DISCORSO DIVINO

Vi è più ricchezza nel dare che nel ricevere

11 settembre 1998

Baba canta:



La parola è causa di prosperità;

la parola assicura amici e parenti;

la parola porta schiavitù;

la parola può persino condurre a morte certa.



Incarnazioni dell’Amore!

La facoltà della parola donata all’umanità è così importante, così maestosa, che vi dà ogni ricchezza; il suo valore è così elevato da assicurarvi ricchezza e mantenimento. Dovremmo parlare dolcemente, a bassa voce, in modo che la nostra parola sia bene accetta e sacra. Soltanto la parola proferita in modo tanto dolce vi riempirà copiosamente di ogni prosperità e di averi. Con le parole possiamo guadagnare l’amicizia di molti, creare parentele e perfino costruire un impero. E, quand’anche aveste pochi parenti, con la dolcezza della parola potete imparentarvi col mondo intero.

Il parlare di cose sante vi darà cultura, ricchezza e felicità, e voi potrete occupare posizioni di prestigio. Al contrario, parole cattive pronunciate con sentimenti di astio e sorrette da brutti pensieri vi condurranno non solo alla schiavitù, ma certamente anche alla morte. La parola dolce e sacra conquista perfino i regni.

Nelle parole che pronunciamo c’è sia il bene che il male. Per chi fa uso di parole buone, l’intero Universo diventa come un condominio, dove egli abita insieme a un’umanità che considera come una grande famiglia. Se il vostro parlare sarà sacro, vi farà percepire il Cosmo come un unico residence e l’umanità come un’unica casta. Usate dunque parole dolci, gentili e pronunciatele in maniera gradevole; il vostro parlare dovrebbe essere sacro e farvi sentire in rapporto familiare con tutti. Per essere intimi con Dio, per raggiungere la Divinità, il cammino spirituale è indispensabile. Pervase di ubbidienza e umiltà, le vostre buone parole vi condurranno fino al livello più elevato.



Il Divino dentro e fuori

L’intero mondo è un tutt’uno. Sebbene ne vediate molteplici aspetti, alla base di esso c’è un principio unico. Di tutti i numeri – 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9 – il più importante è l’1. Tutti gli altri numeri non sono che modificazioni del numero 1. Infatti, il numero 2 si ricava addizionando 1 a 1; 9 più 1 fa 10; 9 meno 1 fa 8.



Come vedete, il numero 1 è la sola causa della sottrazione o dell’addizione: è un’unità che forma la molteplicità. Quest’unità è la Verità, della quale i Veda han detto: Om ity ekâksharam brahma. "La singola lettera OM è il Brahman stesso" (Bhagavad Gîtâ VIII, 13).

Om simboleggia il Suono primordiale nel quale sono contenuti tutti i suoni, ed è inseparabile dal Divino. È da questa unità che deriva tutta la Creazione. La Divinità non ha una forma separata ed è dalla Om che tutte le forme hanno origine. Tutti i suoni sono un’emanazione del suono primordiale Om. Ma noi non capiamo questa Verità e seguiamo molti sentieri con moltissime aspirazioni e ambizioni. L’1 è la base primaria.



Il grano è ricoperto dalla pula, ma, al momento opportuno, la pula si separa dal grano. Il mondo è la pula, mentre la Divinità è il grano: non c’è nessuna differenza fra il mondo e Dio.

Come l’uomo ha molte membra che ne formano il corpo, così ogni essere umano, pur dotato di molti arti suoi propri, è a sua volta un membro della società, e ogni società un membro dell’umanità. L’umanità è un membro della Natura e la Natura è un arto del Divino.

Perciò, i vari arti, le varie forme, l’umanità, la Natura, la società, sono tutte varie membra del Divino. In questo mondo, qualunque cosa vediate, ovunque guardiate, troverete la relazione fra Dio e la Creazione: non sono separati.

Sarvatah pâni pâdam tat sarvatokshi shiro mukham sarvatah shrutimal loke sarvam âvritya tishthati: "Ovunque sono le Sue mani, le Sue gambe, i Suoi occhi, le Sue teste e i Suoi volti. Le orecchie di Dio sono ovunque nell’Universo" (Bhagavadgîtâ XII, 14).

Tutte le varietà delle forme sono presenti nella Forma Primordiale, appartengono all’Unica Forma Originaria. Sono i Veda che lo dichiarano: Antar-bahischa tat sarvam vyâpya nârâyano sthitah: "Nârâyana, la Divinità, permea ogni cosa che è al di dentro e al di fuori di tutto".

Il grano è il Divino, la pula è la Creazione; c’è una stretta relazione fra Dio e il mondo e insieme sono la manifestazione del Signore dell’Universo (Jagadîshvara). Tutto è una Scintilla del Divino. La Bhagavad Gîtâ (XV, 7) dichiara: Mamaivâmsho jîvaloke jîvabhûta sanâtanah: "Tutti gli esseri nella Creazione sono delle manifestazioni di un frammento di Me stesso".

Voi siete Miei devoti. Ciò significa che fra noi c’è un’intima relazione: voi ed Io siamo una sola cosa. Voi volete fare padanamaskar, volete cioè prostrarvi a toccare i Miei piedi, ma per chi avete in mente di farlo? Per voi stessi. Siete così felici se lo potete fare, ma a vantaggio di chi? Se lo fate, è solo per voi stessi.

Nel mondo attuale, in un modo o nell’altro, tutti vogliono qualcosa. E voi lo chiamate amore! Credete davvero che una persona ami un oggetto per il bene dell’oggetto stesso? No! L’ama solamente per se stesso, per il proprio vantaggio. Così pure, una persona non ne ama un’altra per il bene di questa; no, no! Lo fa solamente per la propria felicità!

Perciò, in questo mondo, per quanto riguarda l’essere umano, tutto ciò che ama, tutto ciò che ascolta, con chiunque si associ, lo fa solamente per il proprio beneficio e vantaggio. Sono ben pochi coloro che sanno vedere l’unità nelle diversità; la maggior parte della gente tende a vedere i frammenti dei molti nell’uno, ma non è la giusta maniera. Ci sono poche persone, poche anime nobili e sante, che intravedono l’unità nella diversità; perciò, al fine di poter comprendere quest’unità di base che accomuna tutto ciò che all’apparenza può sembrare separato e diverso, abbiamo bisogno di precettori o guru. Oggi li chiamiamo insegnanti.

La professione più nobile

Alcuni insinuano che chi sceglie di fare l’insegnante lo fa perché non ha altre alternative. Fate un grosso sbaglio se la pensate in quel modo! Infatti, la professione dell’insegnante non è per niente fra le più comode! Chi non ha stima di questa professione e la considera di basso livello dimostra di non aver capito. Un insegnante deve avere la capacità di formare, di plasmare l’avvenire degli studenti che si sono affidati alle sue cure, alla sua guida.

Tilak lottò tenacemente per la libertà di questa nazione. Un giorno un amico gli chiese: "O Tilak, hai lottato così duramente giorno e notte! Dopo l’indipendenza, che carica ti aspetti di rivestire? Sarai Primo Ministro o qualche carica importante del genere?" Sorridendo, Tilak rispose: "Io non rinuncerò mai a quella nobile, sacra professione, che è l’insegnamento! Nella posizione di insegnante posso addestrare moltissimi ragazzi ad essere capi di questa nazione. Questa professione è la più nobile, la migliore".

