DISCORSO DIVINO

La mente, una padrona da soggiogare

6 luglio 1989

Vero uomo è solo colui
che ha sottomesso e controlla
la sua mente.
Saggio è colui che conosce
mente ed intelletto.
Esemplare è colui nel quale
c'è armonia tra parola ed azione.
Che altro potrei comunicarvi
più di questo?
Non è di alcuna utilità la mente
di uno che la tiene in continua attività
sia a casa che nella foresta.
Ma una persona che, ovunque si trovi,
non dipende dalla propria mente,
è felice.
La mente è responsabile di tutto.


* * *

Cari studenti,

Il prodotto della mente
[1] la vita di un uomo evolve, raggiunge vari livelli ed infine arriva allo stadio finale: attraverso l'adolescenza, la giovinezza, l'età matura e la vecchiaia, trascorre la propria vita compiendo delle azioni. Illudendosi che, fra questi vari stadi, sia la vita a cambiare, egli crede allora che sia il mondo in via di trasformazione. La causa principale di questa illusione è la sua stessa mente.

Il controllo della mente
[2] Per tenere sotto controllo la mente l'uomo sta facendo ogni genere di sforzi, si è sottoposto a numerose fatiche ed è stato anche capace di ottenere dei risultati. Però, dopo aver ottenuto la condizione di uomo, così difficile da raggiungere, non è stato capace di esercitare il completo controllo della mente, non l'ha sottomessa. La mente, infatti, non fa che saltare e vagare da un oggetto all'altro, da una faccenda all'altra.

Il lago
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[3] Se continuate a gettare pietre in un lago, come potrà calmarsi la superficie dell'acqua? Le pietre gettate in continuazione, formeranno, una dopo l'altra, delle onde e in quel lago non ci sarà mai pace. Allo stesso modo, all'uomo che continua a gettare nel lago della propria mente le pietre dei desideri, è impossibile raggiungere la calma e la stabilità mentali.

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In qualunque livello di vita l'uomo si trovi, dovrebbe esercitare sempre il controllo sui desideri per poter godere la pace che ne deriva.

La mosca
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[4] Si potrebbe paragonare la mente ad una mosca. Una mente priva di discernimento vaga, come la mosca, posandosi qua e là. Un istante prima va a posarsi su Dio, l'Essere Supremo, un istante dopo su immondizie. Così fa la mente umana: va a posarsi sulle cose buone e subito dopo si fa distrarre da cattivi pensieri.

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Sembra non esserci limite a questo vagabondaggio della mente. Non si cura di sapere se ciò su cui si trova è sacro o profano.

L'elefante
[5] La capacità di discernere è insita nell'uomo, ma egli non ne fa buon uso.

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La sua mente è simile ad un elefante selvaggio: se anche lo lavate, una volta fuori dall'acqua, con la proboscide si cosparge di nuovo di fango e sporcizia. È la sua natura. L'uomo fa lo stesso: finché frequenta buone compagnie, i suoi pensieri e le sue azioni sono buoni, ma, appena ne esce, si lascia insudiciare la mente da cattivi pensieri.

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La cisterna
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[6] Si potrebbe paragonare ancora la mente ad un flusso d'acqua. Se volete far entrare quest'acqua in un serbatoio, dovete prima turare le falle e i buchi del serbatoio stesso; altrimenti, per quanto copioso sia il flusso, l'acqua andrà dispersa e sarà del tutto inutile continuare ad introdurla. La mente umana può essere paragonata ad un grande lago o ad una cisterna. L'Energia Divina è il flusso d'acqua che, scorrendo attraverso il canale dell'intelletto, raggiunge il serbatoio della mente. I sensi sono le sue falle.

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Il re servitore
[7] L'Energia Divina può rimanere nella mente, solo quando i sensi vengono tenuti sotto controllo.

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La mente da padrona dei sensi si fa loro schiava ed è come se un sovrano si abbassasse al rango di servitore della sua servitù. Come potrebbe un simile re esigere rispetto e venerazione? Lo stesso vale per la mente, che, pur essendo sovrana dei sensi, si riduce ad essere loro schiava, facendo perdere all'uomo la condizione che gli è propria. Dunque, l'uomo sia padrone, non servo!

