DISCORSO DIVINO

L'Amore è il profumo di Dio

29 aprile 1998

Dall’alba al tramonto,

dal risveglio fino a quando andiamo a dormire,

lottiamo duramente per assicurarci la sussistenza

e passiamo tutto il nostro tempo a studiare ed apprendere,

dimenticando completamente Dio.

O uomo, che tipo di felicità hai conquistato?

Poniti sinceramente questa domanda.



A questo mondo, l’uomo si butta in ogni dove per trovare la felicità, benché non giunga sempre a sapere dove procurarsela. La felicità si trova forse negli oggetti del mondo materiale, in un luogo specifico, oppure grazie a un persona particolare? La gioia non si trova né con gli oggetti, né in luoghi particolari, né con l’intervento di altri individui. Poiché la gioia è onnipresente, dove la cercate? Dio è immanente e dimora allo stato latente in tutte le creature, in tutti gli esseri viventi, senza eccezioni, e in ogni luogo. Questa verità è accuratamente spiegata e analizzata nella Bhagavad Gîtâ.

Lo scienziato contemporaneo Albert Einstein applicò a questa onnipresenza divina il neologismo “psicotronico”. Egli dichiarò: “Come potrei chiamare il fenomeno dell’onnipresenza divina? Psicotronico mi sembra la parola giusta”. Dio dimora dappertutto sotto una forma nascosta, non apparente. Egli è energia cosmica non evidente, ma presente in ogni particella di materia, in ogni oggetto, in ogni luogo e in ognuno di noi.

Noi, però, siamo esseri umani in un corpo piccolo e limitato e pretendiamo di sperimentare Dio sotto la stessa forma; ecco perché siamo incessantemente alla ricerca di Dio. Senza alcun dubbio, la Beatitudine è presente attorno a noi, ma non ha forma; l’amore è presente, ma non ha forma. Come crediamo all’amore, se non ha forma? Come sperimentiamo la beatitudine se essa è senza forma?

L’amore non ha forma, ma la persona attraverso la quale esso si manifesta ha una forma. Guardate questo fiore; voi ne vedete la forma. Benché il suo profumo non sia visibile, potete, tuttavia, sperimentarlo. Agli occhi di chi percepisce il profumo del fiore, il fiore stesso sembra esserne la forma.

Saggi, aspiranti spirituali, yogi, eruditi del passato e tutti quelli che si unirono ricercando la Verità, sperimentarono il profumo del Divino nella loro istintiva ricerca della Forma. Questi saggi, che avevano rinunciato a tutto, erano determinati a conoscere la forma di quella Fragranza. Fecero ricerche nelle foreste, sotto i cespugli e in tutti i luoghi, ma non riuscirono a trovare la fonte di quell’aroma: il Fiore. Alcuni abbandonarono la loro ricerca della Forma a metà del cammino, accontentandosi di percepire unicamente il profumo. Se voi siete decisi a trovare qualche cosa, non abbandonate l’impresa se non dopo aver ottenuto ciò che cercavate.

Se avete un’aspirazione precisa, non mollate finché non avrete ottenuto soddisfazione. Se avete chiesto qualcosa, non andatevene se non dopo averla ricevuta. Se avete elaborato un progetto, non abbandonatelo prima che sia completamente realizzato. La determinazione dei saggi era tale che pensavano che Dio, al limite della pazienza, avrebbe finito per manifestarSi sotto una qualunque forma, oppure avrebbero continuato le loro suppliche fino allo sfinimento.

Retrocedere nelle proprie richieste non è la caratteristica di un vero devoto. Sotto la pressione della loro inflessibile determinazione, cercando in tutte le direzioni, alla fine essi trovarono il Fiore da cui emanava il profumo divino, e poterono sperimentare il soave profumo del Fiore della beatitudine. Gli eruditi dichiararono: “Noi abbiamo visto il Fiore; da esso scaturisce l’aroma divino”.

Alcuni ricercatori, saggi e yogi, affetti da un grosso raffreddore di testa, non poterono sentire l’attraente profumo del Fiore. Gli atei sono coloro che non possono sperimentare la dolce fragranza divina. Ovviamente, essi hanno un naso, ma non sentono nulla a causa di un grosso raffreddore. Hanno la sfortuna di essere insensibili ai profumi.