Come possono gli insegnanti ottenere questa capacità all’insegnamento? Quali sono i requisiti richiesti? L’insegnante deve avere sentimenti sacri, che devono tradursi in azioni sacre; non ci dovrebbe essere in lui nessuna traccia di cattiva abitudine e di vizio. Non dovrebbe mai intraprendere attività meschine. Perché? Perché è del tutto naturale che gli studenti seguano l’esempio dell’insegnante. Pensate un po’: i bambini puri, innocenti, che oggi seguono l’esempio dei loro insegnanti, saranno domani, una volta cresciuti, gli uomini che andranno a occupare alte cariche.

Centinaia di insegnanti hanno ispirato coloro che sono in seguito diventati i leader di questa nazione. Un insegnante così nobile, non dovrebbe mai indugiare in cattive abitudini come bere alcolici, fumare e mangiare cibo non vegetariano, poiché gli studenti osservano il comportamento dei loro insegnanti. Se un insegnante coltiva cattive abitudini, perde il diritto di chiedere ai suoi studenti di rinunciare ai vizi. Un insegnante non dovrebbe mai dire bugie e nemmeno rubare; se dice bugie, i suoi alunni lo imiteranno. Il suo cuore dev’essere colmo di sentimenti sacri.

Quali sono le virtù richieste agli insegnanti? Devono saper parlare col cuore e dire con purezza delle sacre verità; poi devono essere pieni di buone qualità, avere un buon intelletto, aderire totalmente alla verità, avere devozione per Dio, disciplina e senso del dovere. Solo chi possiede questi attributi può chiamarsi "educatore". Solo a queste condizioni gli studenti avranno davanti a sé un buon esempio che potranno seguire, un vero "insegnante".

Non è possibile valutare appieno l’importanza dell’influsso che gli insegnanti hanno sulla nazione: infatti, possono essere di grandissimo aiuto alla nazione come pure di gran danno. Per questo un insegnante porta il peso di enormi responsabilità. Egli dovrebbe avere un buona mente per portare avanti le sue responsabilità.

Quale indipendenza?

Tutti voi sapete bene che, cinquant’anni fa, i vecchi e i giovani di questa nazione hanno lottato risolutamente, abbandonando tutte le loro proprietà e possedimenti, e si sono sacrificati senza riserve per ottenere l’Indipendenza. Indipendenza! Che cosa intendete per indipendenza? "Dipendenza" significa dipendere da qualcun altro, mentre "indipendenza" significa essere liberi, non dipendere da nessuno.

Ma trovate che ci sia davvero questo tipo di indipendenza in questo mondo? Volevamo l’Indipendenza, volevamo essere liberi dal governo straniero, ma, nonostante siano passati ben cinquant’anni da quando il governo straniero ha lasciato questo Paese, noi stiamo ancora dipendendo dagli altri, e sempre di più! Il nostro Governo chiede prestiti a 98 nazioni; con i numerosi prestiti che accettiamo dalle altre nazioni continuiamo a indebitarci per miliardi! Per estinguere questi debiti, poi, chiediamo altri prestiti e così il debito si allarga a macchia d’olio. Facciamo debiti per pagare i debiti!

Come potete considerarvi liberi e indipendenti? Come fate a dire di essere indipendenti, se avete bisogno di farvi fare prestiti dagli altri? Se A dipende da B, non può definirsi indipendente: indipendenza significa "non dipendere" da nessuno.

Oggigiorno gli Indiani soffrono per molte ragioni. È vero che c’è bisogno di soldi, ma vi sembra che questo sia un motivo sufficiente per chiedere prestiti? No! Non è questo il metodo giusto. Dovreste, invece, risparmiare sulle spese, dovreste ridurre gli sfarzi e le pompe. Solo così risparmierete i soldi che potrete utilizzare per l’amministrazione pubblica.

Voi invece ci tenete agli sfarzi e alle esibizioni, trascorrendo il tempo negli sfoggi; e poi chiedete i soldi in prestito alle altre nazioni. Come se non bastasse, i soldi presi in prestito vengono utilizzati per altri sfarzi e sprechi! Buttate via i soldi che avete preso in prestito. Con che coraggio la chiamate "indipendenza"? Questa non lo è di certo! Semmai questi sono un indice di schiavitù!

Gli Indiani non hanno assolutamente capito la loro situazione attuale, ma continuano a chiedere prestiti. Ciò è fuorviante: questa situazione vi porterà gradualmente al punto di dover lottare una seconda volta per l’indipendenza!

Durante il regime inglese abbiamo sofferto moltissimo e, alla fine, siamo riusciti ad ottenere l’indipendenza; ma, se chiediamo prestiti, dobbiamo anche essere in grado di renderli. Le altre nazioni, infatti, potrebbero chiederne in qualunque momento la restituzione. Per questo dovremmo riprometterci di non chiedere più prestiti a nessuno.

Gli studenti di oggigiorno, dovrebbero essere totalmente indipendenti!! Essi dovrebbero conoscere la verità nascosta dietro la parola svecchâ, indipendenza. Sva + icchâ = svecchâ. Sva significa Âtma, perciò la Volontà del Sé si chiama Svecchâ. Ciò significa che dobbiamo seguire la nostra coscienza. Ma gli studenti d’oggi non attribuiscono al termine Svecchâ questo significato; indipendenza e libertà per loro vuol dire esser liberi di bighellonare per le strade, spendendo soldi come più piace a loro, senza essere controllati da nessuno!

Al contrario, dovrebbero imparare a controllarsi nei movimenti, nel parlare e nel modo di vivere. Sì, tutta la nostra vita dovrebbe essere sotto un certo controllo; solo allora potremo lavorare per il progresso e l’avanzamento del mondo intero.

Per questo vi dico sempre:

Partite presto, guidate piano

e raggiungerete sani e salvi

la Meta.

Dovreste seguire questo sentiero sacro a cominciare dalla giovane età. Non avete bisogno di seguire alcuno: seguite la vostra coscienza. Questa è vera libertà. Non siate mai schiavi di qualcuno!

Il principe della coscienza

Vi racconto una storiella per chiarire questo punto.

Una volta, dopo la morte del re di Darapur, venne incoronato il principe suo figlio. Essendo molto giovane, il nuovo re fu assalito da molti dubbi: "A chi dovrei credere? Da chi dovrei prendere consigli?". Così, fra molte domande, continuava a pensare quale fosse i modo migliore di amministrare il regno. "Io non sono capace di capire chi è buono e chi è cattivo, chi agisce bene o chi in maniera sbagliata. Mio padre, mio nonno e il bisnonno, erano degli abilissimi sovrani. Io ne ho una grande stima e rispetto; anche i sudditi li rispettano, ma chi sono io per essere rispettato?" E continuava a preoccuparsi in quel modo.

Un giorno, mentre era seduto a palazzo, notando che tutta la gente s’incamminava lungo la strada maestra, chiese: "Dove sta andando tutta quella folla?" Il ministro rispose: "Sire, una grande anima abita da quelle parti, e tutta la gente sta andando ad ascoltare il suo discorso; egli dà insegnamenti spirituali molto elevati e si dice possa togliere ogni dubbio riguardo qualunque cosa. Infatti, molta gente ricorre a lui proprio per sciogliere i propri dubbi".

