DISCORSO DIVINO

Il Gayatri Mantra

23 agosto 1995

Incarnazioni dell’Amore,

Oggi l’uomo passa la propria vita completamente immerso fra preoccupazioni materiali. A causa del suo attaccamento al fisico, dimentica la sua vera natura e, tutto preso dagli affari del mondo, si circonda di infelicità. Pen­sando al corpo come a qualcosa che resiste al tempo, fa delle comodità fisiche lo scopo principale della vita. Son queste le cose che ciascun individuo spe­rimenta nella vita quo­tidiana.



Chi siamo?

Se qualcuno si avvicina ad una persona per chiederle «Chi sei?», questa, identificandosi col proprio corpo, per rispondere annuncerà il suo nome. Se poi le si faranno altre domande sulla professione, risponderà dicendo che è un dottore, un coltivatore, uno studente o altro. Interrogato sulla nazionalità, dirà che è americano o indiano o pakistano e così via. Se esaminate a fondo queste risposte, scoprirete che nessuna di esse fornisce la verità. Un nome viene acquisito dai genitori; non si nasce col nome proprio; come pure l’identificarsi con una professione piuttosto che con un’altra non risponde a verità, poiché la persona non è la professione.

Allora, che cosa si può dire di vero un uomo parlando di sé? «Io sono l’Âtma; – potrà dire – Quello è il mio vero Sé». Ecco la verità. La gente, però, si identifica col nome, la professione e la nazionalità; non pone l’Âtma a fondamento della propria vita. Nessun autista si farebbe scambiare per la sua automobile. Allo stesso mo­do, il corpo è l’auto e l’Âtma il con­ducente. Invece si finisce per identificarsi col veicolo corporeo, che è solamente un mezzo, dimenticando il vero ruolo di chi sta alla guida.

È una verità questa sottolineata con gran risalto dal Gâyatrî Mantra. Dehabudhyâth dâsoham: «Nell’ambito del corpo, io sono uno strumento, un servo»; Jivabhudhyâth thadamsah: «Nell’ambito dell’anima personale, io sono una scintilla di Quello, del Divino». Âtmabudhyâth thvameva-aham: «In termini spirituali io sono te». Quando si possiede una visione atmica, cioè si vede sé stessi da un’angola­zione spirituale, ci si identifica col Divino: «Io sono voi e voi siete me».

Un palazzo a tre piani

In ciascun uomo ci sono dunque tre aspetti; la nostra stessa vita è un edificio a tre piani. Il piano del brahmacharya, ossia il celibato,[1] costituisce le fondamenta del palazzo. Poi c’è il piano del grihastha, lo stato del capofamiglia, che è il primo piano. Successivamente viene il vanaprastha, che consiste nel ritirarsi dalla vita di famiglia, ed è il secondo piano. Infine, c’è il terzo piano, quello del rinunciante, il samnyâsa. Quindi, il bra­h­macharya è a fondamento degli altri tre stadi della vita. La sicurezza e la protezione di questi tre piani dipende dalla solidità delle fondamenta, vale a dire del brahmacharya. Perciò, la ricerca spirituale e la castità sono basilari.

Purtroppo questa prerogativa essenziale è stata dimenticata dalla gente, che pensa di trovar felicità in sovrastrutture, compromettendo così la stabilità dell’intero edificio, le cui fondamenta sono perciò così insufficienti che possono cedere da un momento all’altro. Non potete sentirvi felici alla vista di un albero carico di fiori e frutti, senza pensare alle sue radici. Le fondamenta che non si vedono sono la base per il palazzo che si vede, come le radici sotterranee dell’albero sono la base dell’albero visibile.

Così pure, il prâna, l’energia vitale, è la base del corpo che si vede. L’energia non ha forma, mentre il corpo ne ha una. C’è comunque il principio atmico che conferisce ogni potere al prâna, all’energia vitale, ed è grazie al potere assegnato dall’Âtma che l’energia vitale è in grado di dar vita e movimento al corpo. Il corpo, preso in sé, è inerte; è la risultanza di vari tipi di sostanze materiali.



