Oggi, Thirumalachar ha letto e spiegato il capitolo sullo jñânayoga (l’unione con Dio attraverso la conoscenza spirituale) nella Sathya Sai Gîtâ da lui composta. Nessuno può dire quale sia la vera natura della creazione o di Brahman. Messo di fronte ad un universo fondamentalmente misterioso, che egli sente infinito, senza fine e senza principio, lo scienziato deve accettarlo anche se non può farsene un’immagine reale. Anch’egli lavora sulla fede, crede cioè in qualcosa che non può pienamente afferrare o chiaramente desumere o realmente calcolare. Quella Realtà può esser definita solo mediante il criterio del "non questo". Brahman è postulato e descritto per mezzo di un processo di negazione o eliminazione "neti neti" (non questo, non questo). In questo mondo artificiale ogni cosa è un miscuglio artificiale di nome e forma, anch’essi a loro volta artificiali. Convincersi che questa creazione sia mithyâ (una mescolanza di verità e non verità) è davvero molto difficile. Quando sbattete la testa contro il muro, è difficile credere che il muro sia mezzo falso, che il suo nome e la sua forma siano una finzione dell’immaginazione illusa e che la sua vera e fondamentale realtà sia il Brahma!
Le sette principali caratteristiche di Bhagavân
Un giorno o l’altro, tuttavia, questa Jñâna (Saggezza spirituale) dovrà essere raggiunta da tutti; la si potrà ottenere attraverso bhaktiyoga, karmayoga o râjayoga. Questi tre sono solo nomi differenti dati al processo di zangolatura del latte per ottenere il burro, immanente nel latte stesso. Una volta ottenuta una palla di burro, la si può mantenere separata e inalterata nel liquido in cui era sempre stata. Similmente lo jñânin (la persona liberata), una volta che ha compreso di essere della stessa sostanza dell’Immanente Brahman, può continuare, libero dall’attaccamento, la sua vita nel mondo. Quando Brahman è visto attraverso mâyâ (l’illusione), appare come saguna (dotato di qualità) e viene chiamato Signore o Bhagavân. Egli ha sette caratteristiche principali: aishvarya, kîrti, jñâna, vairâgya, srishti, sthiti e laya (prosperità, splendore, saggezza, non attaccamento, creazione, conservazione e dissoluzione). Potete considerare, chiunque possegga queste sette qualità, come avente in sé la Divinità; queste sono le infallibili caratteristiche degli Avatâr, della Mahâshakti (il Potere Supremo) che persiste pienamente anche quando ha apparentemente modificato Se Stessa per mezzo della mâyâshakti (il potere dell’illusione). Ovunque queste [qualità] sussistano, potete identificare la Natura Divina. Anche voi siete della stessa natura dell’Âtma ed avete Mahâshakti ma, proprio come il principe finito in un covo di ladri e cresciuto tra di loro, l’Âtma non ha riconosciuto la sua vera identità: ecco tutto. Anche se non lo sa, egli è comunque un principe sia che si trovi nel palazzo, nella foresta o nel covo dei ladri. Molto spesso il principe avrà qualche sentore del suo vero stato: un intenso desiderio per la Ânanda che costituisce la sua eredità, un richiamo proveniente dal profondo della sua coscienza [che lo invita] a fuggire per ritrovare se stesso. Quella è la fame dell’anima, la sete per la gioia eterna. Voi tutti siete come l’uomo che ha dimenticato il suo nome. La fame della mente può essere placata solo con l’acquisizione di Jñâna.