Il principe pensò: "Io sono un santommaso: non credo finché non vedo". Così, in incognito, si unì alla gente per andare a vedere il grande santo; si sedette mescolandosi alla folla e ascoltò attentamente i sacri insegnamenti, da cui trasse una grande gioia.

Alla fine dell’incontro, tutta la gente rientrò nelle proprie case, mentre il principe rimase lì. Quando il santo cercò di alzarsi, il suo scialle s’impigliò e si strappò. Prese seduta stante ago e filo, ma ebbe delle difficoltà nell’infilare l’ago.

Il re, mantenendo l’anonimato, disse porgendogli il suo scialle: "Swami, è un vecchio scialle quello. Ti prego, accetta quello nuovo che ti do io!" Ma il santo rispose: "Non ne voglio uno nuovo. Se davvero vuoi aiutarmi, cerca di infilare il filo nell’ago". Presi in mano ago e filo, il sovrano riuscì nell’intento; poi rese l’ago infilato al santo, il quale si cucì lo scialle.

Questi poi disse: "Ascoltami bene: ogni uomo, in un modo o in un altro, dipende da qualcuno. Ma tu non dipendere da nessuno; dipendi solo da Dio. Rimane un mistero per me capire come la gente preferisca dipendere dagli altri anziché dipendere da Dio! Per quel che mi riguarda, io mi sono ripromesso con determinazione, di non dipendere mai da nessuno. A me non piace aver bisogno dell’aiuto della gente che mi sta intorno, bensì voglio vivere una vita indipendente".

Quelle parole chiarirono ogni dubbio al re. Non dovremmo dipendere da nessuno; dobbiamo invece aver piena fiducia nella nostra coscienza. La fiducia che riponete in voi stessi, vi farà riuscire in tutto. Con essa potrete avere tutto. Poiché Dio è l’origine di ogni cosa.

Il re considerò un grande insegnamento l’esortazione del santo e cominciò a governare senza consultare nessuno, senza chiedere il parere degli altri. Egli mise in pratica ciò che per lui suonava come verità, e così sviluppò la discriminazione per distinguere ciò che è effimero, momentaneo, e ciò che invece è permanente.

Nessuno dipenda da altri. Dipendere è irragionevole.

La pratica insegna

Il santo insegnò anche un altro punto al giovane re: sviluppare la Conoscenza Suprema. "Potresti anche essere un uomo di saggezza – gli disse – ma, se non la metti in pratica, tutta l’esperienza che hai acquisito vale quanto il carico di panni sporchi che un asino porta in groppa." Non siate come quel ciuco! Praticate almeno uno o due delle buone esortazioni che conoscete. L’educazione che non viene messa in pratica è dissacrante.

Perciò, ciascuno si sforzi di praticare almeno uno o due dei princìpi morali appresi. E non solo; spinga anche gli altri a praticare ciò che sanno.

Oggi esistono molte possibilità di studio, si possono ottenere moltissimi diplomi e lauree, ma che valore hanno? In sé non valgono niente! Il valore dei titoli di studio che si ottengono è nullo, in effetti, non servono alla società. Perciò, a che serve ricevere qualcosa che non vale niente? Mettete a disposizione della società la vostra opera, condividete la vostra conoscenza, servite il vostro prossimo!

Il modo migliore di amare Dio è

amarlo in tutti, servirlo in tutti.

Invece voi studiate, vi proponete di abbracciare una professione ideale e, dopo aver ottenuto un diploma, cominciate a compilare domande di lavoro per essere assunti. Molti laureati e diplomati sono a casa a compilar domande di lavoro, e compilano domande su domande, ma la risposta non arriva mai! A che pro una vita del genere?

Datevi da fare in servizi sociali, almeno finché non avrete un lavoro. Se siete a casa a far niente, andate nei villaggi e fate del servizio utile là. Chi serve (kimkara) è più grande di chi è a capo (shankara). Comprendete dunque quant’è importante chi si mette al servizio di altri. A che serve capire la Via della Verità senza seguirla?

Esempi dalle Scritture

Râvana aveva dieci teste. Non che possedesse davvero dieci teste, ma è un modo di dire che simboleggia la sua padronanza delle sei Shâstra e dei quattro Veda. Ogni Shâstra e ogni Veda rappresenta una testa. Egli si sottoponeva a molte penitenze, era altamente istruito, coltissimo; era anche un abilissimo ingegnere. Fu infatti l’inventore del pushpaka.

Râvana edificò anche la città di Lankâ riempiendola di oro. Non c’era niente che egli non sapesse: era infatti esperto in tutti i 64 tipi di scienze. Era esperto e istruito quanto Râma: non c’era niente che Râma sapesse più di lui. Quanto a conoscenza, Râvana e Râma erano uguali. Ma a che cosa gli è servita tutta quella conoscenza? Nonostante Râvana avesse a propria disposizione tutto il sapere contenuto nelle 64 materie di conoscenza, non ha saputo conoscere Dio! Perché?

Perché non aveva controllo sui sensi! Per la sua incapacità di avere controllo sui desideri, portò con sé alla rovina anche tutta la sua stirpe e i suoi sudditi. Incapace di uccidere i suoi desideri, si rese responsabile dell’uccisione di tutto il suo clan; si attirò così una cattiva reputazione: l’intera isola di Lankâ fu ridotta in cenere e con essa tutti i sudditi demoni andarono in rovina. È quanto ci si aspetterebbe da un uomo di tanta sapienza?

Ma, alla fine, Râvana si pentì, e che disse? "Ho imparato tutto ciò che c’era da imparare – disse – ho acquisito tutti i poteri, ho fatto grandi penitenze, ma a che cosa è servito tutto ciò se non ho saputo praticare nemmeno un briciolo del mio sapere?" E consigliò a tutti: "Non permettete a voi stessi di rovinarvi così come ho fatto io. Lankâ era più bella del Paradiso stesso, ma anche là io non ero felice. Sapete perché?

Perché ero schiavo del desiderio! Questa è stata la causa persino della morte di mio figlio. Noi siamo tre fratelli: un fratello simboleggia la qualità tamasica, io simboleggio la qualità ragiasica, mentre mio fratello Vibhîshana simboleggia la qualità sattvica".

Ogni uomo possiede questi tre attributi ed essi originano dalla mente. Solo Vibhîshana rappresenta la natura sattvica e ottenne la Grazia di Râma! Infatti egli, senza paura, si rifugiò in Râma; Kumbakarna, che trascorse la vita principalmente a dormire e, quand’era sveglio, a mangiare, simboleggia la natura tamasica. Ma Râvana fu la causa della rovina totale di tutti a causa della natura ragiasica.

L’uomo non dovrebbe lasciare spazio agli attributi ragiasici e tamasici. Che cosa dovremmo fare, al fine di essere sicuri di averli trasformati? Râvana era un costante adoratore di Îshvara (Shiva), ma questo dimostra che non è sufficiente pensare a Dio: bisogna anche mettere in pratica le Sue parole! Dovete ripetervi: "Dio risiede nel mio cuore: come posso pensare di compiere cattive azioni e scappare da Lui?" In effetti, chi si rende conto che Dio è all’interno, compie sempre azioni sacre. Le azioni meschine non dovrebbero mai entrare nella nostra vita; dovremmo eliminare tutte le cattive abitudini: solo a queste condizioni tutta la nostra conoscenza ci potrà essere d’aiuto.

