DISCORSO DIVINO

La dolcezza del frutto

2 luglio 1966

“L’intelligenza è fuori luogo nelle faccende spirituali

quando l’artificio e l’artificiosità sono impedimenti piuttosto che aiuti.

E’ quando l’intelligenza aumenta e soffoca la sincerità e la spontaneità

nelle questioni spirituali e nella relazione tra Dio e l’uomo che l’Avatara viene”



In maggioranza, gli uomini spendono il tempo di vita che è stato loro assegnato, o che hanno guadagnato, nel consumare bevande e cibi ricchi ma dannosi e concedendosi passatempi affascinanti ancora più dannosi; che spreco pietoso di risorse preziose! L’uomo, sebbene appartenga al genere animale, ha un corredo fisico, mentale e morale molto maggiore di quello degli altri; egli ha la memoria, il linguaggio, la coscienza, la venerazione, lo sgomento, la riflessione e un senso inspiegabile di scontento che è il precursore del distacco. Egli ha l’opportunità splendida di comprendere la sua identità insieme al mistero che si manifesta come universo ma è così immerso nell’ignoranza che si comporta come fosse un animale come gli altri e si rivolta nel pantano del dolore e del vizio.



L’uomo dovrebbe raggiungere la Divinità

E’ come se il fuoco avesse dimenticato la sua capacità di bruciare o l’acqua la sua caratteristica di bagnare: l’uomo ha dimenticato il dono che gli permette di fondersi con la Divinità, cioè la capacità di cercare e conquistare la verità dell’universo di cui fa parte, la possibilità di educarsi alla virtù, alla giustizia, all’amore e alla comprensione per ascendere dal particolare all’universale. Egli può raggiungere il compimento e la vetta della fusione con l’Immutabile che è al di là di tutto questo cambiamento. Fu Vyasa, la cui memoria è custodita da questa festività del Vyasa Purnima, che pose davanti all’uomo che sbagliava questo destino e questa disciplina nei vari testi che portano il suo nome. Egli compendiò i testi vedici e compose i Brahma Sutra riducendo in forma di epigrammi gli insegnamenti essenziali dei Veda e Vedanta; l’umanità ha un grande debito di gratitudine verso di lui che elaborò le lezioni morali e spirituali dei Veda e del Vedanta nell’epica filosofica magnifica e poetica, il Mahabharata, e nella collezione di storie Divine, colma di dolce Devozione, chiamata Bhagavata. Ognuna di queste due opere può portare l’uomo alla liberazione ammesso che egli si imbeva delle loro lezioni e le metta in pratica. Mentre il Brahma Sutra può aiutare soltanto un numero limitato di ricercatori intellettuali, il Mahabharata e il Bhagavata sono per l’uomo comune, per il ricercatore non istruito; essi servono ugualmente bene e altrettanto velocemente, se non di più, degli altri testi. I Veda e il Vedanta possono esser visti come un biglietto da una rupia mentre le epiche e i Purana, come il Mahabharata e il Bhagavata, come cento paisa il che è dire la stessa cosa dato che cento paisa equivalgono a una rupia.



Fate ogni cosa con spirito di Offerta

I Purana e le epiche indicano il sentiero della devozione e dell’affidamento; essi chiedono all’uomo di fare ogni azione con spirito di dedizione. Lasciate che il vento del dubbio e il sole della disperazione assalgano il vaso della Beatitudine che avete riempito e questa evaporerà presto; tenete invece il vaso nell’acqua fresca della buona compagnia e delle buone azioni: lo si può conservare colmo per sempre. Anche la Beatitudine cresce quando voi la custodite in silenzio e rievocate le circostanze che l’hanno prodotta. E’ per questo che la contemplazione (Manana) è ritenuta una parte così importante dello sforzo spirituale. Come il bambino che getta via i suoi giocattoli e comincia a piangere, anche voi dovete comprendere la meschinità dei giocattoli della fama e della fortuna ed invocare la Madre. Il bambino sente che, paragonato con l’amore della madre e con la felicità dell’averla con sé, tutto il resto è ciarpame; uno non dovrebbe aspirare a niente di meno.