Quelli che sperimentarono la Divinità si domandarono: “Visto che Dio è presente dappertutto, come possiamo identificarLo? La fragranza divina sgorga da Hridaya, il Cuore spirituale di ciascun individuo, perché tale Cuore è l’autentico Fiore. Il Cuore spirituale è completo e assoluto.



Questa è pienezza, quella è pienezza.

La pienezza nasce dalla sua stessa pienezza;

tutto ciò che esiste è pienezza.(1)



L’insegnamento dei Veda ci dice: “Questo è Pieno, quello è Pieno. Tutto è Pieno. Dal Pieno nasce il Pieno. Dal Pieno, quando il Pieno viene preso, rimane solo il Pieno!” Qual è la natura di questa totalità? Prendete, per esempio, un blocco di jaggery(2) e tagliatene dei pezzi; se ne mettete uno sulla lingua e lo lasciate sciogliere, gusterete tutta la sua dolcezza. Se ne mettete un altro pezzo nel vostro caffè, constaterete che anche il caffè è diventato dolce; se aggiungete un pezzo di questo jaggery al vostro bicchiere d’acqua, sentirete quanto l’acqua sia diventata zuccherina.

Potete tagliare il blocco di jaggery e prenderne tre pezzi; osserverete facilmente che i tre pezzi sono dolci allo stesso modo e che anche il blocco restante ha lo stesso sapore dolce. Benché ci sia una differenza nella quantità, la caratteristica dello zucchero è uniforme in tutte le sue parti. La pienezza si riferisce soltanto alla qualità. “Questa è Pienezza, quella è Pienezza”, in questo caso, può tradursi: “Questo è zuccherato, quello è pure zuccherato, e il sapore zuccherino non proviene che dallo zucchero”.

In Italia c’era un certo Antonio,(3) esperto nella costruzione di violini. Egli, per costruire un solo violino, ci metteva un anno intero. Un giorno, un suo amico volle gentilmente burlarsi di lui e disse: “Mio caro Antonio, se ci metti un anno per costruire un violino, quando avrai il tempo di occuparti di tua moglie e dei tuoi bambini?”

Antonio gli rispose: “Mio caro amico, Dio è perfezione e di conseguenza tutto ciò che facciamo deve necessariamente essere perfetto. Se io facessi le cose con egoismo, non pensando ad altro che al modo di procurare da vivere a me e alla mia famiglia, non arriverei mai ad esprimere la perfezione. Poiché Dio è perfezione, tutto ciò che facciamo dovrebbe avere il marchio della perfezione. Allora Dio ci conferirà la grazia della Sua benedizione”. Fu così che egli rispose al suo amico.

Per quanto banale sia il nostro lavoro, dovremmo compierlo mirando alla perfezione, perché Dio è pienezza, perfezione. Tutte le nostre opere sono votate alla perfezione, poiché noi siamo scintille della Divinità. Ogni scintilla dovrebbe necessariamente rappresentare la totalità del fuoco. È stata la sua totale adesione a questo principio di perfezione che ha reso Antonio conosciuto a livello mondiale.

Per sperimentare il principio della perfezione della Divinità, dovremmo noi stessi ricercare la perfezione in tutte le nostre azioni. La perfezione è unica: in nessun caso può essere frammentaria. Noi, però, frammentiamo l’Unità e la riduciamo a molteplicità. Noi dividiamo; dopo ciò, dobbiamo unire di nuovo.

Guardate il sarto: ha due strumenti, un paio di forbici e un ago. Che ne fa di questi due oggetti? Voi affidate al sarto due metri di stoffa; quei due metri di tessuto sono in un unico pezzo. Che cosa fa il sarto? Prende le misure, poi prende in mano le sue forbici e taglia la stoffa in un certo numero di pezzi, per il collo, le maniche, il corpo della camicia, ecc. In seguito cuce assieme i diversi pezzi per mezzo del suo ago. Dunque, le forbici hanno tagliato a pezzi il tessuto e l’ago ne unisce i pezzi per farne una camicia.