Râvana, alla fine, realizzò la verità di questo principio. Quando Râvana stava per morire, Râma mandò a chiamare Lakshmana e gli disse: "Ascolta, Lakshmana. Râvana, colui che possiede tutte le conoscenze, colui che intraprese grandi penitenze, colui che è esperto in ogni cosa, sta per morire. Va da lui e ascolta ciò che dice durante i suoi ultimi momenti di vita".

In obbedienza alla Volontà di Râma, suo fratello, Lakshmana si avvicinò a Râvana e tese attentamente l’orecchio a ciò che diceva: "Durante la mia vita, ho esaudito ogni desiderio, eccetto tre. In vita ho fatto di tutto tranne tre buone azioni che mi ero ripromesso: volevo convertire l’acqua salata dell’oceano, che circonda la mia Lankâ, in acqua dolce. Poi, volevo far provare la gioia e il conforto del Paradiso a coloro che soffrono le pene dell’inferno. Terzo, volevo costruire una scala che unisse l’Inferno al Paradiso. Ma non sono riuscito a compiere questi tre nobili compiti, perché continuavo a posporli impegnato com’ero a compiere cattive azioni".

Lakshmana riferì a Râma ciò che aveva sentito dire da Râvana, e Râma disse sorridendo: "Lakshmana, a che serve preoccuparsi e rattristarsi in fin di vita? Nel momento in cui voleva far del bene, avrebbe dovuto iniziare ad agire immediatamente. A che serve sentirsi tristi nell’istante in cui si sta agonizzando, se non si è fatto del bene? Ci sono due categorie di persone fra gli uomini: la prima ha la tendenza ad avere dubbi prima di compiere un’azione (purvatapam); la seconda ha la tendenza ad avere rimorsi dopo aver agito (pashchatapam). È inutile pentirsi dopo aver agito; è bene pensarci prima!

Arjuna appartiene alla prima categoria, poiché si sentì prostrato da numerosi dubbi ancor prima di agire. Tutti i carri erano pronti sul campo di battaglia, quando la tristezza s’impossessò di Arjuna: "Krishna! Krishna! Non voglio questa guerra! Come posso sopportare la vista della sofferenza nell’uccidere i miei parenti? Le mie certezze vacillano, le mie gambe tremano: io non voglio stare qui, torniamo a casa! Che divertimento può esserci nell’uccidere tutta questa gente? Io non voglio. Non sono pronto a godere dei frutti di questa battaglia; come potrei vivere dopo aver ucciso tutta questa gente? Si può forse trovare del veleno che sappia di nettare? Puoi raccogliere gelsomini dal fuoco?

(Swami prosegue con una frase lunga che Anil Kumar non riesce a seguire. Risa e applausi)

… Nessun compromesso. Ne ho abbastanza di questa situazione: torniamo a casa! I Kaurava sono persone meschine e le parole buone che diremo loro, non li convinceranno: perché dovrei lottare contro di essi ed essere responsabile del sangue versato? Preferisco digiunare, piuttosto!"

Râvana era altamente istruito, ma che tipo di morte dovette affrontare, alla fine? Infatti, non mise in pratica una sola cosa di tutto ciò che conosceva. Per questo Vâlmîki dichiarò: "Râvana è meschino; Râma è nobile!"

Che differenza c’è tra i due? Râma sacrificò ogni cosa e divenne un ideale per tutti. Quando venne il momento della sua incoronazione, Râma non ci pensò due volte prima di lasciare tutto e trascorrere il suo tempo in esilio; lo stato d’animo beatifico che provava un attimo prima dell’incoronazione rimase immutato anche quando gli venne annunciato l’esilio. Questo è lo spirito di equanimità sia nella gioia che nel dolore.

Tali sono le anime nobili! Râma mise in pratica tutto ciò che aveva imparato: aveva assimilato, fatta propria l’essenza della Conoscenza, mentre Râvana non riuscì a digerire ciò che aveva imparato; perciò, soffrì di "indigestione" e ne morì. Non c’è niente di speciale nel mangiare: ciò che conta però è riuscire a digerire. Non c’è niente di straordinario nell’imparare: conta applicare. Bisogna mettere subito in pratica il bene in cui crediamo.

Questo è ciò che gli studenti dovrebbero fare. Studenti, voi siete coloro che percorreranno in avvenire quella Via Reale che gli insegnanti stanno tracciando oggi. Mantenete fisso lo sguardo sul futuro; solo allora l’istruzione ricevuta sarà rispettata e tenuta nella giusta considerazione.

Se sprecate il vostro tempo accumulando nozioni, senza aver fede in Dio, buttate via la vostra vita. Non esiste penitenza, né preghiera, né litania che vi faccia progredire: dovete servire la società, il vostro prossimo, la buona gente: allora comprenderete il vero senso della vostra istruzione.

Onorare la Verità

Non dovreste sprecare tempo. Tutto passa in un momento: la vita dura un amen, il mondo intero ha un tempo limitato, "la giovinezza e i soldi sono temporanei", come dicono le Scritture: Asthiram yauvanam dhanam dharmam kîrti dvayan sthiram.

Râma diceva che "la Verità e buon nome sono permanenti ed eterne!" Dovremmo capire chiaramente questi princìpi-gemelli: Verità e reputazione. La Verità è Dio; non esiste un Dio che sia altro dalla Verità. La Verità è immutabile in tutte e tre le dimensioni del tempo – passato, presente e futuro – mentre i "fatti" sono transitori e mutevoli.

Qual è la differenza tra fatti e Verità? Quando indossate un abito, quello è un fatto che riguarda quel giorno, perché il giorno dopo, ne potreste indossare un altro. L’abito che indossate oggi non è la verità (in senso assoluto), ma è un "fatto", un episodio transitorio, così come lo è l’abito diverso che indosserete domani. La verità, nella Bhagavad Gîtâ, viene definita ritam, cioè "giusta", "venerabile", "veritiera".

Tanto sacra è la verità! La verità non riporta ciò che viene visto, udito, ciò che è accaduto: quella è solo verità fisica, materiale, contingente, e non è verità nel senso stretto e assoluto del termine; è solamente una verità esteriore (pravritti satyam). La verità "giusta", ritam (nivritti satyam), invece, è immutabile in tutti e tre i periodi di tempo: passato, presente e futuro.

Perciò, studenti, fate che le parole che pronunciate oggi, siano sacre come sacro è ciò ch’è eterno. Potreste avere dei dubbi circa la vostra realizzazione del Divino, ma, quando parlate, parlate in modo sacro. In che modo?

Non potete sempre far gentilezze,

ma potete sempre parlare gentilmente.

È sufficiente. Cercate di parlare dolcemente, gentilmente, in maniera gradevole e amabile. Io ripeto sempre agli studenti:

Parlate meno

e lavorate di più.

Applicatevi bene al vostro lavoro: chi chiacchiera non può lavorare, mentre chi lavora non ha tempo di chiacchierare. Non si possono fare le due cose insieme. Se parlerete di meno, avrete più memoria, e non solo quella: crescerà in voi l’Energia Spirituale. Con il potere mnemonico aumenterà anche il potere atmico.

