Incarnazioni dell'Amore,
raccoglieremo ciò che avremo seminato. Che si sia d'accordo o no, questa è una legge di natura. Allo stesso modo, le conseguenze da affrontare sono il risultato delle nostre azioni. Bisognerebbe quindi cercare di agire nel migliore dei modi per ottenere buoni risultati. Al giorno d'oggi, nessuno è pronto a far del bene, ma pretende di raccogliere buoni frutti; nessuno è pronto ad astenersi dalle azioni negative, ma al contempo non ne vuole accettare i risultati.
Incapaci di sopportare le sofferenze, gli esseri umani, allora, se la prendono con Dio come fosse Egli l'artefice del loro destino. Dio non procura né piaceri né dolori: questi sono solo i risultati delle nostre azioni. Egli è solo il Testimone. Come il postino non è responsabile delle notizie buone o cattive contenute nelle lettere che egli recapita, allo stesso modo Dio è solo il silenzioso distributore dei risultati delle azioni di ciascuno.
C'è tuttavia una grazia speciale che il Signore conferisce a quei devoti che pregano e si abbandonano a Lui con sentimenti puri e nobili.
Se una persona si è guadagnata qualche merito nella vita presente o in quelle precedenti, Dio interviene nel suo Karma per alleviare le sue sofferenze.
Durante il periodo di umiliazione di Draupadî alla corte reale dei Kaurava, sebbene cinque degli uomini più potenti fossero suoi mariti, ella capì che solo Krishna avrebbe potuto salvarla dalla sua difficile situazione. Così chiese il Suo aiuto, gridando: "Keshava, Mâdhava, Dâmodara, Madhusûdana!". Chi è Keshava? E' la vera incarnazione di Brahma, Vishnu e Maheshvara (Shiva). Keshava significa "dalla chioma nera, folta e ricciuta". Krishna, quindi, esaminò la vita di Draupadî, pensando per un attimo se ella avesse compiuto qualche buona azione che meritasse il Suo intervento.
Gli sovvenne, allora, un episodio avvenuto il giorno di Sankrânti, allorché Egli si era fatto male ad un dito tagliando una canna da zucchero e il dito aveva cominciato a sanguinare alla presenza di Rukmini (1), Sathyabhâmâ (2) e Draupadî. Sathyabhâmâ ordinò ad una serva di andare a prendere un pezzo di stoffa e Rukmini corse ella stessa a prenderlo; Draupadî, invece, strappò un pezzo del proprio sari e lo legò attorno al pollice destro di Krishna, impedendo così che fuoriuscisse altro sangue. Vedendo ciò, Sathyabhâmâ e Rukminî provarono vergogna.
Krishna ricordò questa azione altruistica e piena d'amore da parte di Draupadî e volle che quel pezzo di stoffa le fosse simbolicamente restituito innumerevoli volte. L'onore di Draupadî, così, fu salvo. In qualunque parte del mondo, ricevete in cambio qualcosa solo se avete dato qualcosa. A meno che non paghiate, non potete avere neppure un fazzoletto. Lo stesso avviene nel rapporto fra Dio e i Suoi devoti.
Kuchela(3) offrì un pugno di riso e, in cambio, ebbe innumerevoli ricchezze. Quando Sathyabhâmâ mise Krishna sul piatto della bilancia, Rukminî mise sull'altro piatto una foglia di tulsi, offrendolo con tutta la sua devozione. Ebbene, la foglia si dimostrò più pesante della forma fisica di Krishna. Nella Bhagavad Gîtâ si afferma che si dovrebbe offrire a Dio una qualunque di queste tre cose: "Patram, pushpam, phalam,toyam", vale a dire "una foglia, un fiore, un frutto e dell'acqua". Ciò significa il nostro corpo (le foglie), il nostro cuore (il fiore), la nostra mente (il frutto) e le nostre lacrime (l'acqua); con queste offerte dovremmo adorare il Signore.
