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La costruzione del sabha
A questo punto è bene che vi racconti i particolari di un episodio accaduto durante il grande incendio della foresta di Khandava. Tale avvenimento si sarebbe rivelato fondamentale per il proseguo della storia.
Mentre Arjuna combatteva contro Indra, Krishna scorse un demone che, tra le fiamme, cercava scampo nella fuga. Gli aveva appena lanciato il disco Sudarshana per ucciderlo, quando il danava, vista avvicinarsi l'infallibile arma del Signore, corse in direzione di Arjuna chiedendogli disperatamente aiuto. Impietosito dalle preghiere, il Pandava si rivolse all'amico.
"Costui ha chiesto la mia protezione, ed io non posso rifiutargliela. Fa che abbia salva la vita."
Krishna acconsentì e ritirò l'arma.
Quando tutto fu finito, il demone andò da Arjuna.
"Tu mi hai salvato la vita, quindi vorrei fare qualcosa per te. Dimmi come posso sdebitarmi. Io sono Mayadanava, l'architetto degli asura, e potrei costruire per te le città più belle."
"Non importa," rispose il Pandava, "non devi sdebitarti di nulla. Salvare la vita di coloro che chiedono protezione è il primo principio di ogni kshatriya retto. D'altra parte non vedo proprio cosa potresti fare per me."
"E invece c'è qualcosa che potresti fare," intervenne allora Krishna. "I Pandava non hanno un sabha all'altezza della loro fama e tu sei tra i pochi in tutto l'universo capace di costruirlo. Se davvero vuoi dimostrare la tua riconoscenza costruisci un sabha così bello come mai se ne sono visti in tutti i mondi."
Mayadanava sorrise e assentì.
I lavori di costruzione cominciarono dopo qualche settimana. Aiutato da numerosi rakshasa dalla forza straordinaria, Mayadanava andò a Kailasha, da dove tornò con inimmaginabili ricchezze in oro, diamanti e altri metalli preziosissimi che in tempi passati erano già stati utilizzati per svolgere cerimonie enormemente costose. Di ritorno dall'Himalaya, il danava inoltre regalò a Bhima una possente e pesantissima mazza e ad Arjuna un carro di guerra dalle proprietà magiche. Aiutato dagli asura, il sabha fu terminato in tempi prodigiosi.
Nei giorni precedenti l'inaugurazione, i Pandava incaricarono molti corrieri di recapitare gli inviti a tutti i monarchi di Bharata-varsha; e poichè costoro montavano cavalcature velocissime in tempi molto brevi poterono assolvere il loro compito.
Dopo poche settimane re e principi di ogni parte del mondo cominciarono a convenire a Indra-prastha in gran numero. Il luogo più visitato della stupenda città fu la reggia costruita da Mayadanava, dove tutto era splendore a sè stante, in quanto le preziosissime gemme impiegate in larga misura emanavano una luce così intensa da illuminarne gli interni. Chiunque, entrando, aveva l'impressione che un sole posasse continuamente i suoi raggi sulle pareti delle innumerevoli sale. Ammirati e stupiti, milioni di persone tessevano le lodi del fantastico sabha dei Pandava.
Il festival fu un momento di gioia per tutti, e in special modo per i figli di Pandu fu senz'altro il momento più felice della loro vita.
In quel periodo molti principi giovani e valorosi vennero ad apprendere le arti marziali da Arjuna; tra i tanti, colui che dimostrò di essere il migliore in assoluto fu Satyaki, della razza dei Vrishni, un cugino di Krishna.
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La storia di Jarasandha
Durante uno dei giorni lieti in cui stava svolgendosi il festival di inaugurazione, arrivò a Indra-prastha il saggio Narada che fu condotto a visitare il sabha. Anch'egli rimase entusiasta dell'opulenza e della bellezza che permeavano ogni angolo della struttura.
"Io ho visitato tutti i sabha dell'universo," disse, "e posso assicurarvi che questo è il più bello, ancor più di quelli di Brahma, di Kuvera, di Yama, di Surya e di Indra."
Narada descrisse quei cinque sabha e di nuovo elogiò vivamente quello dei Pandava, raccontando nel contempo storie di valore e rettitudine riguardanti i loro antenati.