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Perdita d'energia
[8] Perché questo accade? L'uomo perde la sua energia inseguendo le richieste dei sensi invece di controllarli. La mente perde energia col continuo parlare, col guardare tutto quanto c'è in giro e col desiderare ogni genere di cose. Così pure, quando non assumete il cibo giusto, il corpo fisico deperisce. Anche la mente deperisce, quando si utilizza senza discriminazione l'Energia Divina. L'uomo controlli, dunque, la propria attività di pensiero, perché solo allora la mente avrà il suo pieno potenziale e ne uscirà santificata. Bisogna aver cura del potenziale della mente. L'uomo è il risultato finale della sua mente. Se l'energia della mente viene persa, anche la santità dell'uomo viene compromessa. Quando l'uomo sollecita i sensi e ne segue il sentiero va incontro a un gran numero di problemi.

La causa del dolore
[9] Se cercate il responsabile delle vostre difficoltà, sappiate che è l'ignoranza. L'ego è responsabile dell'ignoranza. Il desiderio è responsabile dell'ignoranza. L'azione è responsabile del desiderio. Il corpo è responsabile dell'azione. Quando l'uomo controlla i sensi, non si fa più influenzare da preoccupazioni mondane o spirituali. Il dolore e la tristezza non fanno parte della natura dell'uomo, ma hanno sempre una causa.

Rimedio al dolore
[10] Se fossero naturali, nessuna persona o circostanza potrebbero eliminarli. Per esempio, la dolcezza è naturale per lo zucchero e, per quanto tentiate, non riuscirete mai ad eliminare il dolce dallo zucchero, in quanto è sua caratteristica naturale. Perciò, se la sofferenza fosse naturale per l'uomo, sarebbe ben difficile eliminarla. A ciò nessun sforzo e nessuna disciplina varrebbero. Ma, poiché la sofferenza non è una condizione naturale per l'uomo, è possibile eliminarla. Portando il proprio pensiero sul Signore è possibile eliminare il dolore dall'uomo.

I sensi
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[11] Se un cavallo è pigro, anche se gli somministrate del foraggio particolarmente nutriente, continuerà ad essere sempre più pigro. I sensi sono come quel cavallo: quanto più li soddisfate, tanto più essi divengono preponderanti fino a rovinare la natura stessa dell'uomo.

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Solo quando la vostra mente seguirà il sentiero della verità, riuscirete a raggiungere l'ultima meta, l'eterna beatitudine.

Tre tipi di sofferenza
[12] Occorre sforzarsi di capire che i vari sensi sono mezzi per seguire il sentiero della verità. Esistono tre tipi di sofferenza che tormentano l'uomo. Il primo proviene dal corpo e dalla mente. Il corpo va soggetto a svariate malattie, che sono causa di dolore. Ma, anche quando il corpo è sano, l'uomo soffre a causa della mente e dei sensi. La sofferenza prodotta dai sensi è causa di una gran quantità d'ansie. Il secondo tipo di sofferenza è rappresentato dal dolore inflitto all'uomo da animali, insetti e da svariati elementi. Il terzo tipo è il dolore causato da eccessive precipitazioni, siccità, terremoti, alluvioni, incendi e fulmini. Questi eventi, però, giungono inaspettati. Sono ancora i sensi la causa di questo tipo di sofferenza.

La lingua
[13] Fra gli organi di senso, la lingua è il più importante. La forza mentale si accresce evitando l'eccessivo parlare e facendo solo discorsi buoni. La parsimonia nel parlare e la dolcezza nel tono di voce sono essenziali. Tutto si può ottenere seguendo il sentiero della verità. Non c'è maggior Giustizia della Verità. Ma anche la verità va detta con dolcezza, in modo gradevole e senza esitazioni. Il sentiero della Verità fa ricuperare la vita.