Nessuno può sfuggire ai risultati delle proprie azioni; né un erudito che ha passato anni di studio sui libri, né chi ha reso continuamente il proprio culto alle divinità di famiglia, e neanche chi si è recato nella foresta sottoponendosi a dure penitenze. Sia che si tratti di un piccolo stagno o di un grande oceano, la quantità d'acqua che ne potete raccogliere dipende solo dalla capacità del recipiente che avete. La grazia speciale di Dio aumenta tale capacità. Che accade al potente Karna, il quale, nonostante fosse forte di corpo e di intelletto, non ottenne la grazia di Dio? Karna non era una persona comune. Tuttavia, avendo cominciato a frequentare persone negative come Duryodhana, Dussasana e Shakuni, anch'egli venne tacciato di negatività, quale componente di un famigerato quartetto.
Arjuna stava diventando egoista avendo cominciato a tener in alta considerazione le proprie prodezze di guerriero, che avevano sgominato tutti gli eroi dell'esercito di Kaurava. Egli sentiva che, avendo Krishna come Amico, nessuno avrebbe potuto eguagliarlo. Krishna allora pensò di sconfiggere l'ego di Arjuna e, in sua presenza, si trasformò in un bramino e andò da Karna, il quale si trovava nell'ultima fase della sua vita essendo sul campo di battaglia.
Il bramino chiese a Karna dell'oro, dovendo svolgere una certa mansione in famiglia, e questi gli disse di recarsi a casa sua e farsi dare, da sua moglie, quanto gli serviva. Il bramino però replicò che, se Karna non desiderava donargli di persona quanto richiesto, doveva solo dirglielo ed egli se ne sarebbe andato, ma, non si sarebbe mai recato a casa sua. Karna, allora, gli chiese di strappargli i denti d'oro, ma il bramino rispose che non avrebbe mai fatto del male a qualcuno per amore dell'oro. Allora Karna gli chiese di trovargli un paio di sassi. Quando il bramino glieli dette, Karna si spaccò la mascella, tirò fuori i denti d'oro e li offrì all'uomo, il quale però si rifiutò di toccarli perché erano sporchi di sangue. Karna sentiva un grande dolore fisico, tuttavia si alzò e conficcò una freccia nel terreno; poi, quando da esso l'acqua cominciò a sgorgare, lavò i denti d'oro e li porse al bramino. Avendo assistito a tutta la scena, Arjuna chinò vergognoso la testa, pensando di non possedere le qualità di Karna. Krishna, più tardi, avrebbe rivelato ad Arjuna che Karna altri non era che il figlio maggiore di Kuntî (4).
Ogni azione è simile ad un seme. Il frutto lo avremo per ultimo. Oggi, agiamo senza usare discriminazione o parliamo senza pensare alle conseguenze di ciò che diciamo e, quando subiamo il risultato delle nostre azioni, versiamo lacrime.
E' davvero impossibile, a questo mondo, agire senza danneggiare gli altri? Questa difficile situazione sussisterà finché si avrà la consapevolezza del corpo. Solo pensando costantemente a Dio ci si potrà liberare dell'attaccamento al corpo.
Le case ed i palazzi, che si vedono quando si sogna, non esistono nello stato di veglia. Ecco perché le Upanishad affermano: "Sorgete, svegliatevi; accostatevi al saggio ed imparate!"
Potete essere Presidente o Primo Ministro, ma, durante il sonno, dimenticherete la vostra posizione sociale. Allo stesso modo, voi siete la vera incarnazione di Sat-Cit-Ananda (Essenza - Coscienza - Beatitudine).
Per comprendere ciò, dovrete svegliarvi da questo sonno d'ignoranza. Se, mentre dormite, sognate di esser morsicati da un serpente, probabilmente comincerete ad urlare. Non ci sarà però necessità di alcun antidoto e avrete solo bisogno di risvegliarvi. Noi siamo in uno stato di sonno chiamato attaccamento al corpo ed al mondo. Riducendo gradualmente tale attaccamento, cominceremo ad intravedere la nostra meta, ed inoltre la raggiungeremo.
Swami ha concluso il discorso con il bhajan: "Hari Bhajana bina sukha shanti nahi.."
Corso Estivo 1996
Estratto del Discorso del 30 Giugno 1996
da: Mother Sai - Supplemento 1996
Note:
(1)-(2) Consorti di Krishna
(3) Nome di un amico d'infanzia di Krishna
(4) La madre di Arjuna.