Qual è infatti la ragione per cui non ricordate tutto ciò che leggete? Continuando a parlare, dimenticate ciò che avete letto; dovete invece tenere a mente, ricapitolare ciò che avete letto e poi metterlo in pratica.

Ecco tre cose essenziali: a) ascolto delle letture (shravanam); b) ricapitolazione e riflessione (mananam); c) assimilazione nella pratica (nididhyâsanam).

La lettura può essere paragonata all’atto di preparare del cibo; la memorizzazione o la ricapitolazione è come servire le pietanze che sono state cucinate; l’assimilazione (e contemplazione) nella pratica equivale all’atto di mangiare. Perciò: il cibo preparato in cucina dev’essere servito in sala da pranzo e poi mangiato. Dovete cucinare, servire e mangiare; queste tre cose devono andare insieme.

Solo a queste condizioni avrete soddisfazione e forza nel corpo fisico. Se volete che la vita vi dia soddisfazione, dovete leggere, poi riepilogare ed infine praticare tutto quello che avete memorizzato. Senza la pratica, lo studio è inutile.

Oggi si possono acquisire molte scienze dai libri, ma è un tipo di conoscenza superficiale; non è di alcuna utilità se non viene rimpiazzata dalla conoscenza pratica. Cercate di passare dalla conoscenza teorica a quella pratica, attuando almeno uno o due valori morali.

Incarnazioni dell’Amore, Studenti e insegnanti,

affinché i vostri studenti diventino dei cittadini ideali per la società, dovreste, voi insegnanti per primi, essere degli esempi ideali. Il futuro è nelle mani degli studenti di oggi, che dovranno liberare, emancipare la nazione. Come portare questa trasformazione in loro?

Fate in modo che si verifichi innanzitutto una trasformazione in voi: solo allora potrete cercare di portare trasformazione negli altri. Se fumate, non avete il diritto di ordinare ai vostri studenti di non fumare. Vi ascolterebbero? No! Il ragazzo vi risponderà: "Se fuma lei, perché non posso farlo anch’io?" Gli studenti d’oggi vi stanno a guardare e vi mettono in discussione; perciò, fate in modo di non avere dei caratteri discutibili.

E non basta: anche il vostro comportamento dev’essere appropriato, perché, se la vostra condotta sarà impeccabile, i vostri alunni seguiranno automaticamente il vostro esempio. In questo modo sarete dei buoni insegnanti, nel senso vero e proprio del termine.

Gli insegnanti dovrebbero avere delle ottime abitudini: usare sempre parole dolci e mai essere duri; parlare agli studenti amabilmente, spronandoli e facendo loro coraggio. In questo modo preparerete dei buoni cittadini del domani.

Più grande del Paradiso

Studenti, voi dovreste sbocciare come cittadini ideali nella società. Non spasimate per voler vivere in città. Vivete al vostro villaggio, prestando aiuto e incrementandone lo sviluppo; è nei villaggi che è rimasta e si trova ancora l’antica cultura di Bharata. E vivendo là, dovreste fare in modo che tale cultura si conservi intatta. Purtroppo gli studenti moderni oggigiorno abbandonano i loro villaggi per correre verso l’abbaglio dei grandi centri urbani.

Ma che cosa andate a fare in città? Là finite per condurre una vita piena di vizi e di cattive abitudini! Nelle città non c’è il timore del peccato, non c’è traccia di amore per Dio! Come pensate di cambiare la società se non avete paura del peccato e siete privi dell’amore di Dio? Con il timore del peccato nasce automaticamente l’amore verso Dio, e con l’amore di Dio arriva anche la paura di offenderLo col peccato. Per prima cosa, dunque, sviluppate l’amore verso Dio. Con esso potrete realizzare facilmente qualsiasi compito.

Tutti voi sapete bene che Winston Churchill fu Primo Ministro della Gran Bretagna. Arruolatosi dapprima nell’esercito, realizzò con gran successo molte difficili imprese. Quando chiedeva alla gente di arruolarsi, gli veniva risposto: "Ci vuoi forse ammazzare? Vuoi vederci morti!" Ma egli rispondeva che la patria era più importante e che lo sviluppo della nazione doveva essere il loro primo obbiettivo. Janani janma bhûmishcha svargadapi garyasi: "La Madrepatria vale più del Paradiso stesso".

Anche John Kennedy, il Presidente americano, si era prima arruolato nell’esercito e, come lui, tanti altri capi di governo, fra i quali il leader politico russo. Molti grandi servirono nell’esercito e lottarono per la salvezza delle loro nazioni. Quando si lavora per il progresso della società, non è importante se viene affidato un incarico piccolo o un grande compito. Voi date importanza alla quantità, mentre invece ciò che conta è la qualità.

A che serve la quantità? Molte sono le persone importanti che governano, ma che cosa fanno? Impoveriscono la nazione! Sarebbe meglio servire la società, piuttosto che portare verso l’impoverimento progressivo la nazione. "La Madreterra è più del Paradiso stesso": dobbiamo far rispettare, lavorare per la sicurezza e la salvezza di questa nazione!

Dopo la morte di Râvana, Vibhîshana andò a prostrarsi ai Piedi di Râma: "Swami, io non voglio essere re. L’unica cosa che desidero è che mio fratello perda le sue cattive inclinazioni. Tu sei il Re di tutto: Tu devi diventare Re da Lankâ!" Vennero tutti i râkshasa: erano i demoni che volevano Râma sul trono di Lankâ.

Così la pensava anche Lakshmana, il quale disse a Râma: "Fratello mio, ad Ayodhyâ c’è già Bharata che regna; perciò, anche se Tu ritornassi là, forse non saresti re. È meglio che Tu rimanga a Lankâ e diventi re qui, convertendo tutti i demoni. Qui c’è oro dappertutto! Vediamo magnifiche case d’oro splendere lungo ogni strada e brillare meravigliosamente. Dov’è possibile trovare un posto tanto bello? Come sarei felice se decidessi di regnare a Lankâ, un’isola piena d’oro e di case dorate!"

Râma rispose: "Caro Lakshmana, che sono questi tuoi desideri tanto ignobili e queste meschine ambizioni? Tua madre è sempre tua madre: se anche fosse brutta, non puoi chiamare le altre donne "mamma" solo perché son belle! Mia madre può essere brutta, ma resta pur sempre mia madre. La mia nazione è povera, ma è Mia Madre! Lankâ potrà anche essere piena d’oro, ma Io non la voglio! Non m’interessa quest’oro. Ebbene, sì: la Mia nazione è la Mia Madre Terra".

Questo è il tipo di fede che dovrebbe animare ciascuno verso la propria nazione. Purtroppo, invece, tra gli studenti manca questo senso della nazionalità, non c’è senso patrio. Dobbiamo invece sentirci parte della nostra Madrepatria. Gli insegnanti devono infondere negli studenti un tale senso patrio: "Questa è la mia India, questa è la mia madrelingua, questa è la mia madreterra. Questo luogo mi è sacro. Qualcuno oserebbe sostenere il contrario?" Dovreste affermare con tutto il cuore che l’India è la vostra Madreterra, e andarne fieri!