L'esempio di Savitri
[14] Il re Asvapati aveva una figlia unica, di nome Savitri.(76) Aveva promesso di darla in sposa a Satyavan, quando intervenne Narada, il quale disse ad Asvapati: "Stai commettendo un grosso sbaglio. Credi di procurare una vita lunga e felice a questi due sposi, mentre a Satyavan non resta che un solo anno di vita. Tua figlia sarà provata da un gran numero di problemi e difficoltà."

Compiuto il proprio dovere, Narada se ne andò. Asvapati, preoccupato di quanto gli era stato detto, andò a parlarne alla figlia. Savitri, però, rispose al padre: "Padre, la parola data va mantenuta. La verità è la forma autentica di Dio. Rinunciare alla verità, significa rinunciare a Dio stesso. E se rinunciamo a Dio che è la fonte della vita, che cosa ci riserverà la vita stessa? Se cerchiamo la verità, l'adoriamo ed abbiamo fede in essa, la verità stessa ci sarà propizia in ogni evento. Non c'è bisogno di ritirare la parola data. Qualunque cosa abbiate detto a Satyavan, attenetevi ad essa. Stiamo a vedere quale sarà la mia sorte, quale la mia fede. Io intendo seguire il sentiero della verità, perché l'adoro. Sto per andare in sposa a Satyavan. Sarà la verità stessa a riportarlo in vita. Non tornate sulla vostra parola, padre!"

Fu proprio quella grande fede nella verità che, dopo il primo anno di matrimonio, salvò dalla morte Satyavan. La fede di Savitri aveva dato la vita al proprio sposo. Si deve porre la massima attenzione alle parole che si dicono, al fine di conservare alla mente il suo potere e mantenere puro il parlare. In qualunque difficoltà, sotto qualunque critica, mantenete sempre fede alla parola data. Ogni vittoria può essere ottenuta solo con Dio al proprio fianco, e cioè, quando Dio è installato nel proprio cuore e si ripone piena fiducia in Lui.

Due energie mentali
[15] Nel mondo attuale si dà troppa importanza alla materia. La mente possiede due tipi di energia. Il primo si riferisce ai pensieri che hanno attinenza con ciò che è permanente ed eterno. Il secondo riguarda i pensieri che perseguono ciò che è terreno ed effimero. Soltanto nel primo caso si potranno avere desideri puri. Non basta citare una frase da qualche libro per essere un puro saggio. La pura conoscenza può essere conseguita mediante la disciplina spirituale e una fede incrollabile. Chi adora Dio, ottiene qualunque cosa.

L'acqua nella lampada
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[16] Un giorno, un discepolo si rivolse al suo maestro e gli chiese: "Swami, spiegami che in che cosa consiste la Saggezza". Il maestro uscì dalla grotta in cui viveva e rispose al ragazzo: "È ormai sera. Per risponderti dovremmo entrare nella grotta, dove però serve della luce. Vai ad accenderla e poi torna qui." Il ragazzo andò a prendere dei fiammiferi, ma, uno dopo l'altro, fallirono l'accensione fino a che la scatola fu vuota. Allora disse al maestro che non era riuscito ad accendere la lampada. E il maestro, di rimando, chiese: "Come mai? Che cosa è accaduto? Porta qui la lampada e vediamo. Guarda un po' se dentro la lampada c'è olio oppure acqua." Il discepolo diede un'occhiata dentro la lampada, poi esclamò: "Swami, ma c'è solo dell'acqua!" Il maestro allora disse: "Per prima cosa togli l'acqua. Poi mettici l'olio, immergici lo stoppino ed infine accendi. Vedrai che la lampada farà luce." Il discepolo eseguì i suggerimenti e la lampada si accese. Poi ricordò al maestro: "Avevi promesso di darmi qualche insegnamento.". E il maestro: "Te ne ho appena dato uno. Non sei stato capace di ascoltarlo, seguirlo e capirlo?" "No, maestro; - rispose il ragazzo - non ho saputo seguirti. Che cosa intendevi dire?" E il maestro riprese: "Nella lampada del tuo cuore hai messo l'acqua dei desideri mondani e non hai usato lo stoppino della mente. Come puoi ottenere la fiamma della saggezza? Elimina ogni mondanità dal tuo cuore. Purifica la tua mente e riempi il cuore di amore di Dio. Allora ti accenderò la lampada del Suo Nome. Come potrei accendere la lampada della saggezza, se il tuo cuore è pieno di desideri mondani anziché d'amore?"