Allo stesso modo, noi suddividiamo Dio, l’Unità, l’Uno, in una moltitudine di Nomi differenti, Râma, Krishna, Gesù, Allah, ecc, ma la devozione e l’amore uniscono tutti questi nomi e li conducono all’Unità. Gesù diceva: “Tutti sono uno; siate equanimi gli uni verso gli altri”. Quando Gesù fu sottoposto a tortura, i Suoi discepoli erano al culmine del dolore. Accusarono il gran sacerdote e tutto il Sinedrio, e criticarono il governatore che aveva emesso l’ordine di arresto di Gesù. Per calmarli e insegnar loro il principio dell’Unità, Gesù pronunciò questa frase: “Tutti sono Uno...”.

Non dovremmo biasimare, accusare, né criticare nessuno. L’Amore non respinge nessuno; l’Amore non si burla di nessuno e non odia nessuno. C’è un mondo fra l’amore del piano fisico e l’Amore spirituale o divino. L’Amore divino è completamente disinteressato, non si aspetta nulla in cambio, non si preoccupa delle lodi e dei biasimi, è senza alcun desiderio e fluisce ininterrottamente. In quest’Amore divino, non troverete ombra di egoismo. Quest’Amore disinteressato è l’Amore di Dio; quest’Amore divino dà e dà ancora, senza mai prendere né ricevere.

Al contrario, l’amore mondano e fisico prende soltanto, senza mai donare; si aspetta sempre qualcosa in cambio; è pieno di aspettative e di egoismo. L’Amore di Dio non si aspetta nulla. È paragonabile solo all’Amore; non potete paragonarlo ad alcun oggetto. Questo Amore incomparabile, questo Prematattva, è unicamente divino. Com’è l’amore del mondo? Lo sapete tutti molto bene.

Un giovane si sposò. Appena qualche giorno dopo la cerimonia di matrimonio, la coppia camminava in un parco. Il giovane scorse una grossa spina lungo il sentiero e, immediatamente, esclamò all’indirizzo della sua giovane sposa: “Sta’ attenta alle spine, sta’ attenta mia cara; fa’ attenzione a dove posi i tuoi piccoli piedi!” In quel momento, la sua sposa era, per lui, la vita stessa. Egli si precipitò per evitarle le spine.

Qualche anno più tardi, in un’altra occasione, la stessa coppia camminava nel parco. Il marito notò ancora una volta delle spine sul sentiero e, senza fretta e con tono mesto, disse alla sua sposa: “Fa’ attenzione a dove cammini!”

Passarono parecchi anni e gli sposi attraversarono lo stesso parco. Nel corso degli anni di matrimonio, il loro amore era svanito a poco a poco. Scorgendo delle spine, il marito, con tono duro, disse a sua moglie: “Fa’ ben attenzione! Se non vedi le spine sul tuo cammino, che cosa ti accadrà?”

A mano a mano che il tempo passa, a mano a mano che scorrono gli anni, l’amore del mondo diminuisce. L’Amore divino, al contrario, resta uguale, costante, sempre identico al di la del tempo, dell’età e delle circostanze. L’Amore Divino è permanente; è più dolce del nettare. Le parole divine sono più dolci del miele, le azioni di Dio sono soavi. In Dio tutto è dolce. Ecco perché le gopika cantavano così:



“O Krishna, Tu sei la Dolcezza stessa

e tutto ciò che Ti riguarda è dolce come il nettare”.



Esse non riuscivano a sopportare la pena che causava loro la separazione da Krishna; si recarono quindi a Brindavan alla ricerca di Krishna. Cammin facendo, domandavano a ogni cespuglio, a ogni fiore: “Avete visto il nostro adorato Krishna?” Non si domandavano se i fiori avessero o no la facoltà di vedere Krishna. Pensavano semplicemente che, poiché Dio è dappertutto, le piante, i rami e i fiori, insomma, tutta la natura dovesse essere in grado di vederLo. Dio può esser visto in ognuno e i fiori dovevano, dunque, essere capaci di vederLo. Però, i segni di riconoscimento di Krishna erano molto diversi.

Swami canta:

Colui che ha la carnagione scura,

Colui i cui occhi sono paragonabili ai fiori di loto,

Lo avete, per caso, visto da queste parti?

Porta in testa una piuma di pavone.

Infatti, Egli ci ha sottratto fino all’ultima nostra cosa.

O cespugli, e voi liane, diteci se Krishna si è nascosto dietro di voi;

ve ne supplichiamo!



