(Cronaca della giornata)
La festa del Varalakshmî Vratam viene celebrata nel mese di Shrâvana e organizzata dalle Sumangali (donne non vedove) per una buona progenie, una buona salute e l’auspicio di lunga vita al marito e alla famiglia.
Questa festività ha l’intento di render propizia Shrî Varalakshmî (Mahâlakshmî, la grande Lakshmî), la consorte del Signore Vishnu, che è l’incarnazione di ogni prosperità.
Il 12 agosto 2005, questa celebrazione è avvenuta nel Sai Kulwant hall alla divina Presenza di Shrî Sathya Sai Baba. Un vasto numero di donne occupava entrambi i lati della sala contemplando la bella Forma del Signore: era uno spettacolo osservare i loro volti gioiosi mentre, attenendosi scrupolosamente alle istruzioni dei sacerdoti, celebravano il rituale d’adorazione. La leggenda narra che questo rituale fu dettato dal Signore Shiva in Persona; per le persone presenti a Prashânti Nilayam rappresentare la medesima funzione alla divina Presenza di Sai Shiva Stesso è stata una grande occasione .
Il Sai Kulwant hall era accuratamente decorato con bellissimi fiori e una statua della Dea Lakshmî campeggiava sul palco; enormi raffigurazioni di Bhagavân e della Dea Varalakshmî decoravano le colonne della sala. Il rituale ha avuto inizio con il Ganapati Prârthanâ (la preghiera di invocazione a Ganesha) e, per i partecipanti al rito, venivano forniti una statua d’argento della Dea Varalakshmî e altri oggetti necessari alla funzione.
Durante la celebrazione, il capo dei sacerdoti ha narrato la seguente leggenda del Vratam (rito sacrificale): una volta, la Dea Pârvatî chiese al Signore Shiva di affidarle un Vratam che sarebbe stato propizio sulla terra a tutte le donne che cercano la prosperità. Il Signore Shiva, allora, le indicò il Varalakshmî Vratam (come menzionato nello Skandapûrana). Per illustrare la santità di questo rituale, il Signore Shiva, in seguito, narrò la storia di una certa Charumati che era una vera pativratâ (una moglie devota, fedele e leale). La Dea Lakshmî, compiaciuta della sincera e incondizionata devozione che ella nutriva verso il marito, le apparve in sogno e le consigliò di celebrare il Varalakshmî Vratam nel fausto giorno di Shrâvana Shukla Shukra Varam (durante la propizia metà chiara del mese di Shrâvana). Nel suo stesso sogno Charumati officiò questo rito con suprema devozione lo stesso giorno (Mânasika Pûjâ, o rituale officiato mentalmente). Il giorno seguente, narrò il sogno al marito e, col di lui consenso, anche a tutte le altre donne del paese. All’arrivo del fausto giorno, ella non mancò di celebrare il Varalakshmî Vratam come prescrittole dalla Dea Pârvatî; accaddero allora alcuni miracoli e ogni cosa fu propizia. Da allora, nelle famiglie si celebra regolarmente questo rituale.
Al termine della funzione, si è compiuto l’ârati. È quindi stato fatto un annuncio con il quale si comunicava ai convenuti che tutti avrebbero potuto prender parte al ricco pranzo, presso la mensa, come prasâdam (cibo consacrato) e che, nel pomeriggio, si sarebbe svolto un programma musicale tenuto dal famoso artista Nityashree Mahadevan.
A coronamento di tutto, Baba Stesso è andato fra i partecipanti, riversando su di loro le Proprie benedizioni.
(Tratto dal testo in inglese pubblicato nel sito internet dello
Shrî Sathya Sai Central Trust di Prashânti Nilayam)
Svârâjya – 15 agosto 2005
Quando gli studenti dello Shrî Sathya Sai Institute of Higher Learning hanno dato vita a una recita dal titolo “Svârâjya”1, il fervore patriottico ha raggiunto l’apice. Il tema trattato verteva su Bhârat (l’India) e la sua vera indipendenza (svârâjya), quella cioè ottenibile solo liberandosi delle sei qualità negative che l’hanno imprigionata danneggiandone il tessuto morale. Lo scenario della recita raffigurava la carta geografica dell’India imprigionata da manette di ferro ed incapace di sfuggire alla morsa del dominio britannico. Alla fine della commedia, tuttavia, le manette venivano rotte a significare che la gente, grazie all’amorevole guida di Bhagavân, ha davvero raggiunto svârâjya avendo superato le ignobili qualità di kâma (il desiderio), krodha (l’ira), lobha (l’avidità), mada (l’orgoglio), moha (l’illusione) e mâtsarya (la gelosia).
La commedia era divisa in diverse scene: la prima parte raffigurava il periodo precedente l’indipendenza e la seconda quello successivo. La rappresentazione ha avuto inizio con una serie di danze; poi è comparso un vecchio che parlava in termini elogiativi del glorioso passato dell’India, chiamandola “Bhârat Mâtâ” (Madre India), e biasimando l’attuale situazione. Nella scena successiva, il pubblico è stato trasportato al periodo precedente l’indipendenza. Quale figura di primo piano di quel particolare frangente, è stato raffigurato Alluri Sitaramaraju, l’eroe dell’Andhra Pradesh, combattente per la libertà. Egli ebbe il sostegno delle tribù locali e si oppose con tutte le sue forze al dominio britannico; fu ucciso in combattimento ma non prima di aver proclamato che ogni goccia del suo sangue avrebbe dato vita a molti altri Alluri Sitaramaraju che avrebbero combattuto per la libertà del Paese.