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Quanto tempo da uomini?
[17] L'uomo odierno legge un gran numero di libri e si dedica a parecchie discipline, ma non riesce ad eliminare il sudiciume dal proprio cuore. Invece di riempire il cuore di amore, lo riempie di cose materiali che sono come l'acqua in luogo dell'olio dell'amore. Quanti sono i momenti della vostra vita in cui vivete da esseri umani? Ragazzi, lo sapete molto bene! Un minuto è fatto di 60 secondi. Sessanta secondi fanno un'ora. Un giorno è formato da 24 ore. Trenta giorni fanno un mese. Dodici mesi fanno un anno. Quanti secondi ci sono in un anno? 60 secondi x 60 minuti x 24 ore x 30 giorni x 12 mesi, per un totale di 31.104.000 secondi. Come farete ad avere la vera beatitudine, se solo per quattro secondi o al massimo per 4 minuti riuscite a fermare la mente su pensieri sacri. Voi aspirate a possedere sempre più cose. Coloro che si reputano grandi, ritengono che la pace si possa raggiungere per mezzo di lotte e conflitti.

Il tempietto della gioia
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[18] Un giorno, un tale entrò in un tempio e incominciò a fare i giri intorno alla statua di Ganesha. Nel frattempo, fuori pioveva e così quella persona rimase al riparo nel tempio. Era un tempietto piccolissimo. Dentro c'era posto soltanto per la statua di Ganapati (altro nome di Ganesha, NdR) e per lui. Non riusciva a star fermo e incominciò a toccare le varie parti della statua di Ganapati, finché, giunto all'ombelico, vi pose il dito dentro. Là c'era uno scorpione, che lo punse. Non potè farci nulla. Smise di piovere ed egli uscì dal tempietto. Nonostante il dolore della puntura, la sua gioia era tale che voleva parteciparla agli altri e, a chiunque incontrava, diceva: "Se volete rendermi felice, mettete il mio dito nell'ombelico di Ganesha". La gente non gli dava retta, ma entrava nel tempio, ne ripeteva l'esperienza, compiendo quel rito, senza tuttavia raccontare agli altri quanto aveva provato.

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Gioia in famiglia
[19] I sentimenti di un tempo dovrebbero rimanere immutati anche oggi ed entrare nella vita di ogni famiglia. La famiglia, sebbene coi suoi dolori, fornisce anche molte gioie. Bisogna essere come quella persona nel tempio che diceva: "Io sono felice. Siatelo pure voi." Non aveva rivelato a nessuno le difficoltà incontrate.

La pace nella mente
[20] Non c'è né pace né gioia quando si inseguono continuamente le cose del mondo. Il proprio dovere va compiuto, sia nella gioia che nel dolore, col medesimo stato d'animo. Gioie e dolori vanno accettati come un dono di Dio. Non si devono fare confronti fra ciò che è nobile e ciò che è falso. La cosa più importante è controllare i propri sensi. Bisogna rendersi conto che è la mente la responsabile della gioia e del dolore. Se la vostra mente è a posto, sarete in pace sia a casa vostra che nella foresta; ma, se la mente è piena di sporcizia, non troverete pace nemmeno rifugiandovi nella foresta. La pace che cercate è nella mente. Trasformate la vostra mente in una mente di Amore. Niente è più grande dell'Amore.