In quei giorni, le pastorelle avevano la convinzione di trovare Dio in tutti i luoghi, poiché tutto è divino. Come diceva Antonio Stradivari, Dio è pienezza, completezza, totalità. Dio è assoluta totalità. Voi non potete negarNe l’esistenza in alcuni posti o in alcune persone. Di conseguenza, dovremmo rispettare e amare tutti. Abbiamo fiducia in ciascuno e amiamo tutti gli individui, senza distinzione! Non adoperiamo quest’amore allo scopo di ottenere in cambio qualche frutto o qualche beneficio. Il nostro amore dovrebbe trovare la sua ragion d’essere soltanto nell’amore.

Nel piccolo villaggio di Gokula,(4) fin dal giorno del suo matrimonio, una ragazza andò ad abitare nella casa dei suoceri. La tradizione voleva che ogni sera tutti i paesani si recassero alla residenza delle autorità del villaggio per accendervi la loro lampada ad olio con la lampada di quella dimora. A quel tempo, si recavano alla casa di Yashodâ, perché era la residenza dell’Incarnazione divina, la casa dove Krishna era nato. Egli recava con Sé le otto forme di ricchezza e gli abitanti del villaggio erano convinti che, accendendo le loro lampade dove Dio risiedeva e rappresentava le otto forme di ricchezza, un po’ di essa si riversasse anche a casa loro. Andavano, quindi, ad accendere le loro lampade e poi rientravano nelle loro case.

Tuttavia, questa convinzione non era condivisa dai suoceri della giovane sposa. La maggior parte delle giovani pastorelle erano innamorate di Krishna e i suoceri della giovane sposa temevano che anch’essa si attaccasse a Lui; è per questo che la suocera andò essa stessa alla casa di Yashodâ per accendervi la sua lampada. Però la ragazza ne era estremamente afflitta e piangeva disperatamente perché molti degli abitanti del villaggio vedevano l’adorabile Forma di Krishna e ne parlavano con ammirazione ed estasi. Ella pensava senza sosta al potere infinito di quell’Incarnazione divina e cantava ardentemente le Sue lodi.

Swami canta:

Shabdabrahmamayî - Suono primordiale.

Charâcharamayî - Causa del movimento.

Jyotirmayî - Luce.

Vânmayî - Facoltà del linguaggio.

Nityânandamayî - Beatitudine.

Paratparamayî - Trascendenza.

Mâyâmayî - Creatore d’illusione.

Shrîmayî - Sorgente di ogni prosperità.



Ella cantava queste lodi divine in silenzio nel suo cuore affinché sua suocera non la sentisse. Krishna rispose all’ardente devozione di quella giovane. Un giorno, sua suocera fu colpita da una forte febbre e non poté recarsi alla casa di Yashodâ per accendere la sua lampada. Chiamò la ragazza al suo capezzale e le disse: “Poiché sono immobilizzata a letto a causa di questa febbre, vacci tu stessa, ma solo per oggi!” La giovane sposa era talmente felice che andò di corsa con la sua lampada fino alla casa di Yashodâ.

Yashodâ teneva la sua lampada accesa in un cortile vuoto all’esterno della casa. Non era possibile entrare in casa, perché la porta d’ingresso era chiusa e la ragazza era triste di dover accendere la lampada senza vedere Krishna. Ella si mise a pensare intensamente a Lui e disse fra sé: “È qui il luogo dove Dio Si è incarnato. Ecco la lampada che io sono venuta ad accendere con la Sua”.

Nel suo fervore, aveva perso completamente coscienza e non si accorgeva che, non solo la sua lampada era accesa, ma che anche tutta la sua mano bruciava. Quando anche il suo sari prese fuoco, l’odore del tessuto bruciato attirò l’attenzione di Yashodâ che si precipitò fuori di casa e, vedendo la scena, esclamò: “Sei matta? Non vedi che il tuo sari è in fiamme? E non senti che la tua mano è bruciata? Non hai dormito la notte scorsa?”

La giovane era sorridente e beata, e mormorò che, nella fiamma, aveva visto Krishna. Parecchie pastorelle arrivarono per accendere le loro lampade e dissero a Yashodâ: “Questa ragazza è sorridente perché ha visto il suo dolce Krishna nella fiamma della tua lampada. Vedendo l’adorabile Forma di Krishna, ella ha perso ogni coscienza del corpo”. Ascoltando quel racconto, tutte le pastorelle si misero a danzare e a cantare le lodi del Signore per le strade di Gokula.