Un’altra scena ha ritratto altri illustri patrioti come il Mahâtma Gandhi, Jawaharlal Nehru, Mohammad Ali Jinnah e Sardar Vallabhai Patel i quali considerarono il modo in cui combattere gli Inglesi e ottenere la libertà: una lotta armata non avrebbe avuto possibilità alcuna contro le forze inglesi e Gandhi affermava che “occhio per occhio” avrebbe reso cieco il mondo per cui essi scelsero di condurre una lotta pacifica attraverso la politica della non violenza boicottando tutto ciò che era gestito dagli Inglesi e smettendo di lavorare per la loro amministrazione e per le loro fabbriche.
Nel Bihar, in un luogo chiamato Chowri Chowra, 22 poliziotti inglesi vennero barbaramente uccisi da estremisti armati: ciò turbò profondamente Gandhi e lo portò a seri ripensamenti circa la politica di non cooperazione; egli si sentì anche in colpa per aver capeggiato il movimento di liberazione. Altri, però, non si trovarono d’accordo con lui al riguardo, ragion per cui egli fece ricorso a continui digiuni che calmarono gli animi e fecero accettare il suo punto di vista. Perfino i disabili vollero partecipare alla lotta di liberazione come fece un ragazzo cieco che lo chiese ripetutamente al padre nonostante questi cercasse di dissuaderlo date le sue precarie condizioni. Il ragazzo, però, non si discostò dal suo proposito.
Nella rappresentazione, un padre va da Nataji Subhas Chandra Bose assieme al figlio e offre i guadagni del suo primogenito; egli è anche disposto a vendere le sue terre per la causa della lotta di libertà. Nataji, però, è irremovibile chiedendo invece che il giovane partecipi alla lotta per la libertà. In tal modo, egli illustra il celebre motto: “Gli uomini sono più preziosi di tutte le ricchezze del mondo.”
La scena successiva mostra Bhagat Singh, Jatinda e alcuni altri mentre, in prigione, digiunano fino alla morte quale espressione della loro solidarietà contro il dominio inglese. Quando uno di essi chiede un bicchier d’acqua, gli viene offerto un boccale di latte: accettarlo, equivarrebbe a rompere il digiuno. Tutti loro stanno lottando contro la sete ed, in tale situazione, il prigioniero è invogliato ad accettare il latte ma gli altri lo dissuadono con decisione. Essi rimangono senza cibo e acqua per un certo numero di giorni e, alla fine, Jatinda muore di fame. Tutti questi episodi dimostrano il valore del sacrificio compiuto da coloro che combattono per la libertà. La nuova scena mostra l’India che, dopo tutte le lotte, ottiene l'indipendenza. Ciò è simbolicamente rappresentato dalla bandiera tricolore indiana che sventola sullo sfondo, mentre viene recitato il famoso discorso di Jawaharlal Nehru, “Appuntamento col Destino”.
All’operatore e al regista, che avevano con successo filmato il periodo precedente l’indipendenza e ottenuto diverse approvazioni per il loro encomiabile sforzo, viene richiesto di riprendere anche il periodo successivo all’indipendenza. Ora la scena si sposta a quel periodo: i due sono ispirati a catturare tali momenti e ciò che l’India ha raggiunto dopo 58 anni di indipendenza. Per questa ragione, essi fanno visita alla città di Rampur, nello stato dell’Uttar Pradesh, ove un contadino li porta in giro per il villaggio mostrando le gravi condizioni di carestia di quei luoghi. Nonostante ciò, egli offre loro ospitalità e cibo. In quel momento appare suo figlio chiedendo da mangiare ma lui lo manda da sua madre al che il ragazzo rivela timidamente che cibo non ne hanno. L’operatore e il regista sono commossi dalle precarie condizione del contadino e dal suo buon cuore che lo ha portato a nutrire gli ospiti nonostante la sua povertà.
È a questo punto che il vecchio ricompare in scena; il suo personaggio si rivela al pubblico come lo spirito di Bhârat. Egli afferma che nel paese c’è dilagante corruzione, volgare materialismo e fanatismo religioso: solo quando la gente rinuncerà alle sei qualità negative, l’India potrà ottenere svârâjya. Bhagavân Shrî Sathya Sai Baba è venuto per mostrare il cammino all’umanità, per guidarla alla meta. Al termine del programma, tutti i partecipanti hanno cantato l’inno nazionale assieme al pubblico alzatosi in piedi; in tal modo è terminata questa bella rappresentazione della lotta per l’indipendenza dell’India. In questa recita sono state messe in mostra le abilità melodrammatiche degli studenti e la commedia ha avuto grandissimo successo da ogni punto di vista. Tutti i partecipanti si sono poi riuniti per rendere omaggio a Bhagavân il quale, graziosamente, ha posato per delle fotografie di gruppo. Il programma si è concluso con l’offerta dell’ârati a Baba.
(Tratto dal testo in inglese pubblicato nel sito internet dello
Shrî Sathya Sai Central Trust di Prashânti Nilayam)
Tale termine significa indipendenza politica, libertà dall’umiliante giogo di un dominatore straniero. Indica anche la libertà in senso generale e, in senso più profondo, la libertà dalla degradante dipendenza dalle passioni e dalle emozioni, ovvero il dominio su se stessi.