Il tempo stringe
[21] Cari studenti, i giorni volano. Notte e giorno non sono mai uguali. Anche le stagioni cambiano continuamente e tuttavia si ripetono. Anche le situazioni di vita dell'uomo mutano regolarmente. Col passare degli anni sembra che l'illusione aumenti ed è una grande sfortuna. Gradualmente, ma con fermezza, l'uomo deve controllare la propria mente al fine di ottenere pace; ma ciò non si verifica oggi. Col sopraggiungere della vecchiaia diminuisce il tempo a disposizione per vivere e aumentano i desideri. Bisogna assolutamente riuscire a controllarli, prima che la vita giunga al termine. Non si sa dove, come e quando sopraggiungerà la morte. Incominciate perciò subito a controllare la mente, a perseguire la pace e siate felicissimi.

Controllo dei sensi
[22] Anche gli studenti devono controllare la lingua, le orecchie, gli occhi e i pensieri. Questo controllo aumenta il potenziale della mente. In caso contrario, la mente si indebolisce e la memoria vien meno. Tenete sotto controllo almeno tre sensi: il vedere, il parlare e il pensare. Quando sono sotto controllo questi tre, anche gli altri rimarranno automaticamente sotto controllo. La mancanza di memoria negli studenti è dovuta all'eccessivo parlare. Se riuscirete a sviluppare il potenziale della mente e la forza di volontà, potrete ottenere ogni cosa. L'uomo d'oggi ha una mente assai fragile ed è per questo che anch'egli si indebolisce. Il corpo fisico può anche essere molto forte, ma è inerte, è privo di coscienza. Tutta la coscienza di cui il corpo è dotato, proviene dall'Essenza Divina. Il corpo può svolgere le sue funzioni grazie alla compenetrazione di questa Essenza Divina.

Il vero Padrone del corpo
[23] Si acquistano automobili per centinaia di migliaia di rupie, ma se non si mette benzina nel serbatoio, l'auto non potrà muoversi. Lo stesso accade al corpo fisico: se l'Energia Divina non lo pervadesse, non potrebbe funzionare, rimarrebbe inerte. Tutti gli organi di senso funzionano grazie a questa Energia. Arrendetevi ad Essa ed otterrete ogni potere. Tutti gli organi di senso sono sotto il controllo di Dio. Se si mantiene il Signore nel proprio cuore, si potrà esercitare il controllo sui sensi e non essere loro schiavi. Siate sempre padroni dei vostri sensi.

Non parole, ma fatti
[24] Non basterà dirlo a parole, bisogna esserlo di fatto. Che padroni siete se lo siete solo perché lo dichiarate, mentre rimanete schiavi dei sensi? Dite di essere padroni dei vostri sensi, ma in realtà non lo siete affatto. Se volete essere davvero il padrone, controllate i vostri sensi e, per questo, esiste un solo modo: seguite il sentiero della Divinità, sviluppate la fede in Dio, ripetete il Nome del Signore e riflettete su quel Nome. Ecco il vero sentiero regale!



(Prashanti Nilayam, 6 Luglio 1989)




(76) V. Scheda di studio n°12. (TORNA AL TESTO)





SCHEDA DI STUDIO N°12


Savitri
Vi era una volta un re chiamato Asvapati (Padrone di cavalli); era virtuoso, generoso, magnanimo e ben visto. Ma il suo dolore era quello di non avere figli. Perciò osservava severe penitenze e seguiva la regola degli eremiti. Per diciotto anni fece offerte giornaliere al fuoco, recitando mantra in lode di Savitri e cibandosi frugalmente. Infine, Savitri soddisfatta gli apparve in forma visibile nel mezzo del fuoco sacrificale.

"Io sono compiaciuta - ella disse - della tua ascesi, del compimento dei tuoi voti e della tua venerazione. Chiedi, o gran re, qualunque grazia desideri".

"O dea - rispose il re - possano nascermi figli, continuatori della mia razza, perché i brahmana mi hanno detto che grande merito risiede nei figli. Se tu sei soddisfatta di me, concedimi questa grazia".

Savitri replicò:

"O re, conoscendo il tuo desiderio ho già parlato a Brahma del tuo desiderio di avere figli e ho impetrato per te il suo favore: presto ti nascerà una bellissima figlia. Ma tu altro non puoi replicare: questa è la grazia dell'antenato, il quale è compiaciuto delle tue devozioni".