Poi disse:
"Non sono venuto qui solo per ammirare la vostra gloria, ma anche per portarvi un messaggio che vi riguarda. Recentemente ho incontrato vostro padre Pandu nei pianeti celesti. Egli è felice di ciò che state facendo, ma vorrebbe da voi qualcos'altro: "Dì ai miei figli che io avrei piacere che loro compissero quel grande e celebre sacrificio chiamato rajasuya," mi ha incaricato di riferirvi, "che conferisce ad ogni kshatriya grandi meriti e fortune." Se lo farete Pandu otterrà grande prestigio nel pianeta dove vive."
Da quel giorno Yudhistira e i suoi fratelli non riuscirono a pensare né a parlare d'altro. Esso per di più avrebbe concesso al fratello maggiore il titolo di imperatore. Era un desiderio espresso direttamente dal padre, per cui dovevano farlo; ma si domandavano se ne sarebbero stati all'altezza. Alla fine decisero di chiamare a consiglio le persone più rispettate tra i loro alleati, amici, parenti e tutti coloro a cui stava a cuore il loro benessere. Per quell'occasione anche Krishna venne da Dvaraka, accompagnato da Satyaki e da altri Vrishni.
La discussione, in quel conclave di santi brahmana e virtuosi monarchi, si protrasse per diverso tempo. Infine fu deciso che Yudhisthira avrebbe potuto sicuramente aspirare a quella che era considerata un'ambita meta.
Ma Krishna sollevò a Yudhisthira un'obiezione.
"Per rendere realizzabile questo sacrificio," disse, "bisogna innanzitutto risolvere un serio problema. Tu conosci il re Jarasandha e sai quanto egli sia un vostro acerrimo nemico. Lui sarà uno di quelli che mai accetteranno il tuo rajasuya, per cui sicuramente muoverà le sue truppe e quelle dei suoi alleati contro di te. Devi ucciderlo. C'è da riconoscere che possiede una potenza fisica impareggiabile e in battaglia potrebbe sconfiggerti. E' meglio affrontarlo da solo, senza l'aiuto dei suoi soldati; dopodichè potrai svolgere il tuo sacrificio."
"Jarasandha è un combattente formidabile," ribattè Bhima, "e la sua forza è paragonabile a quella di molti elefanti uniti insieme; dunque è un avversario temibile. Però si deve tenere conto che egli è malvagio, e di conseguenza non è benedetto dalla virtù e dagli dei. Io lo sfiderò in duello e lo ucciderò. Non dubitate di me."
Krishna riflettè per qualche minuto, poi parlò ancora:
"Non c'è alcun dubbio che Bhima è in grado di uccidere il monarca di Magadha, ma la cosa deve essere affrontata senza sottovalutarla, o potrebbe diventare pericolosa. E' importante per tutti voi che sappiate la sua storia:
"Non molto tempo fa il re di Magadha era il valoroso Brihadratha, che aveva ricevuto la benedizione di possedere tutte le cose che in questo mondo sono desiderabili. La sua vita era felice, il suo regno prosperava e il popolo era contento. Nonostante ciò non era privo di problemi, anzi ve n'era uno che lo assillava particolarmente: le sue due mogli non gli avevano ancora dato dei figli.
"Nel regno viveva un saggio che si chiamava Chandra Kausika il quale, venuto a conoscenza della questione, andò a trovare il re con l'intenzione di offrirgli una soluzione. Gli disse:
'Prendi questo frutto: se la tua consorte lo mangerà ti darà un figlio.'
"Il re, che era di animo giusto ed era ugualmente affezionato a tutt'e due le mogli, non volle fare torto a nessuna e divise il frutto in due. Così ne porse loro un pezzo a testa.
"I mesi passarono e le due regine diedero alla luce un aborto di bambino tagliato verticalmente alla metà, allo stesso modo in cui il re aveva diviso il frutto. Credendolo senza vita, Brihadratha lo fece gettare via.