Le nazioni straniere vantano ricchezze e benessere, e gli studenti moderni non hanno il sacro senso patriottico, al punto che, non appena ottenuta una laurea, intascato il titolo d’ingegnere o di medico specialista, corrono a fare il passaporto e il visto per l’estero. Ma quale passaporto e quale visto, se questi sono dentro di voi? Esportazione e importazione sono dentro di voi! In che cosa dovrebbe consistere l’esportazione? Voi dovreste esportare fuori dal cuore i sacri sentimenti e importare dentro di voi tutto ciò che di buono vi giunge da fuori.

Tutto il bene che è all’interno del vostro cuore dovrebbe essere portato all’esterno e tutto il bene che si trova all’esterno dovrebbe essere riposto all’interno. Non c’è bisogno del passaporto per far questo! Di quale passaporto avete bisogno per condividere con gli altri tutto il bene che è in voi? Questo è il vero significato di "importazione".

Dovete essere consapevoli di una grande verità, che ogni cosa è già dentro di voi. Non avete bisogno di spasimare e lottare per le cose, come non avete nemmeno bisogno di supplicare Dio per ottenere qualcosa, perché tutti voi siete Scintille del Divino. Voi possedete qualità e poteri divini. Come fareste sennò a studiare senza l’Energia di Dio? Per assicurarvi dei voti alti, studiate duramente; ma è forse grazie a qualche potere materiale? No! È solo grazie al Potere che è in voi.

Dentro di voi c’è tutto.

Tutto ha origine dall’interno. Voi credete che le vostre forze siano fisiche, dovute a fattori esterni, materiali, ma vi sbagliate! È tutto un riflesso dell’Essere Interiore. Conta ciò che nasce da dentro: l’esterno non è importante.

La più grande ricchezza

Incarnazioni dell’Amore,

in voi c’è l’Amore, dentro di voi c’è la Pace: voi siete l’Incarnazione della Pace, siete l’Incarnazione della Verità, siete l’Incarnazione dell’Amore, siete l’Incarnazione della Beatitudine! Voi siete l’Incarnazione di Dio! Abbiate ferma fede in questa verità: se vivrete le vostre vite nella piena fede in Dio, non dovrete mai affrontare difficoltà.

La vita è una sfida: affrontala.

La vita è Amore: gioiscine.

La vita è Energia: possiedila.

Che cosa fate con l’energia? L’energia è Dio. Dovete conoscere la vostra energia, esserne abili padroni; quando saprete destreggiarvi con l’uso della vostra energia, ci sarà equilibrio perfetto in qualunque cosa facciate.

Oggigiorno, tra gli studenti, c’è carenza d’equilibrio: non sanno essere ponderati. E sapete perché? Perché essi invece di essere "skill" (abili, esperti), eliminano la ‘s’ iniziale e finiscono per "kill" (uccidere) la Conoscenza! Non diventiamo assassini della Conoscenza, ma diventiamone esperti. In questo modo creeremo l’equilibrio perfetto; quando c’è equilibrio, ci sono Intuizione e Visione interiore. La mancanza di queste due vi ha portato a sviluppare la visione esteriore. Voi vedete solo fuori, fuori, fuori! Ma a che serve guardar fuori se tutto sta dentro? Riportate ogni cosa al suo giusto posto.

Studenti, avendo imparato tutte queste buone qualità, andate nei quartieri delle vostre zone, andate dai vostri vicini, unite le vostre forze alle loro e offrite loro l’occasione per eliminare le cattive tendenze, santificandoli. Non c’è ricchezza maggiore dell’unità; incrementata e incoraggiata dalla pratica, essa dovrebbe costituire lo scopo principale della vostra vita. Cerchiamo l’unione, ripetendo continuamente a noi stessi "Io e voi siamo una sola cosa". Se tutti i 950 milioni d’Indiani sviluppassero questo spirito d’unione, vi rendereste conto da soli di quali risultati si raggiungerebbero!

Sì, amate il vostro fratello di sangue, ma cercate di considerate tutti come vostri fratelli. A volte, con i vostri fratelli litigate e vi picchiate; ma dopo ritornate a parlarvi con tutto l’amore e l’affetto di prima. Vostra madre vi picchia quando commettete un errore, ma poi vi accarezza con tutto l’amore e la tenerezza; perché le busse d’una mamma sono busse d’amore! Che?, direte. Sì, lei vi picchia per il vostro bene, in modo da far solo rumore, e questo rumore è amore.

(Swami batte le mani per imitare il rumore di uno schiaffo. Risate).

Vedete? è solo rumore; tutto qui! La mamma usa le mani mettendole in modo tale da produrre solo un gran rumore e nulla più; perché deve farsi sentire, ma senza provocar dolore.

Così anche voi, se qualcuno commette un errore, punitelo. Anche Dio fa lo stesso: la Sua punizione è solo protezione. Il dottore prende il bisturi, apre l’addome e interviene per asportare l’ulcera. In questo caso accuserete il dottore di crudeltà? È giusto o sbagliato ciò che egli fa? È vero che sta usando una lama, ma lo fa per aiutarvi. Allo stesso modo, Dio vi punisce solo per amore!

L’amore vive solo per donare e perdonare.

L’egoismo vive solo per prendere e disapprendere.

Perciò non dovrebbe esserci mai posto per l’egoismo; fate tutto con amore, e andrà tutto bene.

Dio è Amore.

Vivete nell’Amore.

Parlate con amore ai vostri amici e aiutateli nel momento del bisogno.

Ricordi autobiografici

Adesso vi racconterò degli aneddoti personali. Quando mi trovato a Uravakonda, nel corpo di un alunno di prima elementare, bisognava passare un esame chiamato E.S.L.C. Eravamo tre bambini seduti nello stesso banco: al centro c’ero io, gli altri due stavano seduti, uno alla mia destra e l’altro alla mia sinistra. Si chiamavano Ramesh e Paresh, ed erano dei gran tontoloni! (Risate)

Avvicinandosi il tempo dell’esame, cominciarono a corrermi dietro, implorandomi: "Sathya, noi non riusciamo a studiare senza di te: in un modo o nell’altro devi trovare il modo di aiutarci all’esame". Poiché Io non direi mai "No" a qualcuno che Mi chiedesse qualcosa, decisi di aiutarli. Così risposi loro: "Va bene. Lo farò".

Il giorno prima dell’esame rivelai loro le sei domande che sarebbero state poste all’esame, accompagnate dalle relative risposte. Ci presentammo all’esame. L’ESLC era un esame pubblico: come numero di registrazione avevo il 6; Suresh e Ramesh avevano, l’uno il 60, l’altro il 600.

Potete farvi da soli un’idea di quanto i nostri posti – 6, 60 e 600 – si trovassero distanti fra loro; di conseguenza, anche volendo, non era possibile nemmeno copiare. Impossibile! I ragazzi a quel punto si diedero per vinti: "Noi ci ritiriamo!", dissero. Ma io li esortai: "No. Voi dovete presentarvi all’esame, qualunque sia il risultato che ne verrà! Non abbattetevi, non dovete scappare dopo un anno intero di studio; se lo fate, commettete un grosso errore. Abbiate un’incrollabile fede in Me: ci penserò Io". E feci loro questa promessa.

Non c’è niente di male se, per una buona causa, si fa ciò che normalmente si suppone non debba essere fatto.

Il tempo concesso per l’esame era di due ore, ma io risposi a tutte le domande in soli cinque minuti. Poiché i fogli dell’esame erano forniti dalla commissione, quand’ebbi finito di rispondere a tutte le domande, chiesi all’assistente di poter avere altri fogli.