Il re si prostrò e disse:

"Così sia"; e Savitri scomparve.

Dopo un certo tempo la sua regina consorte partorì una splendida fanciulla dagli occhi di loto. Poiché era nata per grazia della dea Savitri, moglie di Brahma, fu chiamata Savitri con tutte le cerimonie dovute, e crebbe in bellezza e grazia simile alla stessa dea Shri. Simile ad un'aurea immagine, il popolo pensava di lei, dicendo: "Una dea è venuta tra noi". Ma nessuno osava chiedere in sposa quella fanciulla dagli occhi di loto, perché il radiante splendore ed il vivo intelletto che erano in lei intimidivano ogni innamorato.

In un giorno festivo, dopo aver reso servizio agli dei, ella si recò da suo padre con un'offerta di fiori. Toccò i suoi piedi e stette presso di lui con mani giunte. Allora il re fu addolorato, vedendo sua figlia in età da marito e pure non ancora richiesta, e perciò le disse:

"Figlia mia, il tempo delle tue nozze è giunto, ma nessuno ti chiede in sposa. Scegli, quindi, da te stessa uno sposo, simile a te per virtù. Scelto quello che tu vuoi, rifletterò e ti darò a lui, perché biasimevole è un padre che non marita la sua figliola. Opera, quindi, in modo che gli dei non ne siano dispiaciuti."

Allora Savitri s'inchinò dolcemente ai piedi di suo padre e si accinse a partire. A bordo di un carro reale, ella visitò nelle foreste gli eremitaggi dei savi. Venerando i piedi di quei reverendi santi, attraversò tante foreste finché trovò il suo signore.

Un giorno, mentre suo padre era seduto a corte, conversando con i suoi consiglieri, Savitri ritornò e, vedendo suo padre seduto vicino al rishi Narada, s'inchinò ai suoi piedi e lo salutò. Allora Narada disse:

"Perché tardi a far sposare tua figlia, ormai in età da marito?"

Il re rispose:

"È proprio per questo che è partita ed ora è di ritorno dal suo viaggio: sentiamo chi ha scelto per sposo." Così dicendo si rivolse a Savitri, ordinandole di parlare.

Stando a mani giunte innanzi al re ed al saggio, ella rispose:

"Vi è un virtuoso re dei Salvas, a nome Dyumatsena. Essendo divenuto cieco, gli fu tolto il regno da un re nemico, ed egli con la moglie ed il suo piccolo figlio si ritirò nelle selve, a farvi vita ascetica. Suo figlio è cresciuto in quell'eremitaggio di foresta: egli è degno di essere mio sposo; io l'ho scelto nel mio cuore come mio signore".

Allora Narada esclamò:

"In sventura è incorsa Savitri, scegliendo per suo signore quel giovine, che si chiama Satyavan. Ben lo conosco e ne so tutti i pregi. Fin da fanciullo si dilettava di cavalli e li ritraeva in creta ed in pittura; e perciò fu soprannominato Pittore di cavalli".

Il re domandò:

"Questo principe Satyavan ha intelligenza, pazienza, coraggio ed energia?"

Narada replicò:

"Per energia è come il sole, in sapienza è come Brihaspati, coraggioso come il re degli dei, paziente come la terra: inoltre è generoso, veridico e bello".

Allora il re disse:

"Quali sono dunque i suoi difetti?"

E Narada rispose:

"Egli ha un solo difetto, che annulla tutte le sue virtù, ed è irrimediabile; è destinato che tra un anno egli muoia".

Allora il re si rivolse a sua figlia:

"O Savitri, bella fanciulla, tu hai sentito le parole di Narada: scegliti un altro signore".

Ma Savitri rispose:

"Il dado si può trarre solo una volta. In verità, sia la sua vita breve o lunga, sia egli virtuoso o vizioso, io ho scelto il mio sposo una volta per tutte: non sceglierò una seconda volta. Una cosa prima si pensa nella mente, poi si dice, poi si fa".

Allora Narada disse al re:

"La mente di tua figlia è incrollabile. Non può essere deviata dalla retta via. Inoltre, Satyavan eccelle su tutti in virtù. Il matrimonio ha la mia approvazione".