Quella giovane sposa si chiamava Suguna. La suocera sentì le pastorelle cantare nelle strade:

Swami canta:

Suguna è venuta qui per due ore;

nella residenza di Nanda, il nostro Gopâla è apparso

nella fiamma della lampada a olio.

Adesso, le dita di Suguna sono bruciate.

Suguna è venuta qui per due ore...



Esse cantavano questo ritornello e la suocera di Suguna lo sentì. Al suo ritorno a casa, la giovane sposa fu accolta da parole dure. Sua suocera inveì contro di lei furibonda: “Oggi, a causa della mia febbre, sono stata costretta a mandarti da Yashodâ. Ci sei andata e sostieni di aver visto Krishna! Come posso tollerare il tuo comportamento?” Ella la picchiò e la insultò, ma, malgrado tutti i maltrattamenti, la giovane Suguna non reagiva e restava in estasi. Le pastorelle intonarono un canto:

Swami canta:

A dispetto delle percosse di sua suocera,

malgrado la radicale opposizione di suo marito,

Suguna non reagì; nulla la spaventò.

Proprio come un disegno è impresso sulla carta,

Krishna è impresso nel suo cuore

e nessuno li può separare.



Le pastorelle gioivano così dello stato di suprema Gioia.



Com’è lo stato d’animo, così è l’esperienza.



Le esperienze sono diversificate e individuali, ma Dio è presente in ognuna di esse. Dio è presente nel cuore di ciascuno totalmente, non parzialmente. Se prendete un piccolo recipiente e lo riempite di acqua dell’oceano, non avrete che la piccola porzione d’acqua che il recipiente può contenere. Se il vostro recipiente è più grande, ne avrete un po’ di più. Se mettete una goccia di quell’acqua sulla vostra lingua, ne gusterete il sapore salato. Che il vostro recipiente pieno d’acqua di mare sia grande o piccolo, l’acqua ha sempre lo stesso sapore salato.

È ciò che si chiama totalità, pienezza. La differenza risiede nella quantità, ma la qualità è sempre identica. In ogni individuo c’è amore in quantità variabile. Quest’amore è Dio. È l’Assoluto. È ciò che la Îshâvâsya Upanishad definisce con le parole: “Questa è pienezza, quella è pienezza...”. L’amore esiste in ogni individuo, in ogni creatura.

Durante la guerra del Mahâbhârata, i Pândava e i Kaurava si trovavano sul campo di battaglia. Il saggio Vyâsa arrivò su un carro con l’intenzione di frenare il massacro, di trovare un compromesso per evitare il conflitto fra i contendenti.

Vyâsa compose numerose epopee e riordinò i Veda in quattro precisi testi, poiché, prima di tale stesura, i Veda erano numerosi. Pensando che l’umanità avesse delle difficoltà a far riferimento a un gran numero di Veda sparsi, li riordinò e li classificò in quattro categorie: Rig-Veda, Yajur-Veda, Sâma-Veda, Atharva-Veda.

Vyâsa aveva acquisito la piena conoscenza del linguaggio degli uccelli e degli insetti. Nel momento in cui arrivò con il suo carro sul campo di battaglia, vide un insetto attraversare il campo a grande velocità. Fermò il carro e chiese all’insetto: “Perché corri così veloce?”

L’insetto gli rispose: “Maharishi, fra qualche minuto appena, Arjuna porterà il suo carro sul campo di battaglia e voi lo vedrete passare più veloce di una freccia che fila verso il bersaglio. Io devo ritornare a casa mia prima ch’egli arrivi, perché mia moglie e i miei figli mi aspettano e ho il dovere di restare sano e salvo”.

Vyâsa rifletté e constatò che non ci sono solo gli uomini ad avere attaccamento verso la propria compagna e i propri piccoli. Lo stesso attaccamento si riscontra nelle bestie e negli insetti. L’uomo non può definire se stesso come l’essere più nobile di tutte le creature viventi se vive come le bestie e gli insetti.



Fra tutte le specie viventi,

la vita umana è la più preziosa.