I tre poteri dell’uomo

La prima riga del Gâyatrî Mantra recita: Om bhûh bhuvah svah. Si considera questo mantra riferito ai tre mondi: la Terra, l’Atmosfera o Mondo Intermedio e il Paradiso, cioè lo Svarga, la dimora degli Dei. Bhuh si riferisce al corpo, costituito dai cinque elementi, i pañcha bhuta, gli elementi costitutivi della Natura o Prakriti. Esiste uno stretto legame fra il corpo e la Natura, poiché i medesimi elementi che formano la Natura formano anche il corpo.

Bhuvah è l’energia vitale che dà vita al corpo, la prâna-shakti. Anche in presenza dell’energia vitale, se manca lo stato di consapevolezza (jñâna), il corpo non è di alcuna utilità. Ed è a questo proposito che i Veda hanno dichiarato: Prajñânam Brahma, «L’Assoluto, Dio, è uno stato di consapevolezza costante e non frammentario». È questo stato di consapevolezza (prajñâna) che conferisce all’energia vitale la funzione di dar vita al corpo. Il corpo in sé è materia priva di forza. L’energia vitale agisce in esso a mo’ di vibrazione, la quale trae forza dalla prajñâna, che a sua volta trova espressione in una radiazione.

Quindi, corpo, energia vitale e prajñâna sono tre elementi compresenti nell’uomo. In un uomo è presente tutto il cosmo in miniatura. È in forza di questi tre elementi costitutivi che noi siamo in grado di vedere il cosmo e di sperimentare molte altre cose. Dentro di noi c’è ogni potere e l’este­riore è un riflesso dell’essere interiore.

Ne consegue che la vera umanità (mânavatvam) è la divinità stessa (dai­vatvam), ed è per questo che i Ve­da affermano che il Divino si manifesta nella forma umana: ogni essere umano è sostanzialmente divino; ma, a causa del suo attaccamento al corpo, si considera un semplice uomo.

Come ha fatto questo corpo umano ad essere animato dall’energia vitale? Donde è venuta questa energia vitale? Dall’energia del Sé (Âtma-shakti). L’e­ner­gia vitale esegue tutte le attività servendosi del potere del Sé.



I tre aspetti di Gâyatrî

Chi è “Gâyatrî”? Non è una dea. Gâyatrî è la madre dei Veda (Gâyatrî chandasâm mâthâ). Gâyantham thrâ­ya­te ithi Gâyatrî: «Gâyatrî è la redenzione di chi la recita». Gâyatrî si rende presente dovunque sia recitato il mantra.

Tuttavia, Gâyatrî ha tre nomi: Gâyatrî, Sâvitrî, Sarasvatî. In ciascun uomo sono presenti tutti e tre. Gâyatrî rappresenta i sensi; è la padronanza dei sensi. Sâvitrî è il possesso dell’energia vitale, del prâna. Molti indiani conoscono bene la storia di Sâvitrî, che riportò in vita Satyavân, il marito defunto.[2] Sâvitrî è simbolo della verità. Sarasvatî è la divinità che presiede la parola (vâk). I tre nomi simboleggiano la purezza in pensieri, parole e azioni (trikarana shuddhi).

Nonostante i tre nomi di Gâyatrî, essi esistono tutti e tre in ciascuno di noi nella forma dei sensi (Gâyatrî), del potere della parola (Sarasvatî) e dell’energia vitale (Sâvitrî).

Si dice che Gâyatrî abbia cinque volti, per cui viene chiamata “Pañcha­mukhî”. Esiste qualcuno al mondo che abbia cinque facce? No. Nel Râmâyana si narra che Râvana avesse dieci teste. Se avesse avuto davvero dieci teste, come avrebbe fatto a star coricato nel letto o a muoversi in giro? Non è questo il profondo significato dell’immagine. Gli vengon attribuite dieci teste perché egli sapeva padroneggiare i quattro Veda e i sei Shâstra.

Allo stesso modo Gâyatrî viene descritta con cinque volti. Il primo volto è Om, il Pranava. Il Principio del Pranava rappresenta le otto forme di ricchezza (ashta-aisva­rya). Il secondo volto è bhûh bhuvah svah. Il terzo è tat savitur varenyam. Il quarto: bhargo devasya dhîmahi. Il quinto volto è dhiyo yo nah prachodayât.