Date alla vostra mente idee apportatrici di forza e coraggio
La mente è come un guardiano gurkha: deve essere tenuta completamente sotto controllo dal padrone. In cambio, il gurkha lascerà entrare in casa solo coloro che sono amichevoli verso il padrone, non è vero? Allo stesso modo la mente dovrebbe tollerare solo quei pensieri e quei sentimenti che contribuiscono al benessere del padrone. Manas (la mente) è la cosa più importante di mânush (l’uomo), ma la sua funzione deve essere gradualmente ridotta e non si dovrebbe permetterle di assumere pieno potere. Nutrite la mente non con desideri malvagi e progetti senza valore, ma con idee apportatrici di forza e coraggio. Quando la mente viene eliminata, Jñâna rifulge in tutto il suo splendore. Dopo l’esperienza di Sarvam brahmâtmakam, cioè dopo che si è realizzato che ogni cosa è fondamentalmente e interamente Brahman, la vita non può perdurare più di ventun giorni. La persona coinvolta in simile esperienza non è più nel mithyâloka (questo mondo relativo), per cui non può nutrire desideri o compiere alcuna attività; persino cibo e acqua diventano privi di significato. Come può Brahman aver bisogno di Brahman e Brahman riconoscere Brahman sotto forma di cibo e bevanda? L’organismo deperirà, il cuore si inaridirà e il corpo collasserà. La sâdhanâ (la disciplina spirituale) consiste nel tenere lo specchio davanti a sé; se lo specchio è lucido e pulito, rivelerà il Sé: questo è l’Âtmasâkshâtkâra (la Realizzazione del Sé). L’Âtma è lo stesso in tutti, uniforme; la verità di ogni uomo è la stessa. La compagnia dei buoni vi conduce a Dio, mentre la compagnia dei malvagi vi porta nella melma di prakriti (il mondo materiale). Come distinguere i buoni dai malvagi? Coloro che sono impegnati in japam (la ripetizione del Nome di Dio), dhyânam (la meditazione), yoga (il metodo per raggiungere l’unione con Dio) e archana (l’adorazione) sono dei sajjana (persone buone); coloro che non amano queste cose devono essere evitati dagli aspiranti che cercano Jñâna (la Saggezza) e vogliono la gioia che si prova quando il piccolo diventa il grande, quando la gioia momentanea diventa molto importante, quando l’indigente eredita grandi ricchezze. L’uomo buono è dolce; egli si inchina facilmente dinanzi agli anziani, ai saggi, ai sâdhaka (i ricercatori spirituali). "Na ma" (non mio) è l’atteggiamento di namaskâra (l’inchinarsi); ma veramente namamakâra (non possessività) è la dichiarazione che "tutto ciò che sono e che posseggo è dovuto alla Tua grazia".
Eliminare tutti i fattori limitativi con un processo sistematico
Passate il vostro tempo in un simile satsanga (la compagnia di persone buone), ravvivate le vostre facoltà mentali con la spazzola di viveka (la discriminazione). Io non vi chiederò di abbandonare la vostra capacità di critica; valutate, discriminate, sperimentate e analizzate la vostra esperienza e poi, se convinti, accettate.
Bhakti, yoga e jñâna sono le tre porte della stessa sala; alcuni entrano da una parte, altri dall’altra, ma tutti accedono alla stessa stanza. Lo jñânin (il conoscitore) vede tutto come Sostanza divina, il bhakta (devoto) come Gioco di Dio, il karmayogî (colui che fa l’azione senza cercarne i frutti) come Servizio al Signore. È tutta questione di inclinazione, gusti e livello di sviluppo della ragione e dell’emotività. Thirumalachar ha detto che, come risultato della jñâna, mâyâ se ne va; ma mâyâ non va e non viene. Quando accendete la luce in questa sala, voi dite che è arrivata la luce e l’oscurità se ne è andata; ma dov’è andata? Spegnete la luce: sarà buio! L’oscurità non ritorna precipitosamente dal luogo in cui era andata, passando attraverso le porte per riempire la stanza, è sempre stata lì, non era andata via. È solo che la sala è stata illuminata e la luce ha prevalso. Allo stesso modo, quando si sarà ottenuta la grazia del Signore, la saggezza prevarrà e l’illusione della separazione non avrà più potere. Come si può ottenere questa saggezza? Con un processo lento e sistematico, eliminando tutti i fattori limitativi come avidità, lussuria, orgoglio, invidia, odio e tutta la malefica progenie degli istinti e degli impulsi possessivi; attraverso l’influenza educativa del Dharma, l’insieme di regole dettate dall’esperienza di generazioni per regolare la vita; per mezzo dello studio, della riflessione e della pratica; attraverso l’analisi delle esperienze [vissute] nello stato di veglia, di sogno e di sonno profondo; imparando a essere testimoni di tutto questo spettacolo transitorio senza essere intrappolati nelle sue spire; superando ogni tendenza alla divisione e alla differenziazione.
La visione dell’Unità è la più alta ricompensa
Prahlâda non invocò mai suo padre e sua madre, come fanno i bambini, mentre veniva torturato; non si raccomandò ai suoi carnefici perché lo risparmiassero: egli vedeva in quei crudeli aguzzini il Nârâyana che adorava. Per lui ogni cosa e ogni persona era Nârâyana. Come poteva dunque provar dolore o sentirsi offeso? L’advaita (il non dualismo) messo in pratica, il culmine della devozione, la Sampûrna Jñâna (la conoscenza spirituale totalmente realizzata) lo avevano liberato. La visione di questa ekatva (unità) è la ricompensa più alta per l’advaitin (il cultore del non dualismo). Tutto questo è un sogno e voi siete tutti attori.
Una volta, a Puttaparthi, in una commedia in paese, il ruolo di Vâli fu assegnato al figlio di un ricco e quello di Sugrîva al figlio di un povero. "Vâli" protestò dicendo che egli non sarebbe mai morto nel confronto con il figlio di un uomo povero e insistette che Râma avrebbe dovuto favorire lui e uccidere invece Sugrîva! La storia non può esser cambiata per assecondare i vostri capricci. Se la commedia prevede che Vâli debba morire, l’attore a cui è stata affidata quella parte deve "morire" esattamente come Egli ha deciso. Chissà che le lodi e il biasimo non facciano parte della commedia?
