare se emettevano qualche suono. Ma non c'era alcun suono in esse. Allora le scaraventņ via dicendo:
"Non voglio questa roba! Nessun tipo di gemma, perla, rubino, corallo, smeraldo o diamante contiene il nome di Rāma. Perciņ non m'interessano; per me non valgono pił che dei sassolini".
A questo punto, Sītā ebbe dei dubbi sulla sanitą di mente di Hanūmān:
"Molti pensano che tu sia una scimmia. Sģ, sei una scimmia! Hai perso le tue abitudini scimmiesche? Mio padre mi ha donato questa collana preziosa e tu, senza nemmeno conoscerne il valore, la getti via!"
Allora Hanūmān disse: "Madre, perdonami. Tutto quanto č in me, qualsiasi parte del mio corpo, non fa che ripetere il nome di Rāma. Guarda, persino i peli delle mie mani vibrano di quel suono". E Hanūmān si strappņ un pelo dalla mano e lo mise vicino all'orecchio di Sītā, e quel pelo risuonava ripetendo "Ram Ram Ram Ram Ram..."; giacché ogni cellula del corpo di Hanūmān era piena del nome di Rāma.
Sītā allora esclamņ:
"Tra le scimmie, tu sei la Perla.
Tu sei Hanūmān, il conquistatore dei tre mondi.
Tu sei colui che ha distrutto la cittą di Lankā.
Tu sei il grande eroe che č andato in cerca di Sītā, figlia del re Janaka."
La gente non fa che ripetere che Hanūmān č una scimmia, ma ignora la nobiltą dei suoi sentimenti, la grandezza del suo cuore. Se il Rāmāyana č uno scritto grandioso, lo si deve principalmente a Hanūmān. Senza Hanūmān non ci potrebbe essere nemmeno il Rāmāyana.
Perciņ, Hanūmān č stato preso a modello di una piena e sacra devozione.
Laddove c'č il nome di Rāma, c'č Hanūmān. Nome e forma si fondono in unitą e l'esempio di Hanūmān č una testimonianza di questo non dualismo (advaita).
I devoti odierni non hanno sentimenti cosģ nobili e sacri. Dedicano del tempo alla lettura quotidiana del Rāmāyana? Quante volte vanno ad ascoltare la storia di Rāma? E con quali risultati? C'č stato un cambiamento nel vostro modo di pensare? Si č trasformata la vostra vita? No, nessun cambiamento, nessuna conversione! Č cambiato qualcosa? No, per niente!
La gente č solita ripetere "Noi siamo devoti di Rāma, siamo devoti!" Ma dei devoti di Rāma non se ne vedono da nessuna parte. C'č solo della grand'esterioritą, ma di devoti che pratichino non c'č nemmeno l'ombra.
A Rāma non piace assolutamente che si facciano le cose per far bella mostra del proprio ego. A Rāma si arriva e lo si conquista quando si mette in pratica gioiosamente i suoi insegnamenti. La pratica e la gioia sono il principio di Rāma che ce Lo conquista.
(Swami intona un canto: Rāma Rāma Rāma Sītā...)
Ciņ che bisogna saper vedere e capire nella storia del Rāmāyana č la santitą della devozione e dell'abbandono di Sītā. Rāma, prima di recarsi nella foresta, cedette tutti i suoi beni ai poveri, e pure Sītā, nel seguire il marito, lasciņ tutti i suoi ori per opere caritative. Avendo rinunciato a ogni sua ricchezza e avendo seguito in tutto Rāma, Sītā raggiunse e ottenne il Suo Principio. Tuttavia, dopo essere andata nella foresta, Sītā che non aspirņ pił a possedere dell'oro, desiderņ avere un cervo d'oro.
Ne aveva visto uno e chiese a Rāma di poterlo avere. "Perché lo vuoi?"
domandņ Rāma. Ed ella rispose: "Cosģ, quando non ho nessuno accanto a me, posso dilettarmi della sua compagnia". Ma quando, se rinunciņ a tutto per seguirle Rāma in ogni suo passo? A causa di questo suo desiderio di oro, Rāma le stette lontano. Č cosģ che l'uomo, quando accetta le attrazioni dei desideri, si allontana da Dio. Solo rinunciando ad essi puņ raggiungere il Divino. Se dunque volete arrivare a Dio, Non c'č azione, progenie, posizione o patrimonio che vi porti a Lui;
solo nel sacrificio otterrete l'immortalitą.
Col sacrificio otterrete Rāma; dal Rāmāyana dobbiamo apprendere con quale atteggiamento e con quali sentimenti possiamo perfezionare nella santitą la nostra vita. La nostra vita sarą santa solo quando vi porteremo le sottili e pure esperienze del Rāmāyana.
Dunque, non basta celebrare il Rāma Navamī come la festa della nascita di Rāma, ma bisogna che la storia di Rāma entri nei nostri cuori; bisogna riempire le nostre azioni con la rettitudine e l'integritą morale di Rāma, la cui parola era una sola, come unica fu la sua freccia. Non c'era doppiezza nel suo parlare e tutta la sua vita fu contrassegnata dalla veritą e dalla giustizia. Dove si trova gente simile oggi? Da nessuna parte.
(Swami intona il bhajan "Rāma kodanda Rāma...")
Se voi fisserete nel vostro cuore la storia del Rāmāyana, se ne ripeterete continuamente il nome con divina partecipazione, sperimenterete ogni sorta di gioia e beatitudine.
(Swami ora conclude, come al solito, col bhajan "Prema mudhita mana...").
Brindavan, 12 Aprile 2000
Nascita di Rāma.
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