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Athi Rudra Mahâ Yajña

19 agosto 2006

12 agosto 2006 – 4° giorno

Per Comando Divino, l’odierna sessione mattutina è stata anticipata di mezz’ora. Gli allestimenti erano gli stessi: il palco, il pandal, gli altari ecc., tutto era come il 10 mattina. La giornata ha avuto inizio col Mangala Vadyam, che diffondeva una dolce musica e suscitava un sentimento degno del suo nome (Mangalam = fausto, auspicale). L’Aruna Pârâyana Abhishekam (adorazione del sole nascente) è cominciato alle 5.35 e, quando si era prossimi alla sua conclusione, alle 5.45, la luce del Sole si è riversata sulla cupola del tempio come a voler sottolineare la propria presenza ed avere la visione del Lingam che, vibrante nella magnificenza del Divino, si ergeva in tutta la sua bellezza col punto rosso e la pasta di sandalo sulla fronte e sull’occhio che Swami Stesso ha materializzato. All’Aruna Pârâyana è seguito il Mahânyâsam Pârâyana. Si tratta del canto dei Veda, eseguito dall’intero gruppo dei ritvik (sacerdoti officianti), che riempie l’atmosfera e che è consueto nel programma giornaliero all’Ati Rudra Mahâ Yajña. Il Mahânyâsam è stato seguito, alle 6.10, dal Pañchâmritam Abhishekam: viene prima compiuta una serie di abhishekam (abluzioni) con miele, latte, curd e dopo il Pañchâmritam. L’abhishekam (eccetto il Pañnchâmritam) viene eseguito in modo spettacolare: al di sopra del Lingam viene appeso un recipiente, con il contenuto per l’abluzione, che reca un foro sul fondo attraverso cui fuoriescono latte, miele e acqua che lambiscono il Lingam e vengono poi raccolti. Verso le 6.50 ha avuto inizio il Rudrâbhishekam; quasi tutti si sono uniti ai canti e l’intensità del suono era piuttosto alta ma è solo in occasioni come questa che l’alto livello del volume può dare tranquillità alla mente giacché si è sintonizzati sulla frequenza cosmica.

Alle 7.30 il Rudra Stesso ha fatto il Suo ingresso: Swami ha effettuato il Suo solito giro arricchendo l’atmosfera che già teneva tutti in uno stato di esaltazione. Lui, il mistero celato nell’Ati Rudra Mahâ Yajñam, Lui, maestosa grandiosità, sorgente di ogni canto del Rudram, Lui, l’Infinito! La sorgente inarrestabile come le onde dell’oceano e insondabile come le stelle brillanti! Quando Swami è sceso dalla macchina, l’accoglienza è stata grandiosa: il Nâdasvaram e il Mangala Vadyam venivano suonati con straordinaria potenza. Egli si è seduto sulla Sua poltrona (ore 7.42) ed ha preso personalmente visione dei programmi in corso. Poi ha chiamato uno dei membri del gruppo del Prashânti Vedam e gli ha chiesto: “Che cosa significa “Namaha”? Il ragazzo ha risposto: “ ‘Non io’, Swami!” Baba: “Ciò significa che chi celebra lo Yajña non sono Io?” Il giovane allora ha detto: “Swami, Dio è l’Artefice di tutto per cui Tu ne sei l’Artefice, Swami.” Baba ha poi chiamato i “ragazzi del Compleanno”, li ha benedetti e ha continuato a controllare gli eventi in corso. C’è da notare che, prima dell’ottava ripetizione del Rudra Pârâyana, tutti i râga (le note musicali) erano stati offerti ai Piedi di Sâîshvara (il Signore Sai). Le varie combinazioni dei sette svara (cioè i râga, le note della scala musicale) (1) non sono altro che la manifestazione del Divino e pertanto a Lui ritornano. Swami è il Patrono supremo della musica e un chiaro esempio di ciò che si è visto ieri sera. Verso le 8.15, Swami ha chiesto di distribuire il prasâdam (cibo consacrato) interessandosi particolarmente a che tipo di prasâdam si trattasse e, quando questo Gli è stato mostrato, ha fatto un segno d’approvazione; ha poi chiamato uno dei ragazzi ballerini informandosi sul programma e sui costumi del gruppo. Il giovane, da splendido ballerino qual è, ha subito dato chiara espressione alle sue spiegazioni aiutandosi con qualche gesto e passo di danza. I ritvik, nel corso dei canti, hanno ribadito che lo Yajña viene compiuto per il bene dell’umanità e per cancellare tutti i peccati. Del resto Swami, nei Suoi ultimi due Discorsi, ha ripetutamente sottolineato come lo Yajña venga eseguito per Loka Kalyânam, la prosperità del mondo. Verso le 8.45, Egli si è ritirato nella stanza delle “interview” per uscirne alle 9.15 esattamente in tempo per il Rudra Homam (l’offerta rituale nel fuoco sacrificale), si è seduto vicino al luogo del rito osservando le fiamme che prendevano vita mentre il ghî, offerto con un recipiente dorato, veniva versato e spruzzato sugli altari con bastoncini di legno e samit (ramoscelli). Verso le 9.45, Baba è tornato allo Yajur (2) Mandir mentre veniva compiuto il Sâî Gâyatrî Homam.Il programma del mattino terminava così su quelle note con un Mangala Ârati (un ârati augurale al Lingam).