"In quel giorno una rakshasi di nome Jara, che viveva cibandosi di carne e sangue umano, passando nei paraggi dei giardini reali, trovò l'aborto e lo prese con sè, convinta di essersi procurata il pasto del giorno. Ma quando fu arrivata alla caverna dove viveva, avvicinò casualmente le due porzioni e queste, come per magia, si riunirono dando vita a un normale bambino, che immediatamente cominciò a piangere per la fame. Allora la strega, sperando che l'avrebbero lautamente ricompensata, riportò il figlio del re a corte. Poichè era stato riunito da Jara, il bambino fu chiamato Jarasandha.
"Fin da bambino," continuò Krishna, "è sempre stato un grande devoto di Shiva, e si è sottoposto a dure austerità e impareggiabili sacrifici, per cui Mahadeva come ricompensa gli ha conferito una forza sovrumana. Negli anni ha sviluppato un profondo astio verso di me e verso tutti i Vrishni, e mi ha già dichiarato guerra per ben diciassette volte. Naturalmente non è mai riuscito a sconfiggermi, e pure mi sono trovato costretto ad abbandonare Mathura e a fondare il mio regno a Dvaraka, dove è più facile difendersi. Ora Jarasandha ha sposato la sorella di Duryodhana ed è diventato un suo fedele amico e alleato, cosicchè da quel giorno l'ostilità che nutre nei miei confronti si è estesa anche contro di voi.
"Siatene certi, cari amici: finchè vivrà, Jarasandha non accetterà mai la nomina di Yudhisthira a imperatore senza combattere. Egli ci odia tutti, ed effettivamente un nemico temibile come lui, unito a Karna e Duryodhana, può essere veramente pericoloso. Uccidiamolo, dunque; dopodichè Yudhisthira potrà svolgere senza nessuna preoccupazione il migliore degli yajna chiamato raja-suya."
La discussione si protrasse a lungo e alla fine Krishna, Arjuna e Bhima decisero di andare a Magadha travestiti da brahmana. Presentatisi al cospetto di Jarasandha, chiesero di parlargli.
"Cosa volete da me?" disse il re. "Sappiate che qualsiasi cosa mi abbia chiesto un brahmana finora ho sempre fatto in modo di accontentarlo."
"Noi non siamo brahmana, ma kshatriya, tuoi nemici. Io sono Krishna, e questi due sono Bhima e Arjuna. Poichè hai promesso di soddisfarci in qualsiasi richiesta, accetta una sfida; scegli uno di noi e combatti."
Jarasandha rise forte.
"Volete battervi contro di me? Ma certo, come volete. Con te, Krishna, non combatterò perchè la tua nascita non è nobile a sufficienza e neanche con te, Arjuna, poichè sei giovane e sicuramente meno forte di me. Ma contro Bhima sì, contro di lui combatterò, perchè so che è abbastanza forte."
Il duello fra i due durò per giorni e giorni e solo dopo grande fatica e ansietà Bhima riuscì a uccidere Jarasandha, riuscendo a dividere il suo corpo proprio nel punto in cui era stato riunito da Jara.
Ora che uno dei nemici più temibili era stato eliminato, Yudhisthira era libero di celebrare senza timori il prestigioso rajasuya-yajna.
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Campagna militare dei Pandava
I preparativi iniziarono.
Prima di tutto bisognava trovare un brahmana sufficientemente qualificato per guidare il complicato rituale, e su questo tutti si trovarono immediatamente d'accordo: nessuno come il grande Vyasa avrebbe saputo farlo con la giusta maestria.
Il secondo passo sarebbe stato quello di far accettare da tutti i re Yudhisthira come imperatore e riscuotere i tributi tradizionali. Questa impresa richiedeva un grande valore in combattimento, per cui, chiamati i fratelli, il primo figlio di Pandu disse:
"Andate per tutte le terre del mondo, e chiedete i tributi e la sottomissione ai monarchi dei vari regni. E solo se qualcuno si rifiuterà dovrete fronteggiarlo e assoggettarlo con la forza. Ma non cercate di creare nemici, piuttosto stringete amicizie e alleanze."
Yudhisthira affidò la conquista del nord ad Arjuna, dell'est a Bhima, dell'ovest a Nakula e del sud a Sahadeva.
Scortato da un poderoso esercito di guerrieri veterani e privi di paura, Arjuna procedeva in direzione delle vette himalayane, e riduceva all'obbedienza i governanti delle terre visitate, usando a seconda dei casi diplomazia o forza militare.