Se si intende in questo modo il Gâyatrî mantra, si giungerà alla comprensione che tutti i cinque aspetti di Gâyatrî sono dentro ciascuno di noi.



Il potere del Gâyatrî Mantra

Il Gâyatrî Mantra comprende tutti e tre gli elementi che occupano un posto di rilievo nell’adorazione di Dio: descrizione, meditazione e preghiera. Le prime nove parole del mantra rappresentano gli attributi del Divino: Om bhûh bhuvah svah tat savitur varenyam bhargo devasya Dhîmahi riguarda la meditazione (dhyâna). Dhiyo yo nah prachodayât è la preghiera al Signore. Il mantra è, quindi, una preghiera a Dio per implorare ogni potere e talento.

Sarvaroganivârini Gâyatrî: «La Gâyatrî allevia ogni malattia». Sarvaduhkha parivârini Gâyatrî: «La Gâyatrî tiene lontano ogni sofferenza». Sarvavâncha phalasri Gâyatrî: «La Gâyatrî appaga ogni desiderio». La Gâyatrî elargisce tutto ciò che fa bene. Vari tipi di potere si manifestano in chi recita il mantra della Gâyatrî.

Perciò, il Gâyatrî Mantra non andrebbe considerato superficialmente. Nel processo della respirazione è radicato il suono della Gâyatrî e quel suono è un segno della nostra forma autentica. Nel processo del respiro c’è il movimento della inspirazione e della espirazione. Nello Yogashâstra il termine per indicare l’inspirazione è pûrakam, e per l’espirazione rechakam. L’apnea vien detta kumbhakam. Quando si inspira aria, il suono prodotto è sooo, e quando si espira il suono è hammm. So-ham, So-ham,... (Swami lo dimostra rimarcando il proprio respiro).

So è “Quello”; ham significa “io”: «Io sono Quello», «Io sono divino». Ogni atto del respiro lo proclama, e i Veda hanno dichiarato la stessa cosa negli aforismi seguenti: Tat tvam asi («Quello tu sei»), Aham Brahmâsmi («Io sono Dio»), Ayam âtma Brahma («Quest’anima è Dio»).

Non immaginate che Dio sia in qualche luogo lontano da voi: Egli è dentro di voi. Voi siete Dio. La gente vuol vedere Dio. Satyam jñânam anantham Brahma, dicono le Scritture: «La Verità è Dio; la Saggezza è Dio». L’una e l’altra sono presenti dovunque. Esse trascendono le categorie di tempo e spazio. La verità, infatti, è ciò che continua ad aver valore in ogni istante del passato, del presente e del futuro. La Gâyatrî è quella Verità.

La Gâyatrî, dunque, è l’abitante del cuore. Hri-daya (cuore) contiene la parola daya, che significa “compas­sione”. In ogni cuore c’è compassione, ma nella vita concreta qual è il livello della sua manifestazione? Minimo. Non c’è istante che non sia contrassegnato da rabbia, gelosia, orgoglio e odio. Queste qualità malvagie non sono connaturate nell’uomo, sono anzi in contrasto con la natura umana.

È stato affermato che una persona che fa completo affidamento sulla mente è un demone; chi si affida esclusivamente al corpo è un animale; chi si affida allo Spirito, all’Âtma, al Sé, è divinamente dotato. È un essere umano chi fa assegnamento sul corpo, sulla mente e sullo Spirito: l’umanità è la combinazione di corpo, mente e Spirito. L’uomo dovrebbe compiere ogni sforzo per salire al piano divino, non per degradare la propria natura al livello demoniaco o animalesco.

Da oggi in poi i genitori dovrebbero insegnare ai loro figli delle storie a sfondo morale. Voi tutti sapete in quale confusione versino le condizioni del mondo attuale; da ogni parte spuntano disordini e violenza e non si riesce più a trovar pace e sicurezza in nessun luogo. Dove trovar pace? Dentro di noi. La sicurezza pure è dentro di noi. Che fare per eliminare l’insicurezza e per garantirci la tranquillità? Rinunciare ai desideri.