Il re con mani giunte rispose:

"Quel che tu approvi sia fatto".

Narada disse di nuovo:

"Possa la pace essere la dote di Savitri e la salute con voi tutti".

Ciò detto, ascese di nuovo al cielo.

In un giorno fausto il re Asvapati si recò con Savitri all'eremitaggio di Dyumatsena. Entrando a piedi trovarono il reale asceta seduto in contemplazione sotto un nobile albero. Il re, dopo averlo riverito, gli espose lo scopo della sua visita. Dyumatsena rispose:

Come può tua figlia, così gentile e delicata, far la nostra vita di eremiti nella foresta?"

Il re replicò:

"Tu non devi parlare così; ma accettare la mia offerta; perché mia figlia sa, come me, che felicità e dolore vanno e vengono, e niente dura".

Allora tutto fu concordato, e Savitri fu data in sposa a Satyavan. Quando il padre di lei fu partito, ella depose le sue ricche vesti ed i gioielli ed indossò un rozzo saio di eremita. Così visse nell'eremitaggio, incantando tutti con la sua gentilezza, la sua abnegazione e la sua dolcezza. Ma le parole di Narada erano sempre vive nella sua mente.

Infine, si avvicinò l'ora destinata per la morte di Satyavan. Quand'egli aveva ancora quattro giorni di vita, Savitri intraprese la penitenza di stare in piedi, digiuna, per tre giorni e tre notti. La terza notte era debole, stanca e triste per l'approssimarsi della morte dello sposo; ma, al mattino compì i consueti riti di sacrificio e di obbedienza verso i genitori e verso lo sposo. Questo, ignaro della sua sorte, era già pronto per andare a tagliare legna nel bosco: Savitri lo pregò di poterlo accompagnare, ed egli acconsentì, a patto che i genitori lo permettessero. Ella allora li pregò di esaudire la sua preghiera, dicendo che non voleva separarsi dallo sposo e che desiderava vedere gli alberi in fiore. Dyumatsena, dopo averle prospettato i pericoli della foresta, finì col cedere, dicendo:

"Da quando Savitri mi è stata data come nuora da suo padre, non mi ha chiesto mai nulla: sia quindi ora esaudita la sua preghiera".

In tal modo, Savitri partì insieme col marito col sorriso sulla bocca, ma col cuore straziato; perché, ricordando le parole di Narada, se lo figurava già morto. Con volto sorridente gli rispondeva, ma il cuore le sanguinava aspettando la sua fine. Così essi passarono attraverso i sacri sentieri ed i maestosi alberi. Poi, egli si mise al lavoro ma, mentre spaccava i rami di un grande albero, si sentì venir meno; allora si accostò a sua moglie, lamentandosi che la sua testa era torturata da pungenti dolori e dicendo di avere una gran voglia di dormire. Savitri, seduta per terra, si pose in grembo il capo di lui: il tempo fissato per la morte di Satyavan era giunto. Immediatamente Savitri vide una splendente e rossa deità, di tinta scura e con gli occhi rossi, che portava nelle mani un laccio ed era terribile a vedersi. Si fermò accanto a Satyavan e lo guardò. Allora Savitri si alzò e gli chiese umilmente chi fosse e che cosa desiderasse.

"Io sono Yama, il signore della Morte - egli rispose - e sono venuto per Satyavan, la cui vita è giunta al termine".

Così dicendo, Yama trasse l'anima dal corpo di Satyavan, la legò al laccio e si allontanò, dirigendosi verso la regione meridionale, lasciando il corpo freddo e senza vita.

Savitri lo seguì da presso, ma Yama disse:

"Desisti, o Savitri, torna indietro, celebra i riti funerari di tuo marito. Altro non puoi fare".