Non conoscendo il linguaggio degli animali e degli insetti, non ci rendiamo conto che essi vivono i nostri stessi attaccamenti. Poi Vyâsa disse: “Con i piedi, le mani, gli occhi, le orecchie, noi sperimentiamo la Divinità. Nessun luogo è privo della presenza divina, perché Dio è onnipresente”. Il Divino è disinteressato. L’Amore divino è puro dono, mentre l’amore mondano e fisico è profondamente egoista. L’uno è spirituale, l’altro è temporale. L’amore del mondo dovrebbe essere trasformato in amore spirituale.

Oggi Ruchir (il precedente oratore) vi ha raccontato una storia. Un giorno, un imperatore organizzò una gigantesca esposizione e dichiarò che ognuno dei suoi sudditi poteva prendere un oggetto a sua scelta. L’esposizione era quella della creazione in tutta la sua molteplicità e riguardava innumerevoli articoli: dall’insetto fino all’essere umano e anche oltre. Si trattava della mostra del mondo; era colma di oggetti, di creature e di contentezza.

Molta gente la visitò e fece la scoperta delle cose esposte. Ognuno scelse un articolo particolare e lo portò via; di preferenza, la gente sceglieva gli articoli più costosi e manifestò gusti particolari sotto tutti i punti di vista. Una donna, a sua volta, entrò in questo mondo e osservò tutte le cose esposte. Ella pensò: “Tutte queste cose sono meravigliose e particolari; esse sono sacre nei tre mondi. Le foreste, beni sacri, sono così intime e così vicine ai saggi e ai santi. La storia del Signore è talmente sacra! Tutto ciò che è qui è la rappresentazione della volontà divina e dei Suoi divini lîlâ.(5) Dio è il Padrone del mondo e queste sono le Sue azioni”.

Osservò attentamente tutte le cose, tuttavia non portò nulla con sé. L’imperatore se ne accorse e le domandò il perché del suo comportamento. Ella rispose: “Sono nata in questo mondo con le mani vuote e me ne andrò da esso senza portare nulla. Morendo, noi non lasciamo neanche un indirizzo ai nostri cari perché possano comunicare con noi. Ce ne andiamo esattamente come siamo venuti”. Ella tornò ancora a vedere l’esposizione prima di lasciare il suo corpo e se ne andò a mani vuote.

L’imperatore è Dio, il Responsabile di questa mostra. Dio è il Re dei re; Egli insistette perché ella prendesse qualcosa, dicendole: “In questa esposizione del mondo, ti concederò tutto ciò che mi chiederai”. La donna, però, rispose: “O Dio, sei Tu che voglio, poiché se Ti possiedo tutto il resto è mio. Che piacere c’è a desiderare delle insignificanti inezie? Tu sei il Creatore dell’universo; Tu sei il Conservatore dei mondi e quindi, se Tu mi appartieni, attraverso la Tua presenza tutto sarà automaticamente mio”.

Dio si concesse alla donna, che disse: “Questa è la redenzione della mia vita!” Se consacrassimo alla contemplazione di Dio, fosse anche una piccolissima parte del tempo che passiamo a chiacchierare, a preoccuparci della famiglia o del denaro e del cibo, il nostro ultimo viaggio sarebbe molto più comodo. Le porte del palazzo della morte sono molto spesse. Per aprirle dovremmo cantare le lodi divine. Se pensate ai divini Piedi di loto del Signore, anche per un solo momento, ciò è già sufficiente.

“Sì, ho avuto Dio stesso!”, diceva fra sé la donna dell’esposizione. Che cosa rappresenta questa donna? Essa simboleggia Prakriti, la Natura. Infatti, la Natura è femmina. Dato che ognuno di voi ha preso una forma, un vestito di carne, voi siete tutti femmine! Per essere un uomo non è sufficiente mettersi pantaloni e camicia. Il corpo è un vestito: tutti quelli che si coprono con quel vestito sono femmine. In questo corpo c’è il Purusha, la Coscienza o Principio maschile, che si diffonde in tutto il corpo, dalla testa ai piedi.

L’unione della Coscienza interiore, il Purusha o Principio maschile, con il corpo inerte, Prakriti o Principio femminile, crea l’Ardhanârîshvara, il Divino che non è né maschio, né femmina. L’essere umano è Îshvara e Prakriti in interrelazione. La vita non è solamente limitata alla forma. In questa commedia della vita, ogni individuo è un attore. Anche Dio è attore. La vita è simile a una scena teatrale dove tutti gli attori recitano la loro parte e interpretano il loro ruolo sotto la regia di Dio, l’unico Direttore di scena.