Nel pomeriggio, Swami è arrivato in macchina alle 15.28. e, passando dalla parte delle donne, si è diretto verso gli uomini dando così il darshan a tutta la gente riunita nel Sai Kulwant hall. Dopo essere giunto nella stanza delle “interview”, Egli è sceso ed ha camminato fino al palco. Con il Suo permesso, shrî Vinay Kumar ha presentato l’oratore della giornata, il dottor Kashyap direttore dell’Istituto Aurobindo Kapali Sastry di Cultura Vedica (Bangalore), il quale ha parlato dei Rudra Mantra come mezzi di yajña (sacrificio) interiore e di Rudra come del Dio che muove il mondo. Questo erudito, laureato all’università di Harward, ha citato brani dello Yajur Veda sul significato di Namakam e Chamakam. Rudra, egli ha affermato, viene descritto come “Manyu” che sta a indicare il grande potere della mente. Tutti gli inni che si cantano hanno lo scopo di canalizzare tale potere al fine di raggiungere lo scopo della vita. Nel Chamakam, noi chiediamo a Dio di conferirci tutto giacché la vita ha lo scopo di farci ottenere la perfezione da ogni punto di vista. Tuttavia, a questo riguardo, dobbiamo comprendere di non essere gli artefici ma soltanto gli strumenti. Questo studioso ha affermato: “I Veda e le Upanishad hanno molto in comune. Se si esamina la parola Yajña, ya significa combattere e jñâ vuol dire conoscenza. Pertanto, Yajña significa combattere per la conoscenza”. Egli ha poi esortato il pubblico presente a dedicarsi alla cultura vedica. Mentre stava abbandonando il palco, è stato chiamato da Swami che lo fatto avvicinare a Sé, gli ha parlato amorevolmente e gli ha materializzato della vibhûti premurandosi personalmente di avvolgerla in una cartina. Swami ha poi chiesto di parlare a shrî S.V. Giri, ex vicerettore dello Shrî Sathya Sai Institute of Higher Learning, il quale ha affermato lo Yajña ha lo scopo di interiorizzare la conoscenza. Il pensiero crea l’azione che porta all’abitudine, questa ad una tendenza e quindi al carattere ed al destino. Egli ha poi citato alcuni paragrafi del Rudram, la cui essenza si riassume nel sacrificare l’odio sull’altare, ed ha sottolineato che questo Yajña è più potente del semplice Ati Rudra Yajña poiché centinaia, anzi migliaia di voci cantano il Rudram assieme ai sacerdoti. L’oratore ha anche affermato che i progetti di Swami sono tutti esemplari come questo Yajña. Ciò deve essere preso a modello e diffuso ovunque. Con Swami, il denaro non è da prendere in considerazione: Egli provvede all’istruzione gratuita dall’asilo alle specializzazioni postuniversitarie. Proseguendo, l’oratore ha narrato la storia di Shankara e del Chandala prima di sostenere come questo Yajña potrebbe essere compiuto in ogni Stato come grâmasevâ (il servizio nei villaggi). Al termine del discorso, Swami ha chiamato shrî Giri dicendogli di parlare ancora per un po’ ed egli ha ripreso congratulandosi con i giovani del Karnâtaka per il pregevole lavoro svolto nell’organizzare lo Yajña. Prima di terminare il suo intervento alle 16.30, egli ha esortato i giovani a dedicarsi ad attività nobili. A quel punto, Baba ha fatto segno di portare il tavolo dei Discorsi e ha quindi parlato.

Note:
1. Da notare l’analogia dei termini svara e Îshvara, quest’ultimo contenuto nella parola Sâîshvara.
2. Tale termine significa “formula” o “preghiera sacrificale”.

Discorso Divino
Sai Kulwant Hall
12 agosto 2006 - ore 16,30

I Valori Umani sono il fondamento della vita

“Il corpo è costituito dai cinque elementi e, un giorno o l’altro,
è destinato a perire; il suo Abitatore è imperituro,
non ha legami né deve liberarsi, non ha vita né morte.
Egli è eterno e, in verità, è Dio Stesso.”