L’intelligenza è fuori luogo nelle questioni spirituali

Alla corte di Bhojaraja, Kalidasa fu insultato dai poeti e studiosi più anziani che erano gelosi dei suoi successi. Egli era povero e questa era una ragione sufficiente perché essi lo guardassero dall’alto in basso. Quando la pozza è piena, le rane siedono sulla sua riva e gracidano ma, quando è secca, nessuna di loro le salta intorno. Gli anziani sparsero scandali su Kalidasa e cercarono di espellerlo dalla corte del re. Egli conosceva una sola persona libera dalla gelosia e dall’orgoglio e questa era la Madre Kali per cui si recò al tempio e la pregò di concedergli uno stato elevato tra i poeti. Dopo aver passato molto tempo in preghiere intense, Kalidasa udì una Voce che veniva dall’altare e elogiava Dandi e Bhavabhuti quali grandi geni e studiosi; in quanto ai suoi risultati, non c’era neppure un sussurro! Egli ne fu ferito e si arrabbiò anche, dette sfogo all’ira con parole dure e insistette affinché la Madre gli dicesse la verità per quanto spiacevole. Allora la Voce disse: “Tu sei me stessa, tu sei me stessa, tu sei me stessa senza dubbio (Tuamevaham, Tuamevaham, Tuamevaham, Na Samshayah) !” Di quale stato più elevato di questo aveva bisogno Kalidasa? Questa è la risposta che ogni ricercatore otterrà perché questa è la sua verità, la sua realtà, il suo premio e conclusione. Ci sono molte storie che descrivono Kalidasa come un poeta dalle risorse grandi che sconfisse gli stratagemmi dei suoi avversari con l’intelligenza (Yukti) ma la sua Devozione era molto più grande. Io ricordo dell’intelligenza di un padrone di casa che, a notte alta, sentì il rumore dei ladri che entravano in casa sua; egli capì che essi erano a portata di orecchio e, a voce abbastanza alta da farsi sentire, chiese alla moglie: “Perché mi tormenti così chiedendomi di riportarti tutti i gioielli che ho lasciato al Marvari (monte di pietà)? Io so che tutto il tuo oro è da lui e tu sai che io non ho neppure una rupia; aspettiamo tempi migliori e certamente li recupererò e te li darò”. Manco a dirlo, i ladri se ne andarono per entrare in qualche altra casa quella notte; essi disertarono la casa in cui non c’era “nessun oggetto d’oro e neppure una rupia”! Un’intelligenza simile è fuori luogo nelle faccende spirituali in cui l’artifizio e la artificiosità sono più d’impedimento che d’aiuto. E’ quando l’intelligenza aumenta e soffoca la sincerità e la spontaneità nelle questioni spirituali e nella relazione tra Dio e l’uomo che l’Avatara viene. Come ha appena detto il Ministro della Salute di Mysore, l’intelligenza degenera in orgoglio e questo fa sì che l’uomo dimentichi Dio che è Colui che motiva internamente.



Apprendete l’arte di far funzionare la macchina umana

Voi potete avere una radiolina, un orologio o un fonografo costosi ma, se non sapete come farli funzionare, essi sono mero ciarpame. Ora rendetevi conto di che macchina splendida siete voi stessi! Non dovreste sapere come azionarla e trarne i risultati migliori? Qual è il vantaggio di usare una spada affilata dall’impugnatura d’argento per tagliare le verdure? I veggenti indiani scoprirono l’arte di gestire questa macchina umana ma i loro discendenti l’hanno lasciata decadere; gli insegnanti non desiderano impararla, non sono qualificati per praticarla o non hanno l’entusiasmo per scoprirla. I rappresentanti del popolo che hanno l’onere di governare non ne sono a conoscenza. Se c’è la sete di conoscerla, anche un saggio che sia un adepto in quell’arte è sufficiente; molti possono accendere le loro lucerne con la fiamma del saggio. Vyasa è il principale e il primo di questi saggi ed è per questo che viene descritto come Narayana Stesso.

Imbevendovi degli insegnamenti del Bhagavata, la vostra qualità dell’inerzia (Tamo Guna) verrà elevata a qualità della attività vigorosa (Rajo Guna) e purificata a qualità della padronanza di sé e della serenità (Sattva Guna). E’ come il frutto che, per l’influenza combinata della terra e del sole, prima diventa del tutto aspro, poi mezzo e mezzo ed infine completamente dolce, in tre stadi. Anche l’uomo, per mezzo delle forze gemelle della Grazia dall’esterno e del desiderio dall’interno, cresce fino alla dolcezza completa della Beatitudine e dell’Amore.



Prasanthi Nilayam, 2 Luglio 1966

Guru Purnima

(dal Sanathana Sarathi, Giugno 2010)