Arrivato a Prajyotisha volle conoscere il grande Bhagadatta, del quale si dicevano cose favolose circa la sua rettitudine e il suo valore in battaglia; il Pandava stesso potè constatare quanto quelle voci non fossero infondate: rifiutandosi di pagare i tributi senza prima essere stato sconfitto in duello, Bhagadatta impegnò Arjuna in uno strenuo combattimento. Uscitone vincitore, quest'ultimo conferì grandi omaggi all'anziano e nobile guerriero.
Continuando la sua marcia, attraversò e conquistò molti altri regni, fermandosi anche a visitare stupendi luoghi santi e meravigliosi eremi nelle foreste più disertate dall'uomo. Tra gli altri assoggettò i fratelli Trigarta, da sempre grandi amici di Duryodhana e nemici giurati dei Pandava.
Giunto alla montagna Meru, si deliziò alla vista delle bellezze delle alte quote himalayane.
Infine tornò a Indra-prastha, portando con sè incalcolabili ricchezze.
Allo stesso tempo Bhima, al comando delle sue truppe, procedeva verso est, riportando non meno trionfi del fratello minore. Ovviamente senza essere stato costretto ad affrontarli in combattimento, ottenne l'assenso e i tributi del re dei Panchala, il suocero Drupada, e del re di Mithila.
Arrivato a Chedi, Sishupala lo ricevette con tutti gli onori e accettò Yudhisthira come imperatore. Attraversati Koshala, Ayodhya e molti altri regni, riportò in battaglia solo grandi trionfi. Anch'egli ritornò portando con sè immense ricchezze.
Nakula imperversò ad ovest, stringendo solide amicizia e riportando sonanti vittorie sui monarchi che non avrebbero voluto assoggettarsi al dominio dei Pandava.
Sahadeva non fu da meno. Scontratosi con l'ostile Dantavakra, lo sconfisse e pretese enormi tributi, così come accadde con molti altri monarchi, fra i quali Nila, che tra l'altro era protetto dal deva Agni. Fra coloro che non lo osteggiarono ci furono il cugino Ghatotkacha e Vibhishana, l'anziano re di Lanka, con il quale fece amicizia. Circondato da un alone di gloria, il prode Sahadeva, ultimo tra i fratelli, ritornò a Indra-prastha.
Appena i Pandava furono rientrati alla capitale, grazie a tutte quelle ricchezze, i preparativi cominciarono a fervere. E come era accaduto per dell'inaugurazione del sabha, gli inviti per il sacrificio furono spediti con la massima sollecitudine. Nakula andò personalmente ad invitare Krishna, il quale partì pochi giorni dopo.
Per la seconda volta in poco tempo Indra-prastha fu un tripudio di persone, tutte ansiose di assistere al magnificente sacrificio. Usando grande attenzione a non causare contrasti, furono inoltrati inviti anche ai cugini. Lo stesso Duryodhana aiutò nello svolgimento del sacrificio, prendendosi cura della tesoreria; tale incombenza gli fece constatare personalmente le incalcolabili ricchezze che circolavano nelle casse degli odiati parenti. Un patrimonio che lui e i fratelli neanche si sarebbero mai sognati di possedere. Ma non fece commenti, e tenne tutto dentro.
Il rajasuya fu un grande successo. Tutti i saggi presenti benedirono in continuazione il virtuoso Yudhisthira e i suoi fratelli, sostenendo che mai si era visto uno yajna tanto bello e opulento. Solo Narada taceva; il suo occhio profetico vedeva nel tempo i terrificanti eventi che sarebbero accaduti.
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Krishna e Sishupala
Al momento culminante del rajasuya, Maharaja Yudhisthira fu incoronato imperatore e tutti lo applaudirono generosamente: nessuno provò astio o invidia. Il maggiore dei Pandava, conosciuto come il più virtuoso tra i re, era rispettato e amato da tutti, e nessuno, a parte ovviamente Duryodhana, si sentiva defraudato da lui.