Questo corpo è come una cassaforte che è usata per salvaguardare il tesoro di Satya (Verità), Dharma (Giustizia), Shânti (Pace) e Prema (Amore). Molte persone ricche vengono da Swami e pregano: “Swami, io ho tutto nella vita, ma non riesco a trovare la Pace.” La vera pace si può trovare solo abbandonando i desideri; per chi li alimenta non c’è pace. Oggi l’uomo nutre tante ambizioni; il vero sacrificio consiste nella rinuncia ad esse. “Satya Dharma Shânti Premalu lekunna...” Senza i valori di Satya, Dharma, Shânti e Prema, tutto ciò che avete imparato a scuola non vi servirà a nulla. Se non sono presenti questi valori, tutte le azioni meritevoli che si compiono assommeranno a zero come pure zero saranno le posizioni che si raggiungono. Per tutto ciò la ricompensa sarà zero. Questi valori sono le fondamenta della vita. A che serve la cassaforte (il corpo) se non conserva al sicuro i preziosi (i Valori)? Il corpo, privo di questi valori, è una bolla nell’acqua o una scatola vuota che nessuno desidera. È nostra esclusiva responsabilità salvaguardare questi gioielli. Di che si tratta? Satyam (la Verità) è preziosa e immutabile. Non si può essere liberi dalla Verità. Sebbene conosciamo la Verità come regola di vita, cerchiamo di starle lontano. Dobbiamo comprendere che non è possibile sfuggire a quella realtà che è la Verità. Poi c’è Dharma (la Giustizia), che è il fondamento della vita. Non c’è Dharma più grande della pratica della Verità. Senza le fondamenta del Dharma, i muri della vita non starebbero in piedi. Esistono due tipi di Dharma: bhautika (materiale) e âdhyâtmika (spirituale). Il Dharma materiale è in continuo cambiamento mentre quello spirituale è costante e immutabile. Se le fondamenta venissero rimosse, i muri crollerebbero. Dharma è la strada che occorre seguire. Shânti (la Pace) è la luce della vita. Quando nella vita non c’è Shânti, l’uomo brancola nel buio e si imbatte in rischi e pericoli. Prema (l’Amore) può esser paragonato allo splendore, non può essere descritto. Prendete, per esempio, questa storia d’amore tra madre e figlio: al tempo di una guerra a Rangoon (Burma), una madre e suo figlio riuscirono a fuggire e arrivarono a Madras. Qui la donna chiese la carità per dare da mangiare al giovane ma questi si accorse che ella diveniva ogni giorno più magra ed emaciata perché tutto il cibo che racimolava chiedendo la carità bastava solo per lui. Conscio dell’ardua impresa, il figlio si mise anch’egli a chiedere la carità, alleviando la fatica di lei. Col tempo, anche il figlio divenne magro e debole. Durante la questua, capitò in una casa il cui padrone stava comodamente seduto nella veranda. In piedi di fronte a lui sulla soglia di casa, egli lo implorò: “Bhavati bhikshân dehi! (O nobile uomo, dammi un po’ di cibo!) Sono molto affamato.” Il padrone di casa, notando che il ragazzo era allo stremo per la fame, entrò in casa a prendere un piatto di riso e di sâmbar (densa zuppa) ma questi non ne toccò neanche un po’ e cadde sul pavimento dicendo qualcosa con debole voce. Quando l’uomo mise l’orecchio vicino alla sua bocca lo udì sussurrare: “Prima dai questa zuppa a mia madre.” Subito dopo il giovane morì. Quando il suo corpo fu portato alla madre, anch’ella morì dopo aver saputo che cosa era successo. In questo modo, entrambi morirono a causa del loro amore reciproco. Un simole amore esisteva nei tempi antichi mentre oggi è in declino e al suo posto esiste solo svârtham (l’egoismo). L’amore è vita e tra madre e figlio deve esistere un’intima relazione d’amore. Anche una scimmia dimostra grande amore per il proprio piccolo che porta in giro tenendolo sempre attaccato a sé. Questo è il tipo d’amore che deve essere custodito nella cassaforte del corpo. Quando c’è un simile amore, la pace si manifesterà. Tale pace (peace) non è fatta di pezzi (pieces) ma è vera pace. Poi viene Ahimsâ (la Non violenza). Essa è il Dharma più grande. Buddha abbandonò la famiglia, il regno e tutte le comodità per votarsi alla Non violenza. Questi cinque Valori sono i cinque princìpi vitali (pañchaprânâ). Ne esistono solo cinque, non sei. Tutte le attività (yajña, yaga, tapas e cosi via) che l’uomo intraprende devono servire solo a proteggere questi cinque Valori. Colui che li sa salvaguardare redime la sua vita. Se anche uno solo di questi Valori dovesse mancare, la sua vita sarebbe stata vana. Si deve condurre un’esistenza all’insegna della Verità e crescere nel Dharma. Questi Valori possono essere equiparati alla vita, di cui la Verità costituisce le fondamenta, il Dharma i muri, Prema il tetto e Shânti la vita interiore. Oggi questi Valori mancano. Qualunque cosa un ricco possa acquistare, senza di essi non avrebbe mai un tetto sulla testa, sarebbe sempre fradicio di pioggia ed esposto ai raggi del sole. Oggi è di moda il Dharma del denaro ed anche le persone anziane lo bramano; esso porta i desideri e per questo il Kaliyuga è diventato kalahayuga (un’era di conflitto). Questo corpo è una cassaforte che non serve a nulla se il tesoro non c’è. A che serve questa vita se è priva di valori? Anche gli animali conducono una vita simile. L’uomo di oggi ha troppi desideri: se possiede cinque case non è soddisfatto e ne vuole altre dieci quando una sola sarebbe sufficiente. Il desiderio fa sì che l’uomo inganni i suoi simili. Dobbiamo controllare i nostri desideri perché minor bagaglio dà maggior conforto e rende piacevole il viaggio. Swami non desidera nulla, non ha una casa Sua, vive di ciò che gli danno i Suoi devoti. Dovremmo ridurre i desideri e accrescere il nostro amore per Dio; quando nutriamo amore per Dio, Egli si prende cura di tutti i nostri desideri. Avete potuto ascoltare le parole di molte persone istruite e ora dovete fare di tutto per mettere in pratica ciò che esse hanno detto.