Gli errori che trovate negli altri sono in voi
L’ignoranza di questa verità è una mancanza grave alla quale occorre provvedere fin dall’inizio. Il medico che cura questa bhavaroga (malattia del mondo) prescrive rimedi che devono essere assolutamente presi; non l’intera quantità tutta d’un fiato, e neppure a intervalli di mesi o anni. Tuttavia [serve] la medicina come pure il regime [di vita]. Alcuni dicono di esser venuti a Puttaparthi dieci o anche quindici volte come se andare all’ospedale una dozzina di volte fosse sufficiente a guarirli. Ogni volta potranno anche procurarsi un flacone della medicina necessaria ma, se non ne fanno l’uso prescritto, quale miglioramento potranno mai constatare? Il saggio non guarda come Mi vesto, abito giallo oggi o rosa domani; egli penetra fino al Tattva (la Natura effettiva) al di là di questa Forma e sa che questo Corpo è solo un abito indossato con uno scopo. Il prossimo Avatâr di questo Tattva avrà un’altra veste. Voi ottenete piena saggezza attraverso l’analisi della conoscenza del Sé. Se non conoscete voi stessi non potete conoscere Me. Ciò che voi state facendo qui è karmamârga (il cammino dell’azione); ciò che manifestate è bhaktimârga (il cammino della devozione) e ciò che andate rimuginando nella vostra mente è Jñânamârga (il cammino della Conoscenza spirituale). Ciò che state sperimentando in questo particolare momento è il Paradiso, perché ora siete immersi nella gioia di ascoltare le Mie parole. Non state pensando alle svariate ragioni che vi hanno portato qui ma, se Io finisco il Mio Discorso e vado via, voi scivolate [nuovamente] nel martya loka, il mondo delle cose passeggere e dei desideri fugaci, delle menti vacillanti e dei cervelli che dubitano. Esaminate soprattutto la vostra condotta e la vostra fede, osservate se è sincera e stabile. Quando siete su un treno in movimento, vedete gli alberi sfilare velocemente lungo la linea; non preoccupatevi degli alberi: osservate voi stessi, esaminatevi, e scoprirete di esser voi a muovervi velocemente. Allo stesso modo, non biasimate gli altri additando i loro errori; gli errori che vedete sono in voi e quando correggerete voi stessi anche il mondo risulterà ben fatto! La conoscenza è la discriminazione tra ciò che promuove il proprio avanzamento e ciò che lo ritarda. Siate il vostro stesso guru, il vostro insegnante. Avete la lampada con voi; quindi, accendetela e procedete senza paura.
La grazia di Dio può distruggere gli effetti del karma passato
Per raggiungere lo stadio in cui si è realizzato che perfino "Sarvam Brahma Mâyâm" (tutto è Brahman) è una dichiarazione incompleta (perché questa dichiarazione postula due entità: Sarvam, il Tutto, e Brahman; mentre solo l’esperienza del Brahman "è"), dovete andare molto avanti, ma non scoraggiatevi: l’intera enciclopedia è composta dalle ventisei lettere dell’alfabeto e tutto l’apprendimento comincia con la conoscenza di A, B, C e D. Io sono qui, pronto ad aiutarvi dalla prima all’ultima lezione. Non gravatevi dell’affanno che il vostro prârabdha karma (le azioni e le loro conseguenze) sia contro il vostro progresso. La somma degli effetti del vostro karma passato è il sancita e ciò che voi avete scelto da quella riserva, per consumarlo ora, è prârabdha; se usato e cucinato saggiamente, il prârabdha può diventare dolce, gustoso e salutare. Inoltre, la grazia di Dio può distruggere gli effetti del karma passato o modificarne il rigore. Non abbiate il minimo dubbio al riguardo. Se la legge del karma fosse così inflessibile, perché allora raccomandare la sâdhanâ, un viver corretto e il coltivare le virtù? Il prârabdha si dissolverà come nebbia al sole se vi guadagnerete la grazia di Dio! Anche per il sorgere della saggezza la grazia del Signore è necessaria.
Prashânti Nilayam, 30.09.1960.
Le conseguenze dell’azione (karma) possono essere eliminate solo attraverso l’azione, come una spina può essere rimossa solo per mezzo di un’altra spina. Fate buone azioni per lenire la pena di quelle cattive che avete commesso e per cui ora soffrite. L’azione migliore e più semplice è la ripetizione del Nome di Dio: dedicatevi sempre ad essa. Terrà lontane le tendenze malvagie e i pensieri empi e vi aiuterà a irradiare amore tutt’attorno a voi.
Shrî Sathya Sai
(Tratto da "Sathya Sai Speaks", vol. 1 – 1953/1960, D.D. n. 32)