Subito dopo, secondo il cerimoniale, ebbe luogo l'arghya, durante il quale l'imperatore di norma elegge fra i presenti la persona più meritevole a sedersi sul seggio più alto per ricevere il puja. A quel punto il Pandava si sentì in imbarazzo: davanti a lui c'erano centinaia di rishi, brahmana, guerrieri senza macchia e senza peccato, e sarebbe stato difficile onorare uno senza offendere gli altri. Ognuno dei presenti avrebbe meritato l'arghya. Chi nominare, allora? Accorgendosi del suo imbarazzo, Bhishma suggerì:
"Secondo la mia opinione non c'è nessuno qui presente che merita tanto rispetto e riconoscimento quanto Krishna. Ogni persona libera dalla collera e dall'invidia che sappia chi Egli è in realtà, sarà felice e onorata di porgergli omaggio."
Yudhisthira fu lieto del consiglio e rivolgendosi a Sahadeva disse:
"Il suggerimento di Bhishma è consono ai dettami delle scritture, per cui mi trova completamente d'accordo: nessuno come Krishna merita questo riconoscimento. Prendi ciò che è necessario e offri arghya al nostro amato amico."
Gioiosamente il più giovane dei Pandava svolse la cerimonia, e al termine una pioggia di fiori proveniente dai pianeti celesti cadde su Krishna e Sahadeva.
Durante la cerimonia nessuno aveva proferito parola, ma l'aria si era impregnata di un silenzio strano, pesante, tombale, che aumentò quando questa fu compiuta. Si avvertiva una forte tensione. Era chiaro che molti non avevano gradito la scelta di Yudhisthira. Poi, ad un certo punto, si levò un forte mormorio e molti re cominciarono a parlottare fra di loro e a farsi cenni d'intesa. Ma nessuno osava dire niente. Fu Sishupala, il re di Chedi, a rompere il silenzio.
"Yudhisthira, noi siamo venuti qui di nostra spontanea volontà per tributarti omaggio, poichè abbiamo sempre riconosciuto in te grandi qualità di rettitudine e un forte senso di giustizia. Tuttavia dopo questa scelta dobbiamo ricrederci e pensare di averti sopravvalutato. Guardati intorno: qui presenti ci sono saggi meritevoli di rispetto assoluto e re anziani e ricchi di ogni qualità. Qui, davanti a loro, come hai potuto preferire Krishna? Come hai potuto ascoltare il consiglio di Bhishma, il quale evidentemente per via dell'età ha perso la ragione? Non ti sei accorto che hai commesso un insulto imperdonabile nei riguardi di tutte le più importanti personalità viventi? Come hai potuto farlo? Sicuramente Krishna non merita questo onore."
"Caro Sishupala," rispose Yudhisthira, "chi ha una visione spirituale e non è vittima della gelosia e della lussuria, sa che Krishna non è un uomo comune, ma l'incarnazione sulla terra del Signore Supremo Narayana. Io sono pienamente consapevole del fatto che qui davanti a me ci sono gli uomini più meritevoli del mondo, ma Krishna non è un uomo, è molto di più: Egli è Dio incarnato, quindi merita l'adorazione di tutti noi, e non solo in questo frangente ma in ogni momento della nostra vita."
Le parole di Yudhisthira infiammarono ancora di più gli animi. Sishupala cominciò a inveire con grande violenza contro Krishna e Bhishma, che dal canto loro osservavano con calma la scena senza intervenire.
Ma i Pandava, nell'udire le offese rivolte al loro più caro amico e oggetto di devozione, cominciarono a fremere per la rabbia e, afferrate le rispettive armi, gridavano minacce in direzione di Sishupala. Il tumulto crebbe e alcuni re prendendo le parti di Krishna e altri schierandosi a difesa di Sishupala, iniziarono a gridare e a insultarsi, brandendo spade, archi e mazze.
A quel punto Sahadeva si fece avanti con un'espressione di furia tale da lasciare sbigottito chiunque lo guardasse e gridando più forte degli altri fece in modo che tutti l'ascoltassero.
"Coloro che non riescono a sopportare di vedere Keshava, l'uccisore di Keshi, che possiede incommensurabili energie, adorato da me, sappia che sarò ben felice di porre il mio piede sulle loro teste, dopo averli sconfitti in duello.
"E voglio che si facciano subito avanti.