Questo, nel linguaggio degli Indiani d’un tempo veniva definito vairâgya, distacco. Con questo non si vuol dire che bisogna abbandonare casa e famiglia per ritirarsi nella foresta. Si tratta di ridurre le voglie. Se sei un capofamiglia, circoscrivi i tuoi desideri al campo delle necessità familiari; se sei uno studente applicati totalmente agli studi; se sei un professionista, adempi ai doveri del tuo stato. Non indulgere in eccessi di qualunque genere.

Nella recita del Gâyatrî Mantra si dovrebbe far mente locale al fatto che in ciascuno di noi c’è tutto e sviluppare, quindi, fiducia nel Sé. L’uomo d’oggi è tormentato da un gran numero di ansie perché non si fida del proprio Sé. L’aspirante sul sentiero spirituale è obbligato a misurarsi con le preoccupazioni e le difficoltà per via dei “sei nemici”, che sono la concupiscenza, l’ira, l’avidità, l’infatuazione, l’orgoglio e l’invidia, ed egli deve vincerli.



Un appello agli studenti

Studenti, in un’occasione tanto pro­pi­zia come questa dovreste prendere in considerazione il modo per condurre una vita ideale. Dovete santificare il corpo, mediante la fede in Dio. Senza il corpo non potete servirvi né del pensiero né dell’intelligenza, e lo strumento per raggiungere i vostri ideali è il corpo. Dovrebbe essere tenuto nelle dovute condizioni. Se il corpo è uno strumento, il fruitore di tale strumento è il Sé. Tutti gli organi di senso funzionano in forza dell’Âtma, la quale è il Testimone di tutto. È noto anche col nome di Coscienza, e la Coscienza prende ordini dal Divino; è un frammento del Divino.

Ogni essere umano è una scintilla del Divino, come viene affermato nella Gîtâ. L’essere umano è per sua essenza divino, ma tende a dimenticare la propria origine divina. Il Gâyatrî Mantra è sufficiente a proteggere la persona che lo canta, poiché esso incarna tutte le potenze divine. È un requisito che non deve mancare ai giovani, perché assicura loro un futuro brillante e fausto. I giovani studenti sono i cittadini e i governanti del domani; perciò, dovrebbero sviluppare pensieri puri e nobili. Anche i genitori dovrebbero nutrire ed incoraggiare una simile crescita.



Intimità con Dio

La cerimonia dell’upanayanam[3] è terminata e voi siete stati iniziati al Gâyatrî Mantra. Indossate il sacro cordone che ha tre capi intrecciati in un solo nodo. I tre capi rappresentano Brahma, Vishnu e Maheshvara; simboleggiano pure il passato, il presente e il futuro. Upanayanam significa “star vicino a Dio”. La vicinanza a Dio vi renderà capaci di abbandonare le vostre qualità cattive e di acquisire le virtù.

Studenti! I Veda hanno messo in risalto tre doveri: considerare la madre come Dio, il padre come Dio e il precettore come Dio. Fissate bene in mente questo comandamento. La gratitudine ai vostri genitori è il vostro principale dovere. È la lezione che ci ha insegnato il Signore Râma.

Amate i vostri genitori e ricordatevi di Dio. Se darete delle soddisfazioni ai vostri genitori e li farete felici, tutta la vostra vita sarà piena di felicità.

Cantate la Gâyatrî più che potete. Se la cantate quando siete sotto la doccia, il vostro bagno sarà santificato. Cantatela pure prima dei pasti e il cibo diverrà un’offerta a Dio. Sviluppate una profonda devozione a Dio.



(Swami ha concluso il discorso con il canto “Bhajana binâ sukha shanti nahi”).



Prashanti Nilayam, 23 Agosto 1995.

Mandir, Sai Kulwant Mandap.

(Trad. da Sanathana Sarathi, Sett. ‘95)





[1] Il brahmachârin è colui che si trova agli inizi della vita spirituale; è lo studente di scienze religiose, il ricercatore spirituale, il quale, per seguire una vita consona alla propria ricerca e alla propria condizione, vive in assoluta castità in pensieri, parole ed azioni, mirando alla più completa padronanza dei sensi.

[2] V. storia completa in DISCORSI 88/89 vol.II, scheda di studio 12, p.123.

[3] Rito d’iniziazione celebrato con l’investi­tu­ra del cordone sacro, mediante la quale lo studente viene condotto al cospetto del Maestro. Upanaya significa “condurre vicino”.