Non sono i vestiti che determinano se una persona è di sesso maschile o femminile. Per esempio, supponiamo che si celebri l’anniversario di una scuola per ragazze. Per la circostanza, tutte le allieve preparano una rappresentazione teatrale. Alcune ragazze interpretano il ruolo di un re, di un ministro, di una guardia, ecc. Tutti quei ruoli maschili sono recitati da ragazze.

Allo stesso modo, il mondo intero è un grande palcoscenico, dove tutti sono femmine. Il potere atmico (Principio maschile) è uguale in tutti gli esseri. Gli uomini non dovrebbero inorgoglirsi pensando che il lavoro o l’esercizio di una professione sia una prerogativa maschile. Si vedono molte donne lavorare e molti uomini senza impiego! Il lavoro, dunque, non può essere considerato come una prerogativa tipicamente maschile. Il Dharma riguarda sia gli uomini che le donne; è una caratteristica umana, proprio come la Verità, l’Amore.



La Verità è Dio, L’Amore è Dio.

Vivete nell’Amore.



Oggi, dovremmo ben comprendere che la Divinità è totale e assoluta in ogni essere ed è presente in ogni luogo. Voi non La vedete con gli occhi fisici, ma, con l’occhio della saggezza, sarete in grado di sperimentare Dio ovunque. L’aria è ovunque, in voi e attorno a voi. Non la vedete con gli occhi fisici; non potete intrappolarla e, tuttavia, non potreste vivere senz’aria. Potete negare la sua esistenza semplicemente perché non la vedete?

Allo stesso modo, Dio ha assunto una molteplicità di forme. Quando fa caldo, mettete in funzione il ventilatore che vi permette di provare la freschezza dell’aria. Avete orientato il ventilatore verso di voi per sentire il piacere dell’aria fresca ma, se il ventilatore è girato nell’altro senso, saranno altre persone a beneficiare del piacere che esso procura.

L’intelletto è simile al ventilatore: se voi orientate il vostro intelletto verso l’Âtma, esso vi farà conoscere la beatitudine atmica. Se, al contrario, lo orientate verso il corpo, vi darà un momentaneo, fugace piacere fisico. Quale felicità ottenete da questo corpo? È pieno di scorie, afflitto da malattie, pieno di ossa, e non vi permette di attraversare l’oceano dell’esistenza.

"O mente mia, non considerare mai questo corpo come permanente. Sottomettiti ai Piedi del Signore”. A partire dal momento in cui raggiungete la Divinità, tutto il resto è vostro. In questa vita, non c’è nulla che non possiate ottenere. Però, dovreste avere delle inclinazioni divine, sacre; allora, godrete della Beatitudine che ne deriverà. Questa Beatitudine è Verità, e la Beatitudine colma di Verità è Saggezza.



(Swami conclude il Discorso cantando: Satyam Jnânam Anantam Brahmâ).



Sai Shruti, Kodaikanal, 29 aprile 1998

Versione integrale


Note:

1. Prima strofa dell’Îshâvâsya Upanishad.

2. Melassa di zucchero di canna largamente usata nell’alimentazione quotidiana degli Indiani, i cui valori terapeutici sono ben noti alla medicina tradizionale ayurvedica.

3. Swami si riferisce ad Antonio Stradivari, il cui nome latinizzato è Stradivarius (1644-1737). Artigiano liutaio, nella piccola città di Cremona, nel nord dell’Italia, la sua rinomanza è dovuta alla qualità eccezionale dei suoi violini, che sono ancora oggi i più ricercati dai violinisti di tutto il mondo per le loro tonalità vellutate. Stradivari costruì più di 1.100 violini, dei quali, alcune centinaia, esistono ancora oggi. Ebbe undici figli, di cui due continuarono la sua arte e visse fino a 90 anni. Nessun liutaio è riuscito, a tutt’oggi, a produrre strumenti di qualità comparabile alla sua, perché egli portò il suo segreto nella tomba.

4. Luogo dove Krishna visse la Sua infanzia tra i compagni di gioco e le pastorelle.

5. Parola sanscrita che significa “gioco, sport, divertimento”. L’universo manifesto è simile a un grande gioco divino, nella sua dinamica e nelle sue leggi perfette.