"Al contrario, chi possiede una vera intelligenza spirituale dia la sua approvazione alla scelta di Yudhisthira. Io desidero che tutti sappiano che per noi Krishna é allo stesso tempo il nostro precettore, il nostro padre, il nostro guru, e che merita pienamente l'arghya e l'adorazione che gli ho appena conferito."
Quando in segno di sfida Sahadeva mostrò a tutti il piede, non uno fra quei potenti monarchi ebbe il coraggio di rispondere. Allora una pioggia di fiori dai pianeti celesti cadde sulla sua testa e una voce incorporea disse: "Eccellente, eccellente."
Senza tuttavia raccogliere la sfida di Sahadeva, Sishupala, ormai privo di ogni tranquillità d'animo, vittima della sua perfida invidia, continuò a offendere Krishna, che era ancora seduto sul seggio elevato.
Nell'udire quegli insulti, il petto di Bhima si gonfiava per l'agitazione mentre la sua mano stringeva con terribile furia la mazza.
"Non posso più tollerare di ascoltare queste infamità nei riguardi di Krishna," disse a Bhishma; "dammi il permesso di schiacciare la testa di quella serpe velenosa."
Ma Bhishma, nonostante una buona dose di offese fossero dirette anche a lui, non si scompose nè disse nulla.
"No, Bhima, non intervenire. Il tempo concesso alla vita di Sishupala sta volgendo al termine e non c'è alcuna necessità del tuo intervento. Non vedi che Krishna stesso, sebbene potrebbe ucciderlo con un solo gesto della mano, non dice niente, anzi rimane seduto senza fare il minimo movimento? Non ti chiedi il perchè? Ascolta la sua storia, e riacquisterai tranquillità.
"Dopo che Jaya e Vijaya, i guardiani di Vaikuntha, furono maledetti dai figli di Brahma a nascere tre volte come demoni in questo mondo materiale, in satya-yuga si incarnarono come Hiranyakashipu e Hiranyaksha, in treta-yuga come Ravana e Kumbhakarna e ora, al termine di dvapara-yuga, come Sishupala e Dantavakra.
"Appena nato aveva un aspetto mostruoso, con tre occhi e quattro braccia e i suoi genitori, terrorizzati alla vista di quel figlio deforme, avevano deciso di sopprimerlo, quando una voce misteriosa disse loro che appena il neonato fosse stato tenuto sulle ginocchia della persona che in futuro l'avrebbe ucciso, l'occhio e le braccia in eccedenza sarebbero scomparsi. Sua madre, che da un lato si era tranquillizzata per la speranza che al più presto suo figlio avrebbe preso un aspetto normale, d'altra parte si sentiva in ansia per il suo futuro, e si chiedeva a ogni poco chi mai potesse essere l'artefice della morte del figlio. A questo scopo prese a viaggiare ovunque, chiedendo a ogni re di Bharata- varsha di prendere il neonato fra le braccia. Ma i suoi tentativi risultarono vani.
"Così un giorno che Krishna e Balarama si erano recati in visita di cortesia a Chedi, la capitale del re Damaghosha, la regina chiese anche a Krishna di prendere Sishupala fra le braccia. Appena questi lo ebbe toccato, il bambino diventò normale. Così la regina era venuta a conoscere colui che in futuro avrebbe tolto la vita al figlio. Volle rivolgergli una preghiera:
'Ti prego, Signore, è destino che Sishupala sia ucciso da te; perciò, ti prego, non prendere sul serio le offese che ti rivolgerà.'
"Poichè la madre di Sishupala era sua zia, una delle sorelle di Vasudeva, Krishna rispose:
'Perdonerò fino a cento delle sue offese.'
"Fin dai primi anni della sua vita, il bambino provò istintivamente un forte odio verso qualsiasi cosa riguardasse Krishna, nè riuscì mai a sopportare di ascoltare la minima lode rivolta a lui. Ecco perchè ha reagito in questo modo all'arghya offerta a Krishna.
"Bhima, sappi che il Signore non può mancare alla promessa fat-ta, ma che il numero di cento insulti è già stato superato, cosicchè presto libererà Sishupala dalla pena in cui lo hanno imprigionato la sua stessa rabbia e invidia."