Appena avuti, riscrissi un’altra volta tutte le risposte, imitando la grafia di Ramesh. In fondo al foglio firmai: Ramesh. Poi chiesi altri fogli, trascrissi nuovamente domande e risposte, questa volta con la grafia di Suresh, e poi firmai con il suo nome: Suresh.

I loro fogli, dunque, li avevo io; avevo già precedentemente avvertito i due bambini di non alzarsi dal banco finché non mi fossi alzato io. Scaduto il tempo, al termine delle due ore, suonò la campanella e gli esaminatori chiesero: "Fogli, fogli, fogli, fogli…!" (Risate).

Si alzarono tutti e anch’io andai a riporre tutti i tre fogli sulla cattedra. Gli altri due bambini si alzarono anch’essi e lasciarono l’aula. Non ci fu nessuna obbiezione da parte di nessuno, nessun ostacolo. I risultati vennero annunciati dopo dieci giorni: tutti e tre promossi alla prima media! (Scroscio di applausi)

I maestri, stupiti, si domandarono se avessero copiato, ma era un sospetto che non prendevano in considerazione dati i posti così distanti che avevano loro destinato. Allora lo chiesero direttamente a Ramesh e Suresh: "Come avete fatto a rispondere così bene alle domande?". Ed essi: "Abbiamo risposto, ma ora non ricordiamo che cosa abbiamo scritto!" (Tutti ridono, Swami compreso)

Non c’era motivo di sospettarli. Da me non potevano aver copiato, lontani com’erano; i tre compiti avevano tre grafie diverse, ognuno con quella propria dell’esaminando; perciò, come avrebbero potuto dubitare di noi? Impossibile.

Ecco che cosa vi dico: Io non vi tradirò mai se avrete piena fede in Me! (Applausi)

C’è un’alta percentuale di gente che rovina sé stessa per mancanza di fede, mentre chi ha fede in Dio non conosce rovina. Milioni di persone si sono perdute perdendo la fede, ma nessuno è mai andato in rovina a causa della fede. La fede non vi distruggerà mai! Ci possono essere dei dubbi, degli alti e bassi, ma alla fine la vittoria arriderà.

Dopo questo episodio, feci ritorno a Puttaparthi. Perché? Molti cambiamenti si erano verificati a Uravakonda; per questa ragione, smisi di frequentare la scuola. Allora tutti gli insegnanti e i ragazzi incominciarono a venirmi a trovare là dove abitavo e io donavo loro ciò che a loro piaceva di più. La cosa non fu tollerata dai proprietari della casa, i quali scrissero un telegramma ai miei genitori: "È meglio che vi riprendiate vostro figlio".

Presi la corriera per Puttaparthi; ma, quando vi salii, trovai tutti i ragazzi che vi erano saliti prima di me! Io dissi loro: "Non potete seguirmi a Puttaparthi". Infatti, la corriera sarebbe passata per Penukonda e Dharmavaram, dove non c’erano strade appropriate. Dov’erano le strade sessant’anni fa? Perciò dissi loro di non seguirmi.

Quando ancora frequentavo la scuola, c’era una predella dalla quale ogni mattina dirigevo le preghiere; intonavo un canto per il bene della scuola, richiamandomi ai princìpi dell’unità e della pace e sottolineando l’unione di tutte le religioni. (Swami recita la preghiera in telugu la quale, però, non viene tradotta in inglese dal traduttore). Tutti, insegnanti compresi, pregavano con gioia insieme a me. Quando lasciai la scuola e ritornai a Puttaparthi, non ci fu più nessuno che dirigesse le preghiere.

A uno scolaro mussulmano, Abdul Gaffur, che era intonato e aveva una bella voce, venne chiesto di sostituirmi; ma, appena salì sulla predella, iniziò a singhiozzare e tutti piansero con lui dicendo: "Questa mattina non abbiam voglia di pregare!"

Un amore più grande della vita

Intanto, quando partii per Puttaparthi, Ramesh e Suresh non poterono sopportare la separazione da Me. Non ci si dovrebbe comportare così, ma Ramesh, invece, si mise ad urlare: "Raju, Raju, Raju, Raju, ci hai lasciato, ci hai lasciato! Senza di Te non posso vivere". Cadde in un pozzo e morì.

L’altro ragazzo pure continuava a ripetere incessantemente: "O Raju, Raju, Raju, Raju", e impazzì. Fu ricoverato all’ospedale psichiatrico di Bangalore. Suo padre venne da me e mi pregò: "Swami, è il mio unico figlio, ed è tuo compagno di scuola: dagli il darshan solo per un’altra volta!" Così, andai a Bangalore e lo vidi; il ragazzo stava ancora gridando: "Raju, Raju, Raju, Raju,…" Gli dissi: "Suresh, Raju è qui. GuardaMi". Sentendo così, alzò la testa, Mi guardò per l’ultima volta e poi chiuse gli occhi per sempre. Ramesh e Suresh son tornati come Jack e Jill! (Applausi)

Nel Patha Mandir c’erano questi due cuccioli, Jack e Jill: uno era abituato a dormire ai miei piedi e l’altro vicino alla mia testa. Ho dato Io quei nomi a loro. Non dormivano mai la notte; abbaiavano a chiunque vedessero passare. Stavano sempre con me e sono cresciuti in Mia Compagnia.

Un giorno, venne qui la regina di Mysore; era venuta in macchina fino a Karnatakapalli, per poi fare a piedi l’ultimo tratto di strada. Venne al Patha Mandir. Terminata la cena, l’autista della regina si stava preparando a tornare a Karnatakapalli. Io dissi a Jack: "Jack, accompagnalo e mostragli la strada". Così Jack s’incamminò davanti all’autista, il quale rimase sorpreso, chiedendosi come potesse un cane mostrargli la via.

Gli risposi: "Non è un cane (dog) che ti sta mostrando la via, ma Dio (God) che sta dentro di lui. Dog è quello che vedi fuori, God è quello che c’è dentro". (Applausi). Tanto intensa fu la loro fede in Swami, che la conservarono persino dopo la loro morte!

La mattina seguente, l’autista salì in macchina per avviarla, dimenticandosi che Jack stava dormendo accoccolato sotto. La macchina partì, e passò con una ruota sulla la schiena del cane, spezzandogli la spina dorsale. Jack si mise a urlare dal dolore e riuscì a trascinarsi lungo il letto del fiume.

Là, presso il Chitravati c’era un lavandaio di nome Subbanna, persona rispettabile, il quale venne di corsa da me dicendomi: "Swami, Jack sta venendo qui piangendo". Uscii e mi avvicinai al cane: piangeva disperatamente e mi venne vicino, vicino, sempre più vicino. Quando arrivò da Me, si lasciò andare ai Miei Piedi ed esalò l’ultimo respiro.

Dopo tre giorni, morì anche Jill. La pianta di tulsi che vedete dietro al vecchio Mandir, è la tomba di questi due cani: Jack e Jill, che prima furono Ramesh e Suresh, i miei compagni di classe coi quali condividevo lo stesso banco.