[A questo punto, Swami ha rivolto lo sguardo verso gli studenti senior e gli studenti del dottorato di ricerca che sedevano di fronte – N.d.T.]

Questi ragazzi sono altamente qualificati: molti di loro, dopo aver svolto studi e ricerche, hanno completato il loro MA, MSC e MBA e potrebbero facilmente guadagnare uno stipendio mensile di cento o duecentomila rupie ma non desiderano nulla di tutto questo: vogliono svolgere un lavoro che è adorazione e compiere un dovere che è Dio. I ragazzi dovrebbero avere una fede salda invece che desideri; quando si hanno desideri, si finisce col rovinarsi. Questi desideri, sotto forma di responsabilità, sono un fardello ed ostacolano il progresso dell’uomo; inizialmente egli ha due gambe che poi diventano quattro quando prende moglie e sei quando arriva il primo figlio. Per colmo d’ironia, maggiore è il numero delle gambe minore diventa la sua velocità. Il messaggio di Dakshinâmûrti è “ridurre i propri desideri”. Perché Dakshinâmûrti è sempre sorridente? Perché non ha responsabilità. Con un figlio una persona può avere abbastanza difficoltà. [Swami ricorda la storia della madre e del figlio di Rangoon – N.d.T.]. Entrambi morirono per reciproco amore. Possiamo anche morire ma non dobbiamo mai abbandonare quell’amore. Dobbiamo condurre una vita tale da guadagnarci un “buon” nome; non serve a nulla ottenere un “grande” nome. Perfino un milionario può mangiare solo riso e non il suo oro. Non dobbiamo limitare il nostro amore solo alla famiglia ma estenderlo a tutti. Siate altruisti; un pesce (fish) è migliore di una persona egoista (selfish). Il pesce si muove senza sforzo perché non ha responsabilità né carichi. L’uomo odierno, invece, porta il peso delle sue responsabilità fino alla morte. Questo peso gli conferisce…un basso profilo. Dobbiamo ridurre questi desideri e accrescere l’amore per Dio; Egli è lì per farsi carico delle nostre responsabilità. Sebbene sappiamo tutto questo, ci preoccupiamo senza alcuna necessità. Una volta che offriamo tutto a Dio, possiamo condurre una vita pacifica. In questa vita possiamo dimenticarci di tutto ma non dobbiamo mai dimenticarci di Dio. Questo è il Messaggio odierno di Swami.

Baba si è quindi seduto, ha intonato il bhajan “Bhaja Govindam” ed ha ordinato di distribuire il prasâd costituito di mele, poi ha detto ai ragazzi di intonare i bhajan e la sera si è riempita di melodiosi canti devozionali. Molti cantori, prima di intonare, hanno fatto âlâp (modulazione preliminare della voce prima dell’inizio del canto). Al termine di sette bhajan, Swami ha chiesto l’ârati e, mentre i sacerdoti lo offrivano a Lui e al Lingam accompagnati dal Nâdasvaram, dal conch (la conchiglia), dal suono della campana e dall’intero Sai Kulwant hall che cantava all’unisono, Swami si è ritirato nella Sua dimora alle 18.

(tratto da www.radiosai.org)