E mentre Bhishma raccontava la storia, il Chedi continuava a insultare il divino Krishna, fino a che, accecato dall'ira, perse il lume della ragione e, afferrata la spada, gli si scagliò contro.
In quel momento il disco Sudarshana apparve nella mano di Krishna e subito dopo guizzò contro l'avversario. La testa di Sishupala saltò in aria e una scintilla luminosa come il sole sorse dal suo corpo ed entrò in quello di Krishna. Tutti videro lo straordinario avvenimento: nonostante tanto odio, Sishupala aveva ottenuto la liberazione.
La morte di Sishupala placò gli animi, e anche se molti erano rimasti contrariati dalla piega che aveva preso la situazione, il sacrificio terminò senza ulteriori incidenti.
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Duryodhana umiliato
Dopo aver offerto sommi rispetti ai rishi, i re presero commiato e tornarono ai loro regni. E man mano che partivano i Pandava a loro volta onorarono tutti secondo i rispettivi meriti. Nei giorni che seguirono anche Krishna partì per Dvaraka.
Yudhisthira invitò a rimanere a Indra-prastha Duryodhana con Karna, Dusshasana e Shakuni, intendendo tributare loro dei speciali trattamenti al fine di raddolcire la loro invidia nei suoi confronti. I Kurava, affascinati dalla magnificenza del fantastico sabha che Mayadanava aveva costruito, accettarono di visitarlo con più calma.
E giunse anche il giorno della partenza di Vyasa.
"Yudhisthira," disse il saggio, "state attenti a come trattate Duryodhana. Non mancategli di rispetto in nessun modo. Dopo la morte di Sishupala sono apparsi presagi che preannunciano tanto sangue, e anche il mio guru Narada mi ha confermato che tempi terribili si stanno apprestando.
"Le pagine del libro della storia del mondo si riempiranno di morte. Il destino ha preordinato la distruzione di tutti gli kshatriya della terra. La malvagità di Duryodhana e la forza di Bhima, il valore di Arjuna e la bellezza di Draupadi saranno la causa di una sterminata carneficina.
"State in allarme, quindi, e fate in modo che se ciò accadrà, non debba essere a causa di una vostra negligenza ma per volere del Signore."
Nei giorni che seguirono Duryodhana visitò accuratamente il sabha. Non aveva mai visto nulla del genere. Che splendore! Quali divine bellezze! Man mano che osservava quelle meraviglie mai viste in tutto il mondo diventava sempre più consapevole del fatto che dal niente i Pandava erano riusciti a costruirsi una fortuna ben più grande della sua, che pure era un'eredità di millenni. Ancora una volta l'insopportabile invidia di sempre divampò nel suo cuore.
E destino volle che mentre se ne stava assorto in simili pensieri, questi non s'avvedesse che ciò che sembrava un pavimento di marmo era in realtà un laghetto interno, e vi cadesse dentro, bagnandosi completamente. A nulla servirono le premure di Yudhisthira, che immediatamente mandò degli attendenti ad asciugare il cugino schiumante di rabbia. Ma le pessime figure di Duryodhana non erano ancora finite: mentre infatti continuava la visita, credendo che nel mezzo di un giardino vi fosse un laghetto, si tirò su il vestito per attraversarlo, ma poi s'accorse che si trattava solo di un gioco di riflessi creato dalle gemme. E non accorgendosi di una porta di cristalli così trasparente da essere difficilmente individuata, vi sbattè contro. E cercò di aprire una porta che in realtà era solo un effetto di luci.
Invano Yudhisthira aveva proibito a Bhima e Draupadi di commettere qualsiasi mancanza di rispetto nei confronti del cugino perchè essendo stati testimoni di queste sue disavventure essi avevano riso di lui davanti a tutti. L'umiliazione di Duryodhana era stata cocente; così si era ritirato nella sua abitazione senza voler più vedere altro.
Durante la notte Duryodhana non era riuscito a dormire, torturato dal pensiero della grande fortuna dei cugini. Oramai pensava a una sola cosa: a come distruggerli, a come fare per vederli in disgrazia, e sofferenti nella maniera più intensa possibile. Oramai l'odio era diventato così forte da non poter più essere controllato.
Il giorno seguente tornò ad Hastinapura.