Swami vuol solo dare

Ramesh e Suresh furono due bambini dai sentimenti molto nobili. Un giorno venne l’insegnante di ginnastica, che disse: "Dobbiamo istituire un gruppo di Boy Scout". Per poter fare questo avevamo bisogno della divisa. A dirvi il vero, io non possedevo nemmeno un centesimo! Queste erano le mie condizioni allora. Non volevo chiedere i soldi a casa, perché anche i miei famigliari erano molto poveri. Se a quell’epoca qualcuno possedeva anche solo dieci rupie, poteva ritenersi davvero ricco; e se ne possedeva cento, era un milionario!

Il maestro di ginnastica ci disse che la divisa consisteva nei calzoncini e camicia color cachi, una cintura, un fischietto, un paio di scarponi e una piccozza. Da dove avrei potuto prendere tutte queste cose? In quel periodo mi trovavo a Kamalapur. Sapendo che non avrei mai potuto permettermi la divisa, Ramesh disse a suo padre: "Papà, adoro il colore cachi"; e chiese di avere due divise. Poi impacchettò una camicia, un paio di calzoncini e tutto il resto della divisa. Mi scrisse un biglietto: "Raju, ti prego: accettalo. Se non lo accetterai, mi toglierò la vita. Tu sei la mia stessa vita; devi accettare. Questo è il modo con cui deve saldarsi la nostra amicizia".

Staccai quel foglio, ne presi un altro e scrissi: "Nell’amicizia non dovrebbe esserci il dare e l’avere. Dovremmo dare e ricevere soltanto amore. L’amicizia non è un baratto materiale; se c’è baratto, non c’è amore. Non accetto". Resi il pacco, e Ramesh se ne rattristò.

All’epoca componevo anche delle poesie eccellenti. È praticamente impossibile tradurre quei bellissimi e originali versi dalla lingua in cui li composi, il telugu, perché sono intraducibili in altre lingue. (Anil Kumar, il traduttore, dopo questa affermazione, si volge verso Swami e lo ringrazia, suscitando risate) In effetti, generalmente io parlo con un linguaggio semplice per facilitare il lavoro del traduttore; ma posso usare anche un linguaggio elevato.

C’era un ragazzo di nome Kotte Subbanna. (Swami corregge Kumar: Non un "ragazzo"; un "commerciante"). …C’era un commerciante di nome Kotte Subbanna. Avendo appena messo sul mercato una nuova medicina chiamata "Bala Bhaskara", mi chiese: "Raju, componi un motivetto pubblicitario per questa medicina, che ne descriva le proprietà e le qualità, in modo che possa vendere bene il prodotto". Così composi questa bellissima canzone:

(Baba canta)

Dorike, dorike Bala Bhaskara bala kulara; randi bala kulara.

Prendete, prendete bambini, Bala Bhaskara è qui.

Venite, bambini, venite.

Kadupu bburamu kalla vapulu

Serve a curare dolori di stomaco

e gonfiori di gambe,

chetimodulu chedukudamundi

dolori alle mani e tutte le malattie

dalla testa ai piedi,

adiagaruka poshelanundi apprutpillha viadhulanundi ajirnaveere cheramulanundi

pesantezza della cattiva digestione:

annitikini ide bhagaunundi.

tutte queste malattie

saranno curate da questa medicina.

Bala kulara, randi bala kulara.

Venite bambini, venite.

(Applausi)

Adiekkada ani adigeranna

Se volete sapere dove si può trovare

adi adigo Kotte Subbanna

eccola là, da Kotte Subbanna

angadinende dorakunandi

è disponibile nel suo negozio.

panditati Gopalacharyula pavanamaina tonicanna.

Questo è il pio tonico del pandit Gopalacharya.



Dopo aver ascoltato la canzone, Subbanna fu felicissimo e mi preparò dei dolci. Grazie a questa pubblicità, la medicina Bala Bhaskara vendette migliaia e migliaia di flaconi. Allora Subbanna mi comprò due paia di calzoncini e due camice. Ma io gli dissi: "Kotta Subbanna, a Tirupati c’è un Dio a cui si fanno molte offerte; io non accetto queste cose. Mi stai pagando per la canzone che ho composto? Non accetto!"

Subbanna si rattristò e si mise a piangere: "Io non riporterò queste cose a casa con me. Se Tu non le vuoi, dalle ai mendicanti". E così feci, poiché, fin dalla mia tenera età, io ho sempre dato, continuo a dare e do solamente, senza mai prendere! (Applausi) Io non tendo mai la mano, se non per chiedere una sola cosa: puro amore!

Miei cari signori, l’amore non è una vostra proprietà, appartiene a Dio; per questo, non faccio che chiedere la restituzione di ciò che Mi appartiene. L’Amore non è vostro: voi state usando in modo improprio qualcosa che vi è stato donato. Ecco perché soffrite. Se volete esser felici, dovete rimettere il vostro amore a Dio.

Quand’ero studente, facevo felici tutti quelli che mi stavano intorno, aiutandoli e sorridendo loro. E voi, che siete studenti di Sai, dovreste fare lo stesso: aiutare e far felice il vostro prossimo. Non importa se si tratta anche di un modesto aiuto; rendete tutti felici. Siate pronti a dispensare gioia a tutti gli altri. Non fate mai soffrire nessuno.

Help ever. Hurt never.

Sempre aiutare. Mai far del male.

Sviluppate questa qualità.

Good-bye: augurio divino

Ci sono anche altre cose sulle quali gli studenti dovrebbero fare attenzione. Alcuni di loro, infatti, si fan fare dal fratello o dalla sorella i compiti loro assegnati dagli insegnanti. Siete voi che li dovete fare, non i vostri fratelli o sorelle! In questo modo state imbrogliando i vostri insegnanti! Non comportatevi così. Sviluppate le buone qualità: a lungo andare, le "good qualities" si trasformeranno in "God qualities".

Durante il regime britannico, ci si rivolgeva ai bambini dicendo "God boy!". più tardi, dovuto al metodo pedagogico "Macaulay", God boy si trasformò in good boy. Successivamente good boy si ridusse a un semplice boy-boy, per poi trasformarsi ancora in good-bye, e alla fine solo in un bye-bye! (Risate) Così God boy è sceso di livello: bye-bye.

Ognuno di voi, invece, dev’essere un God boy, cioè un "ragazzo di Dio", ogni giorno, in qualunque momento, senza mai abbassarsi al livello di bye-bye. Siate dei ragazzi ideali per educazione, condotta e comportamento.

Devo avervi stancato un bel po’, parlando così tanto e rubandovi tanto tempo! Adesso tornerete a Muddenahalli e ad Alike. Fate il vostro dovere e compite con successo ogni vostro sforzo. A Muddenahalli ci sono stato alcune volte, ma son passati ormai dodici anni dall’ultima volta che visitai Alike. Adesso sono certo che ci tornerò. (Applausi) E non da solo: porterò con me anche i ragazzi dei miei college. Partirò da Puttaparthi e arriverò direttamente a Mangalore. Da Puttaparthi, direttamente a Mangalore. Ad Alike, vi renderò tutti molto felici. Siate sempre felici, felici, felici!

(Swami conclude cantando due bhajan: "Hari bhajana bina sukha shanti nahi" e "Vahe guru vahe guru vahe guru ji bolo")



Prashânti Nilayam, 11 Settembre 1998.

In occasione del XX Anniversario delle Scuole

Sri Sathya Sai di Alike e Muddenahalli (India)

Versione integrale.