Ma ella rispose:

"Dove mio marito è portato, o dove egli stesso va, là io andrò; questa è la legge eterna. La via mi è aperta a causa della mia obbedienza e della mia virtù. I saggi hanno detto che si stringe amicizia procedendo insieme per sette passi. Riguardo a questa amicizia così contratta, io ti dirò una cosa. Tu vorresti fare di me una vedova, che non segua la regola familiare: ma io ho seguito finora fedelmente il dovere di moglie soltanto, e non c'è bisogno di fare di me una vedova".

Yama replicò:

"Tu parli bene e mi piaci: chiedi qualunque grazia tu voglia, eccetto la vita di tuo marito".

Ella chiese che Dyumatsena riacquistasse la vista e la salute; e Yama lo concesse, ingiungendole di ritornarsene. Ma Savitri non volle ritornare, dicendo che voleva seguire il suo signore e che, inoltre, la compagnia dei buoni porta sempre buoni frutti. Yama ammise la verità di ciò ed in premio le concesse un'altra grazia. Ella chiese che suo padre riconquistasse il proprio regno. Yama acconsentì ed ordinò di nuovo a Savitri di ritornare. Ma ella continuò a seguirlo, parlandogli del dovere di chi è grande ed è buono, di proteggere ed aiutare tutti quelli che hanno bisogno di soccorso. Per questa verità, Yama le concesse una terza grazia, che suo padre potesse avere cento figli, e la pregò di ritornare. Ma Savitri non si arrese.

"Tu sei chiamato il signore della giustizia - disse - e gli uomini si affidano sempre al giusto: perché è sempre la bontà del cuore che ispira fiducia in ogni creatura". A questo punto, Yama le promise un'altra grazia, che non fosse la vita di Satyavan; e Savitri chiese di poter avere cento figli. Yama replicò:

"Avrai cento figli, famosi e potenti, che ti daranno grande gioia. Ma tu sei venuta troppo lontana: ora ti prego di ritornare".

Ma ella continuò a lodare i giusti:

"Sono i giusti - disse - che sostengono la terra con le loro buone azioni".

Di nuovo Yama fu propiziato dalle parole edificanti di Savitri e le promise di accordarle un'altra grazia. Ma ora Savitri rispose:

"O datore di bene, ciò che tu già mi hai concesso non può avvenire senza l'unione con mio marito. Senza di lui io non posso avere i cento figli, che mi hai promesso; senza di lui io sono come morta, senza di lui io non bramo alcuna felicità, senza di lui io non bramo la vita: ti chiedo quindi la sua vita, perché le tue parole possano essere adempiute".

Allora Yama cedette e restituì Satyavan, promettendogli prosperità e lunga vita ed una lunga serie di re suoi discendenti. Dopo aver detto ciò, il re della Morte se ne andò per la sua strada.

Savitri allora ritornò vicino al corpo di Satyavan e risollevò sul suo grembo il capo di lui; ed ecco egli ritornò in vita, come uno che ritorna in patria, dopo aver dimorato in terra straniera.

"Ho dormito a lungo - disse -; perché non mi hai svegliato? Dov'è quell'essere scuro che voleva portarmi via?"

Savitri rispose:

"Hai dormito a lungo. Ora sei desto: alzati, se puoi, perché cade la notte".

Ciò detto, Savitri prese la scure e, sostenendo col braccio il marito ancor stanco, s'avviò con lui attraverso la foresta, sotto la notte nera.

Frattanto Dyumatsena e sua moglie e tutti gli altri eremiti erano in ansia, ma non senza speranza, perché pensavano che la virtù di Savitri avrebbe vinto anche il fato. Ed ecco infatti, come segno di augurio, che Dyumatsena improvvisamente riacquistò la vista. E quindi, tra il giubilo di tutti, riapparvero dal fondo della notte e della foresta Savitri e Satyavan, che si assisero al fuoco e riferirono quel che era accaduto.

All'aurora giunsero messi da Salva, che annunziarono come l'usurpatore fosse stato ucciso ed il popolo richiamasse Dyumatsena al suo posto di re. Il che avvenne. Così Savitri con la sua sola virtù portò in altro stato se stessa, i suoi genitori, il suo signore e tutti i loro discendenti.

(Dal Mahabharata, Vana Parva capp.293-299)